La vicenda ha preso avvio dalla condanna di un soggetto per il
reato di cui all’art.
727 c.p., per aver
abbandonato per strada, all’interno di una cassetta di legno, dei cuccioli di cane. In sede di
giudizio abbreviato, il giudice aveva
negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche ed aveva irrogato una
pena pari a 6000 euro di
ammenda.
L’imputato aveva perciò proposto ricorso in Cassazione, deducendo la violazione dell’art.
62 bis c.p. ed il vizio di motivazione della sentenza, poiché il giudice aveva negato le generiche senza prendere in considerazione la sua incensuratezza, né il fatto che i cuccioli erano stati ritrovati in buona salute.
Le circostanze attenuanti generiche, disciplinate all’art.
62 bis c.p., sono circostanze previste solo genericamente e non espressamente individuate dal
legislatore, aventi la funzione di consentire al
giudice di
adeguare la pena in senso maggiormente favorevole all’
imputato, in ragione di peculiari caratteristiche del soggetto agente e del fatto a lui ascritto.
Bisogna, però, tenere presente che, a seguito della riforma dell’art.
62 bis, la sola incensuratezza dell’imputato non è sufficiente per la concedibilità delle circostanze generiche e che esse, dal momento che si basano su fatti concreti che possono presentare anche circostanze di segno opposto tali da controbilanciarle,
non costituiscono oggetto di diritto, da concedere sempre e comunque.
Inoltre, la Cassazione ha in passato affermato che, se il giudice decide di negare la concessione di dette attenuanti, non è tenuto a prendere in considerazione, nella motivazione, tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli rilevabili dagli atti o allegati dalle parti, ma è sufficiente che faccia riferimento solamente a quelli ritenuti decisivi o rilevanti nella determinazione della pena (Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 28535/2014).
Nel caso in esame, la Corte di Cassazione si è espressa con la
sentenza n. 2207/2020, ritenendo che la censura proposta dal
ricorrente fosse
infondata in quanto la
motivazione dedotta nella sentenza del giudice di
merito, fondata su un giudizio di fatto e quindi non censurabile in sede di legittimità, risultava immune da vizi, poiché evidenziava in modo logico e non contraddittorio gli elementi che erano stati rilevanti per operare la sua valutazione.
In particolare, il giudice di merito aveva ritenuto che, da una parte, non erano rinvenibili negli atti degli elementi che di per sé potevano fondare il riconoscimento di attenuanti, dall’altra, che la
condotta dell’imputato esprimeva un’intensità del dolo e un’insensibilità nei confronti degli animali tali da non ritenerlo meritevole di fruire di attenuanti.
È, infatti, principio consolidato quello per cui, in caso di diniego dell'attenuante, quando la difesa non specifichi elementi tali da convincere il giudice a concederla, l’
onere di motivazione possa ritenersi soddisfatto anche solo menzionando la ritenuta assenza di elementi positivi in grado di giustificare la concessione del beneficio. Allo stesso tempo, la sussistenza dell’attenuante non può essere presunta ed è sempre necessario che dalla motivazione emergano gli elementi che sono stati ritenuti idonei a giustificare la diminuzione della pena.
Nonostante il motivo di
ricorso fosse infondato, però, la Suprema Corte ha annullato la sentenza per
illegalità della pena, poiché, in sede di
giudizio abbreviato, era stata applicata una diminuzione di un terzo invece che della metà, come sarebbe invece previsto, per il caso delle contravvenzioni, dall'art.
442 comma 2 c.p.p. La vicenda si è così conclusa con un annullamento senza rinvio, che la Cassazione ha disposto applicando la corretta diminuzione di pena e rigettando nel resto il ricorso.