Le Sezioni Unite hanno infatti confermato quanto in precedenza espresso in Sez. Un. n. 18287 del 11 luglio 2018, ribadendo che l’assegno di divorzio presenta una natura c.d. polifunzionale, svolgendo al tempo stesso funzione assistenziale e perequativo-compensativa.
In particolare, quest’ultima funzione, connessa al principio costituzionale di solidarietà, ha una ratio “riequilibratrice”, mirando appunto a riportare in equilibrio le posizioni patrimoniali dei coniugi in considerazione del ruolo giocato da ciascuno dei coniugi in pendenza di matrimonio nella formazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge.
Da ciò deriva che presupposto per il riconoscimento dell’assegno di divorzio è non solo e non tanto la non autosufficienza dell’ex coniuge - che può venir meno nel momento in cui questo instauri una nuova convivenza - quanto lo stato di disparità esistente tra i divorziati, disparità che si può desumere anche dal fatto che il coniuge economicamente più debole abbia sacrificato le proprie ambizioni professionali e personali in favore della famiglia.
Per tale ragione, il Supremo Collegio rileva che è irragionevole che siffatta compensazione possa venir meno in conseguenza delle scelte sentimentali del coniuge debole.
Al fine di comprendere appieno la soluzione fornita al quesito dalla Suprema Corte, giova esaminare brevemente i tre contrapposti orientamenti che erano emersi sulla questione:
- secondo una prima tesi, il diritto all’assegno non deve essere travolto dall’instaurazione di una nuova convivenza, non solo in ragione della funzione compensativa dell’assegno ma anche alla luce del fatto che la convivenza è connotata da precarietà sicchè occorre tutelare il coniuge economicamente più debole;
- per una seconda impostazione, il diritto all’assegno di divorzio resta sospeso per la durata della convivenza di fatto instaurata dal coniuge avente diritto, per poi rivivere in caso di cessazione di quest’ultima;
- per una terza opzione ermeneutica, il diritto all’assegno di divorzio è automaticamente travolto in caso di nuova convivenza dell’avente diritto, in analogia a quanto previsto dall’art.5 co. 10 L. 898 del 1970 per il coniuge che passi a nuove nozze. I sostenitori di tale indirizzo, in particolare, fanno leva sul principio di auto responsabilità, per il quale l’ex coniuge che sceglie liberamente di instaurare una nuova convivenza deve accettare ogni conseguenza della cessazione definitiva del precedente rapporto coniugale ed assistenziale.
Le Sezioni Unite, dunque, hanno optato per il primo orientamento.
Va precisato che dal principio affermato dalle Sezioni Unite non discende che la nuova convivenza non possa avere mai impatto sull’assegno di divorzio dovuto in quanto rimane comunque possibile una valutazione sui presupposti e sulla quantificazione e rimane comunque in capo al coniuge che richiede l’assegno di divorzio l’onere di fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare. Ciò che la Cassazione esclude, invece, è l’automatismo nella perdita di ogni emolumento solo in ragione della nuova convivenza instaurata.
Circa le modalità di liquidazione, infine, le Sezioni Unite precisano che, non essendo normativamente contemplata la corresponsione di un assegno temporaneo, sarebbe opportuno che le parti raggiungessero un accordo sul punto.