In particolare, se, in ospedale, le infermiere chiedono al medico di guardia di intervenire e il medico non provvede, questi può essere ritenuto responsabile di qualche reato?
Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Firenze aveva confermato la sentenza con cui il Tribunale aveva condannato un medico per il reato di “rifiuto di atti d’ufficio”, di cui all’art. 328 cod. pen.
Il medico, in particolare, durante il servizio di guardia notturna presso una Casa di Cura, si era rifiutato di recarsi nella stanza di un paziente, gravemente malato, che, nel frattempo, era deceduto.
Ritenendo la decisione ingiusta, il medico decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo il ricorrente, infatti, non poteva ritenersi commesso il reato di cui all’art. 328 c.p., in quanto, nel caso di specie, il paziente era ricoverato in una struttura ospedaliera ed era affidato agli infermieri dell’ospedale stesso, i quali avevano l’obbligo di monitorarne le condizioni fisiche e i parametri vitali.
Di conseguenza, secondo il medico, non era stato integrato il reato in questione, che presuppone l’ingiustificato rifiuto di compimento dell’atto, che non si era verificato nel caso in esame.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione al medico, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Secondo la Cassazione, infatti, dagli accertamenti effettuati in corso di causa, era stato dimostrato che il medico, pur trovandosi in una stanza vicina a quella del paziente deceduto, non aveva mai risposto alle richieste dell’infermiera, che gli aveva più volte richiesto di intervenire.
Osservava la Cassazione, inoltre, che il medico era ben a conoscenza delle condizioni del paziente, che erano illustrate nella cartella clinica e che gli erano state comunicate anche da un’infermiera, che gli aveva sollecitato di intervenire urgentemente.
Nonostante ciò, tuttavia, il medico non era mai andato nella stanza del paziente, limitandosi a prescrivergli un tranquillante (prescrizione che, peraltro, era stata poi revocata per la semplice opposizione manifestata dal figlio del paziente stesso).
Precisava la Cassazione, infine, che, pur essendo vero che la morte del paziente non poteva dirsi causata dalla condotta del medico, era altrettanto vero che il medico, non rispondendo alle richieste di intervento delle infermiere, non era stato in grado di rilevare il netto peggioramento che avevano subito le condizioni fisiche del paziente.
Ebbene, secondo la Cassazione, la condotta del medico in questione, che non era intervenuto per una visita diretta, dopo che le infermiere gli avevano segnalato il peggioramento delle condizioni di salute del paziente, rappresentava certamente un “rifiuto di atti di ufficio”, punibile ai sensi dell’art. 328 c.p.
Precisava la Cassazione, in proposito, che il medico ha l’obbligo di provvedere immediatamente a visitare personalmente il paziente al fine di valutare la situazione, soprattutto se a richiedere il suo intervento sono delle infermiere qualificate, che, in quanto tali, sono in grado di valutare l’effettiva necessità della presenza di un medico.
Ciò considerato, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal medico, confermando integralmente la sentenza di condanna di secondo grado e condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.