Nel caso esaminato dalla Corte d’appello di Trento, due donne erano state ritenute, in primo grado, colpevoli del reato di “esercizio arbitrario delle proprie ragioni” (art. 393 cod. pen.), in quanto le stesse avevano “ostruito l'accesso ad una corte comune”, parcheggiando la loro auto in modo tale da bloccare l’uscita e l’ingresso di altri mezzi e, in particolare, delle auto di un altro soggetto e di una coppia di coniugi, proprietari degli appartamenti vicini.
Ritenendo la decisione ingiusta, le imputate avevano deciso di impugnare la sentenza, evidenziando che le condotte relative al parcheggio di automobili non possono integrare né il reato di “violenza privata” (art. art. 610 del c.p. cod. pen.), né quello di “esercizio arbitrario delle proprie ragioni” (art 393 c.p.), a meno che non emerga che vi sia stato il reiterato rifiuto di rimuovere l’autovettura (che, nel caso di specie, non era stato accertato).
La Corte d’appello, tuttavia, riteneva di dover confermare la sentenza di primo grado, rigettando l’impugnazione proposta dalle due imputate, in quanto infondata.
Osservava la Corte, in particolare, che può considerarsi violento “ogni mezzo idoneo a privare coattivamente della libertà di determinazione e di azione l'offeso”, il quale si trovi così costretto “a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà”.
Evidenziava la Corte d’appello, in proposito, che la stessa Corte di Cassazione, in applicazione del suddetto principio, ha più volte ritenuto che costituisse reato la condotta del soggetto che aveva “intenzionalmente parcheggiato la propria vettura dietro quella della parte lesa così impedendole di muoversi”.
Ebbene, nel caso di specie, secondo la Corte d’appello, non poteva dubitarsi che vi fosse stato l’elemento della costrizione, con la conseguenza che doveva aderirsi alle considerazioni fatte dal giudice di primo grado, che era giustamente giunto alla conclusione di dover condannare le imputate.
Secondo la Corte d’appello, infatti, l’atteggiamento delle imputate aveva evidentemente dimostrato la volontà delle stesse di ostacolare l’accesso e l’uscita dalla corte comune delle auto dei proprietari delle abitazioni vicine.
Alla luce di tali considerazioni, La Corte d’appello confermava la condanna delle imputate, condannando le stesse anche al pagamento delle spese processuali.