Capita, purtroppo, che durante le partite di calcio si verifichino dei disordini e che alcuni tifosi lancino sul campo di gioco fumogeni o simili.
Ebbene, cosa rischia chi pone in essere questi comportamenti?
La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 22315 del 9 maggio 2017, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Firenze aveva confermato la sentenza di primo grado, con la quale un imputato era stato condannato per il reato di “lancio di materiale pericoloso in occasione di manifestazioni sportive”, di cui all’art. 6 bis della legge n. 401 del 1989 (normativa antiviolenza negli stadi), in quanto il medesimo, in concorso con un'altra persona (art. 110 c.p.), durante una partita di calcio, aveva acceso e lanciato un fumogeno in direzione del campo di gioco.
Ritenendo la decisione ingiusta, l’imputato aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Precisava il ricorrente, infatti, di essersi limitato, in occasione di un goal, “ad accendere un fumogeno senza generare pericolo alcuno e senza mai lanciarlo, mettendolo attentamente a terra”.
Secondo il ricorrente, infatti, era stata un’altra persona, dopo 5 minuti, a raccogliere il fumogeno e a lanciarlo ma nessun rischio per le persone si era verificato con l’azione dell’accensione e del poggiare a terra il fumogeno in questione.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione al ricorrente, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Osservava la Cassazione, infatti, che la Corte d’appello aveva del tutto adeguatamente motivato la propria decisione di condanna, chiarendo il ragionamento che l’aveva portata ad affermare la della responsabilità dell’imputato per il reato in questione.
La Corte d’appello aveva evidenziato, infatti, che, dagli accertamenti effettuati, era emerso che l’imputato aveva acceso il fumogeno nascondendosi dietro uno striscione e che, poi, il fumogeno era stato lanciato da un altro soggetto, che l’aveva preso da terra, dove lo aveva appoggiato il ricorrente.
La Corte d’appello, inoltre, aveva messo in rilievo anche il pericolo dell’azione posta in essere dall’imputato e aveva osservato come il nascondersi dietro lo striscione dimostrasse che vi fosse un piano ben stabilito.
Osservava la Cassazione, infine, come l’art. 6 bis della legge n. 401 del 1989 punisca non solo la condotta di chi lancia strumenti per l’emissione di fumo ma anche quella di chi utilizza gli stessi in modo tale da “creare un concreto pericolo per le persone”.
Ciò considerato, la Corte di Cassazione confermava integralmente la sentenza di condanna di secondo grado, affermando il principio di diritto secondo cui “l’art. 6 bis, I. n. 401 del 1989 punisce sia il lancio e sia l’utilizzo (“lancia o utilizza”), in modo da creare un concreto pericolo per le persone, razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o di gas visibile, ovvero bastoni, mazze, materiale imbrattante o inquinanti, oggetti contundenti o, comunque, atti ad offendere; intendendosi per utilizzo qualsiasi azione che concretamente pone in pericolo le persone”.
La Cassazione ha precisato che l'art. 6 bis della legge n. 401 del 1989 punisce non solo il lancio ma anche qualunque altro utilizzo del fumogeno che crei un concreto pericolo per le persone.