Ebbene, nel determinare la misura di tale assegno, il giudice deve tenere in considerazione il principio fondamentale secondo cui tale assegno deve consentire al coniuge di mantenere un tenore di vita analogo a quello di cui godeva in costanza di matrimonio.
Proprio con riferimento all’accertamento di questo parametro, si è pronunciata la Corte di Cassazione, la quale, con la sentenza n. 5131 del 5 marzo 2014, ha fornito alcune interessanti precisazioni sul punto.
Nel caso esaminato dalla Corte, il Tribunale, al momento della pronuncia dello scioglimento del matrimonio tra due coniugi, aveva condannato il marito alla corresponsione alla moglie di un assegno di mantenimento di Euro 778 mensili. Il marito proponeva appello avverso tale decisione, dal momento che l’assegno era stato disposto nonostante la moglie non avesse fatto alcuna specifica richiesta in tal senso in sede di separazione personale, a riprova del fatto che la stessa era in grado di mantenersi adeguatamente da sola.
L’appello veniva, tuttavia, respinto e si giungeva, quindi, al terzo grado di giudizio.
In tale sede, la Corte di Cassazione osserva, in primo luogo, come “il carattere assistenziale dell’assegno di divorzio determina l’insorgenza del relativo diritto solo in presenza di una situazione patrimoniale e reddituale tale da non consentire la conservazione di un tenore di vita analogo a quello mantenuto in costanza di matrimonio”.
Di conseguenza, prosegue la Corte, il giudice “del tutto correttamente procede a verificare, sulla base degli elementi acquisiti, la sussistenza nel richiedente del requisito della mancanza di mezzi adeguati al mantenimento del precedente livello di vita, implicitamente affermando siffatta inadeguatezza attraverso l’apprezzamento di una rilevante differenza tra le rispettive potenzialità reddituali e patrimoniali dei coniugi”.
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha, dunque, ha “chiaramente e correttamente desunto il tenore di vita precedente dalle potenzialità economiche dei coniugi, avuto riguardo alla “maggiore agiatezza economica”” del marito.
Pertanto, secondo la Cassazione, a nulla rileva che la moglie non abbia avanzato una specifica richiesta di mantenimento in sede di separazione, “atteso che la determinazione dell’assegno divorzile è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti in vigenza di separazione dei coniugi, con la conseguenza che il diniego dell’assegno divorzile non può fondarsi sul rilievo che negli accordi di separazione i coniugi pattuirono che nessun assegno fosse versato dal marito per il mantenimento della moglie, dovendo comunque il giudice procedere alla verifica del rapporto delle attuali condizioni economiche delle parti con il pregresso tenore di vita coniugale”.
In altri termini, secondo la Cassazione, la Corte d’Appello ha correttamente posto a carico del marito l’assegno di mantenimento in favore della moglie, essendo lo stesso proporzionato alle rispettive condizioni economico-patrimoniali ed essendo del tutto irrilevante che in sede di separazione la moglie non avesse richiesto la corresponsione di alcuna somma a titolo di mantenimento.