L’Assegno di inclusione è la nuova misura di contrasto alla povertà, alla fragilità e all’esclusione sociale delle fasce deboli, andata a sostituire il Reddito di Cittadinanza (RdC) a partire da Gennaio 2024. Viene riconosciuto ai nuclei familiari con un ISEE non superiore a 9.360 euro, dei quali faccia parte almeno un componente
• con disabilità;
• minorenne;
• avente almeno 60 anni di età;
• inserito in un programma di cura e assistenza dei servizi sociosanitari territoriali.
La funzione dell’AdI è quella di integrare il reddito familiare, fino al raggiungimento dell’importo di 6.000 euro oppure di 7.560 euro annui, a seconda della composizione del nucleo familiare.
Tale importo, considerato importo base, viene poi moltiplicato per la cosiddetta “scala di equivalenza”, un parametro definito dal Governo in maniera molto rigida, al fine di ostacolare quelli che venivano chiamati “i furbetti del reddito di cittadinanza”.
Ed è proprio la rigidità di queste condizioni ad essersi rivelata la debolezza dell’assegno di inclusione, dal momento che i requisiti a cui le famiglie devono rispondere sono talmente stringenti, che di fatto molte restano escluse dal beneficio.
La “scala di equivalenza” definita dal Governo, infatti, prevede una serie di moltiplicatori: ad ognuno dei componenti del nucleo familiare, a seconda delle sue caratteristiche individuali, è assegnato un valore numerico. L’importo base, di cui si è parlato sopra, viene moltiplicato per i seguenti valori:
• per 1 se il componente è uno solo;
• per 0,50 se oltre al primo componente ce n’è un altro con disabilità o non autosufficiente;
• per 0,40 per ciascun altro componente con età pari o superiore a 60 anni;
• per 0,40 per ciascun altro componente maggiorenne con carichi di cura come definiti dall’art. 6, comma 5 (es. caregiver familiare di un congiunto con disabilità);
• per 0,30 per ciascun altro componente adulto in condizione di grave disagio ed inserito in programmi di cura e di assistenza certificati;
• per 0,15 per ciascun minore di età fino a due;
• per 0,10 per ogni ulteriore minore di età oltre il secondo.
Il valore assegnato ai componenti maggiorenni che non hanno disabilità o situazioni di disagio è zero; essi, dunque, non vengono considerati sulla scala di equivalenza.
Da una prima stima effettuata da Bankitalia, i valori sopra elencati risultano essere molto critici. In particolar modo, la stretta sui maggiorenni considerati “occupabili” costituisce il tallone d’Achille della misura. È emerso che molte famiglie non riescono ad accedere al beneficio, vedendosi rigettare la richiesta, mentre coloro che riescono ad ottenere e beneficiare dell’Assegno riceveranno comunque meno denaro di quanto si aspettassero.
La stima di Banca d’Italia vede quasi 780.000 domande presentate, di cui circa il 30% respinte. Ad accedere al beneficio, finora, sono stati solo 480.000 nuclei familiari; ciò significa quasi la metà dei potenziali aventi diritto.
Visti i dati allarmanti emersi dalla stima sopracitata, è nell’aria la modifica dei requisiti di accesso al beneficio da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con la cooperazione del Comitato scientifico per la valutazione delle misure di contrasto alla povertà, composto dal Direttore Generale per la Lotta alla povertà e la programmazione sociale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dai rappresentanti degli enti vigilati Anpal, Inapp e Inps, da un rappresentante dell'Istat e da 5 esperti indipendenti del mondo dell'università e della ricerca scientifica.
• con disabilità;
• minorenne;
• avente almeno 60 anni di età;
• inserito in un programma di cura e assistenza dei servizi sociosanitari territoriali.
La funzione dell’AdI è quella di integrare il reddito familiare, fino al raggiungimento dell’importo di 6.000 euro oppure di 7.560 euro annui, a seconda della composizione del nucleo familiare.
Tale importo, considerato importo base, viene poi moltiplicato per la cosiddetta “scala di equivalenza”, un parametro definito dal Governo in maniera molto rigida, al fine di ostacolare quelli che venivano chiamati “i furbetti del reddito di cittadinanza”.
Ed è proprio la rigidità di queste condizioni ad essersi rivelata la debolezza dell’assegno di inclusione, dal momento che i requisiti a cui le famiglie devono rispondere sono talmente stringenti, che di fatto molte restano escluse dal beneficio.
La “scala di equivalenza” definita dal Governo, infatti, prevede una serie di moltiplicatori: ad ognuno dei componenti del nucleo familiare, a seconda delle sue caratteristiche individuali, è assegnato un valore numerico. L’importo base, di cui si è parlato sopra, viene moltiplicato per i seguenti valori:
• per 1 se il componente è uno solo;
• per 0,50 se oltre al primo componente ce n’è un altro con disabilità o non autosufficiente;
• per 0,40 per ciascun altro componente con età pari o superiore a 60 anni;
• per 0,40 per ciascun altro componente maggiorenne con carichi di cura come definiti dall’art. 6, comma 5 (es. caregiver familiare di un congiunto con disabilità);
• per 0,30 per ciascun altro componente adulto in condizione di grave disagio ed inserito in programmi di cura e di assistenza certificati;
• per 0,15 per ciascun minore di età fino a due;
• per 0,10 per ogni ulteriore minore di età oltre il secondo.
Il valore assegnato ai componenti maggiorenni che non hanno disabilità o situazioni di disagio è zero; essi, dunque, non vengono considerati sulla scala di equivalenza.
Da una prima stima effettuata da Bankitalia, i valori sopra elencati risultano essere molto critici. In particolar modo, la stretta sui maggiorenni considerati “occupabili” costituisce il tallone d’Achille della misura. È emerso che molte famiglie non riescono ad accedere al beneficio, vedendosi rigettare la richiesta, mentre coloro che riescono ad ottenere e beneficiare dell’Assegno riceveranno comunque meno denaro di quanto si aspettassero.
La stima di Banca d’Italia vede quasi 780.000 domande presentate, di cui circa il 30% respinte. Ad accedere al beneficio, finora, sono stati solo 480.000 nuclei familiari; ciò significa quasi la metà dei potenziali aventi diritto.
Visti i dati allarmanti emersi dalla stima sopracitata, è nell’aria la modifica dei requisiti di accesso al beneficio da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con la cooperazione del Comitato scientifico per la valutazione delle misure di contrasto alla povertà, composto dal Direttore Generale per la Lotta alla povertà e la programmazione sociale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dai rappresentanti degli enti vigilati Anpal, Inapp e Inps, da un rappresentante dell'Istat e da 5 esperti indipendenti del mondo dell'università e della ricerca scientifica.