La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 33869 dell’11 luglio 2017, si è occupata proprio di un caso di questo tipo, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Trieste aveva confermato la sentenza con cui il Tribunale di Udine aveva condannato un imputato per il reato di “furto aggravato” (artt. 624 e art. 625 del c.p. cod. pen.), avente ad oggetto “dispenser di sapone liquido, carta igienica e salviette asciugamani”, che erano stati prelevati da un’area di servizio autostradale.
Ritenendo la decisione ingiusta, l’imputato aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo il ricorrente, in particolare, non era stato commesso alcun furto, in quanto i beni in questione erano stati posizionati nel bagno dell’area di servizio proprio affinchè i frequentatori dei servizi igienici se ne impossessassero, facendone uso.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione all’imputato, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Secondo la Cassazione, infatti, l’imputato, con la propria condotta, aveva tentato di sottrarre i beni in questione al legittimo proprietario, eliminando la “destinazione indifferenziata di essi alle esigenze dei fruitori dei servizi igienici dell'area di servizio”.
Di conseguenza, doveva condividersi la conclusione alla quale era giunta la Corte d’appello, che aveva evidenziato come i beni “in dotazione ai sevizi igienici presenti sulle aree di sosta autostradale, possono formare oggetto, da parte di chi usufruisce di siffatti servizi, di un consumo connesso ad esigenze strettamente personali e da effettuarsi rigorosamente sul posto e non di un accaparramento indiscriminato”.
Ciò considerato, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dall’imputato, confermando integralmente la sentenza impugnata e condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.