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Articolo 23 ter Testo unico edilizia

(D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380)

[Aggiornato al 08/02/2024]

Mutamento d'uso urbanisticamente rilevante

Dispositivo dell'art. 23 ter Testo unico edilizia

1. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate:

  1. a) residenziale;
  2. a-bis) turistico-ricettiva;
  3. b) produttiva e direzionale;
  4. c) commerciale;
  5. d) rurale.

2. La destinazione d'uso dell'immobile o dell'unità immobiliare è quella stabilita dalla documentazione di cui all'articolo 9 bis, comma 1-bis(1).

3. Le regioni adeguano la propria legislazione ai principi di cui al presente articolo entro novanta giorni dalla data della sua entrata in vigore. Decorso tale termine, trovano applicazione diretta le disposizioni del presente articolo. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito.

Note

(1) Il comma 2 è stato modificato dall'art. 10, comma 1, lettera m) del D.L. 16 luglio 2020, n. 76.

Spiegazione dell'art. 23 ter Testo unico edilizia

La norma ha la finalità di definire i caratteri fondamentali del mutamento d’uso rilevante, comportante un aggravio del carico urbanistico generato dall’immobile sui servizi ed infrastrutture.
Infatti, prima della novella il legislatore nazionale aveva lasciato alle Regioni il compito di definire il regime abilitativo delle varie tipologie di mutamento d’uso, senza però occuparsi di individuare prima di tutto quali fossero i mutamenti d’uso urbanisticamente rilevanti e quali, invece, i mutamenti privi di portata urbanistica.

Tale lacuna è stata colmata prima dalla giurisprudenza e poi con l’introduzione nel Testo Unico dell’articolo in commento; tuttavia, in dottrina si è evidenziato che proprio l’apertura del comma 1, che fa salve le diverse previsioni delle leggi regionali, potrebbe vanificare l’intento del Legislatore in quanto sembra consentire alle Regioni una completa riscrittura della norma.

Altre problematicità sono state rilevate in merito all’inquadramento delle disposizioni contenute nell’articolo 23 ter, che pur ponendosi come principi fondamentali alle quali le Regioni si devono adeguare nel termine previsto dal terzo comma, tradiscono la propria natura di dettaglio alla luce della facoltà derogatoria attribuita alle leggi regionali dall’incipit del comma 1.

Il mutamento di destinazione d’uso preso in considerazione può verificarsi anche senza la realizzazione di opere edilizie ed è considerato rilevante, nel senso sopra menzionato, quando comporti il passaggio ad una diversa categoria funzionale tra quelle elencate al primo comma dell’articolo in commento.

La destinazione originaria, della quale tenere conto al fine di verificare se vi sia stato o meno un mutamento rilevante, non è data dall’uso di fatto del bene, bensì è quella prevista dagli atti pianificatori o edilizi o, in mancanza, alla stregua del criterio ausiliario-catastale (ai sensi dell’art. 9 bis del Testo Unico).
Con le recentissime riforme intervenute nel 2020, infatti, è stato abbandonato il criterio che aveva riguardo al mero dato della quantità di superficie utile, che però tralasciava altri importanti parametri relativi agli aspetti funzionali, più che quantitativi, dell’utilizzo dell’immobile.

Qualora il cambio di destinazione d’uso avvenga all’interno della medesima categoria funzionale, invece, esso è sempre ammesso e considerato per definizione urbanisticamente irrilevante.


Massime relative all'art. 23 ter Testo unico edilizia

Cons. Stato n. 150/2019

Per ottenere il condono dell'abusivo mutamento di destinazione d'uso di un immobile è sufficiente che lo stesso sia stato "completato funzionalmente", vale a dire che l'immobile deve essere già fornito delle opere indispensabili a rendere effettivamente possibile un uso diverso da quello assentito.

Cons. Stato n. 6562/2018

Soltanto il cambio di destinazione d'uso fra categorie edilizie omogenee non necessita di permesso di costruire (in quanto non incidente sul carico urbanistico) mentre, allorché lo stesso intervenga tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee, integra una vera e propria modificazione edilizia con incidenza sul carico urbanistico, con conseguente necessità di un previo permesso di costruire, senza che rilevi l'avvenuta esecuzione di opere.

Cons. Stato n. 35/2016

In tema di edilizia, il mutamento di destinazione d'uso giuridicamente rilevante è solo quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, posto che nell'ambito delle stesse categorie possono aversi mutamenti di fatto ma non diversi regimi urbanistico costruttivi, stanti le sostanziali equivalenze dei carichi urbanistici nell'ambito della medesima categoria; pertanto, un cambio di destinazione d'uso strutturale non consentito dalla disciplina urbanistica comporta una variazione in aumento dei carichi urbanistici che impone una adeguata dotazione di standard urbanistici.

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Consulenze legali
relative all'articolo 23 ter Testo unico edilizia

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

L. A. chiede
domenica 18/12/2022 - Lombardia
“Buongiorno
In una mansarda volendo cambiare destinazione d'uso di quello che era un ufficio a abitazione il comune mi chiede di assegnare a detta abitazione i posti auto considerando per l'adeguamento dei posti auto anche la superfice dell'abitazione che non avendo l'altezza adeguata rimane un sottotetto .
Chiedo se per il cambio d'uso il comune può impormi i posti auto e se questi debbano essere adeguati anche alle superfici di sottotetto non abitabile
Nella ipotesi che il comune abbia ragione posso assegnare i posti auto in un'area limitrofa anche se detta area è pertinenza di un altra abitazione della stessa proprietà?

Cordiali saluti”
Consulenza legale i 04/01/2023
Il quesito posto verte sulla necessità di prevedere una dotazione di parcheggi adeguata al cambio di destinazione d’uso di un immobile da ufficio a residenziale e, in caso affermativo, se sia possibile insediare tali parcheggi all’interno di un’area di pertinenza di altra abitazione.

La risposta va ricercata, innanzitutto, all’interno degli atti di governo del territorio adottati dal Comune di Varese ove si trova l’immobile.

L’art. 3 delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA) del Piano delle Regole del Comune di Varese, nel disciplinare il mutamento di destinazione d’uso, stabilisce che esso è comunque subordinato al rispetto integrale delle norme che dispongono in ordine alla dotazione di aree per servizi (parcheggi, verde) nonché alla corresponsione dell’eventuale differenza del contributo di costruzione, così come determinata ai sensi delle vigenti norme regionali.

In particolare, per quanto attiene la dotazione di parcheggi, l’art. 8 delle predette Norme Tecniche, prevede per i parcheggi privati la seguente dotazione minima, definita per diverse classi funzionali di destinazioni d’uso:
- Residenza: minimo un posto auto per unità immobiliare 1 posto auto ogni 150 mc di volume;
- Attività terziarie: direzionali 1 posto auto ogni 300 mc di volume;

Sulla base di tali regole tecniche andranno, quindi, calcolati i parcheggi che dovranno essere realizzati all’esito del cambio di destinazione d’uso per una quantità pari alla differenza di dotazione tra la nuova e la vecchia destinazione d’uso.

Quanto, invece, all’asserita deroga dal reperimento di parcheggi trattandosi di un sottotetto, in assenza di ulteriori elementi, deduciamo che l’intervento realizzato si tratti di un recupero di sottotetto ai fini abitativi come previsto dagli artt. 63 e ss. della L.R. Lombardia n. 12 del 2005 che espressamente subordinano tali interventi all’obbligo di reperimento di spazi per parcheggi pertinenziali nella misura prevista dagli strumenti di pianificazione comunale

Pertanto, in risposta al suo primo quesito si può affermare che è legittima la richiesta del Comune di dotare l’edifico di parcheggio adeguati allo standard previsto per la tipologia di destinazione d’uso che andrà ad insediarsi.

Quanto al secondo quesito posto, si segnala che il comma 11 del predetto art. 8 delle NTA prevede che, nel caso in cui non sia possibile realizzare i parcheggi richiesti, essi potranno essere “monetizzati”, sempre se espressamente consentito dalle norme che disciplinano la destinazione urbanistica dell’area in cui ricade l’edificio.

La monetizzazione consiste nel pagamento a favore del Comune di una somma in luogo alla realizzazione della dotazione richiesta.

Così, ad esempio, se l’immobile si trovasse nel Tessuto Urbano Consolidato (TUC) l’art. 30 delle Norme Tecniche di Attuazione prevede espressamente che, in caso di impossibilità di realizzazione dell’intera dotazione richiesta, è ammessa la loro monetizzazione considerando a tal fine sia il valore dell’area sia quello delle opere necessarie per la realizzazione del posto auto.

Occorrerà, comunque, verificare che tale monetizzazione sia ammessa per la destinazione urbanistica dell’area.

Quanto alla possibilità di realizzare i parcheggi su area di pertinenza di altra abitazione, trattandosi propriamente di parcheggi privati di pertinenza della sua abitazione, si deve escludere la possibilità che essi siano realizzati su un’area già di pertinenza di altra abitazione.

Infatti, è pur vero che la legge consente di realizzare parcheggi anche su aree esterne all’abitazione interessate ma il presupposto è che esse siano legate da un rapporto di pertinenzialità con l’edificio della cui dotazione si tratta.
Sul punto si veda l’art. 66 della L.R. Lombardia 12 del 2005.che dispone “I proprietari di immobili e gli aventi titolo sui medesimi possono realizzare nel sottosuolo degli stessi o di aree pertinenziali esterne, nonché al piano terreno dei fabbricati, nuovi parcheggi, da destinarsi a pertinenza di unità immobiliari residenziali e non, posti anche esternamente al lotto di appartenenza, senza limiti di distanza dalle unità immobiliari cui sono legati da rapporto di pertinenza, purché nell’ambito del territorio comunale o in comuni contermini, ai sensi dell’articolo 9 della legge 24 marzo 1989, n. 122 (ndr c.d. Legge Tognoli).
In altri termini, affinché possa essere utilizzata un’area esterna per la realizzazione di parcheggi pertinenziali dell’abitazione interessata dalla dotazione è necessario, se non già esistente, creare un vincolo di pertinenzialità con l’area utilizzata.

Ed infatti, il già menzionato art. 66 della L.R. Lombardia 12 del 2005 prevede “ll rapporto di pertinenza è garantito da un atto unilaterale, impegnativo per sé, per i propri successori o aventi causa a qualsiasi titolo, da trascrivere nei registri immobiliari”.

Altra soluzione potrebbe essere quella di acquistare e destinare i parcheggi già esistenti e di pertinenza di altra abitazione alla sua abitazione purché per la prima permanga la dotazione minima di parcheggi richiesta per legge.

Ciò è quanto stabilito al comma 5 dell’art. 9 della Legge Tognoli che consente di trasferire la proprietà del parcheggio separatamente dall’unità immobiliare a cui il parcheggio è stato legato da vincolo pertinenziale, a condizione che esso sia contestualmente destinato a pertinenza di altra unità immobiliare sita nello stesso Comune.

Nicola M. chiede
martedì 16/08/2022 - Sicilia
“Una ditta ha ottenuto il permesso di costruire un edificio, dove tra l'altro si trova scritto ''Visto l'atto di vincolo a parcheggio ai sensi della legge 122/89, stipulato . . e registrato dal notaio''. . . .
Tale vincolo si riferisce ad una superficie che la ditta non utilizza per i parcheggi, ma per altre rumorose attività. Mentre i parcheggi auto invadono le pubbliche strade adiacenti.
Quale reato commette tale ditta? Chi deve fare rispettare la legge 122/89 E L'ATTO DI VINCOLO A PARCHEGGIO? Come posso agire per far rispettare la legge, l'atto di vincolo a parcheggio e quanto previsto dal permesso di costruire rilasciato dal Comune?”
Consulenza legale i 30/08/2022
I locali adibiti a parcheggio previsti dall'art. 9, L. n. 122/1989 (cosiddetta Legge Tognoli) sono caratterizzati da un vincolo di destinazione che, tra l’altro, comporta che non possano essere trasferiti separatamente dall'unità immobiliare di cui costituiscono pertinenza.
Stante la presenza di tale vincolo e l’esclusività della destinazione a parcheggio, la giurisprudenza ha affermato, ad esempio, l’insanabilità della trasformazione di un garage realizzato in forza di tale Legge in un locale abitabile e, ancora, la legittimità del diniego del permesso di costruire per il cambio di destinazione d'uso di un locale da parcheggio a negozio (Consiglio di Stato, sez. V, 24 aprile 2009, n. 2609; T.A.R. Milano, sez. I, 20 febbraio 2018, n. 483; T.A.R. Napoli, sez. II, 05 dicembre 2016, n. 5619).

Nel nostro caso non sono stati forniti particolari dettagli sul titolo edilizio o sulle attività alle quali è destinato l’immobile, ma in generale si ricorda che, ai sensi dell‘art. 23 ter, T.U. Edilizia, il mutamento di destinazione d'uso giuridicamente rilevante (che -se attuato in assenza di titolo abilitativo- costituisce abuso edilizio, anche in assenza di opere edilizie) è quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico.

Nella fattispecie, quindi, il modo più diretto per contestare la violazione del vincolo sembra essere quello di inviare una segnalazione il più possibile circostanziata alla Polizia Locale e al settore comunale che si occupa della vigilanza edilizia. Una volta svolti i necessari accertamenti, sarà la P.A. ad occuparsi di irrogare le dovute sanzioni ed eventualmente anche di inviare la notizia di reato alla Procura competente.


R. F. chiede
domenica 06/02/2022 - Liguria
“Un artigiano, installatore di impianti idro-termici, sanitari e a gas, è comodatario di un locale p.t., che utilizza come deposito transitorio di attrezzature e materiali occorrenti per l’attività che svolge, (attività svolta in cantieri esterni ed in luoghi lontani dal locale)
-il locale fu accatastato dal costruttore/venditore in cat C2 nel 1962.
-per regolarizzare abusività commesse dal costruttore si fece ricorso al condono edilizio 1985, chiuso dal Comune nel 2006 -con il rilascio di C.E. in sanatoria come garage.
-un condomino ora segnala al Comune che il locale non viene utilizzato come ricovero auto, ma come deposito per attività artigianale
-il Comune notifica un procedimento sanzionatorio nei confronti del proprietario del locale per cambio di destinazione d'uso senza opere ''da autorimessa a magazzino per attività artigianale'',
effettuato in assenza di SCIA
-nel locale non viene svolta attività di lavorazione, trasformazione, esposizione e/o vendita merce
-dal locale non fuoriescono rumori, odori e fumi molesti
-il locale è usato come deposito attrezzatura e materiali da installarsi in cantieri esterni e lontani
-al professionista incaricato per sistemare l'anomalia sanzionata, il Responsabile dell' UTC ha risposto, però solo verbalmente, che il provvedimento, a suo giudizio è insanabile, (cioè, non è sanabile nemmeno con una SCIA)
-per il fatto che il PIANO REGOLATORE GENERALE dispone che nella zona in cui è situato il locale svago, edifici a carattere religioso, culturale e sociale. Sono invece esclusi gli edifici industriali, i laboratori che producono rumori ed odori molesti, i macelli, le stalle e qualsiasi altro edificio per il ricovero o l'allevamento di animali. In dipendenza di ciò, secondo il Funzionario del Comune, essendo il locale utilizzato da un artigiano, anche solo come deposito, è da intendersi laboratorio artigianale.
Si chiede se il Responsabile dell' UTC abbia fornito una interpretazione giuridicamente valida.

Consulenza legale i 23/02/2022
Preliminarmente, si rileva che l’art. 23-ter, D.P.R. n. 380/2001, impone che vengano assentiti dal Comune i mutamenti di destinazione d'uso giuridicamente rilevanti, anche senza opere edilizie, che comportino il passaggio tra le categorie funzionalmente autonome elencate da tale norma.
Nella fattispecie, dato che il deposito di beni è accessorio/funzionale a una attività artigianale, si fuoriesce dalla destinazione “di partenza” presumibilmente residenziale, con la conseguenza che è richiesto il rilascio di un titolo edilizio (nella specie la SCIA ex art. 13 bis, L. R. Liguria n. 16/2008) .
Esclusa la destinazione residenziale, l’inquadramento del deposito/magazzino è un’operazione abbastanza scivolosa, sulla quale nemmeno la giurisprudenza ha trovato una visione univoca, qualificando tali locali a seconda delle loro caratteristiche concrete come a destinazione industriale o commerciale (Consiglio di Stato, sez. IV, 13 novembre 2018, n. 6388; Consiglio di Stato, Sez. VI, 25 settembre 2017 n. 4469; Consiglio di Stato sez. V, 13 luglio 1994, n. 752; T.A.R. Milano, sez. II, 03 luglio 2015, n. 1536)
L’art. 13, L. R. Liguria n. 16/2008, comunque, include il deposito di merci e prodotti e insieme alle attività artigianali nella categoria “produttiva e direzionale”.

Svolta tale premessa generale, in merito alle norme pianificatorie che vengono in rilievo nel caso di specie, si nota che esse ammettono nella Zona A, oltre alle residenze, gli edifici pubblici, a quelli religiosi o per lo spettacolo e lo svago, anche gli edifici commerciali.
Sono espressamente esclusi, invece, gli edifici industriali, i laboratori che producono rumori ed odori molesti, i macelli, le stalle e qualsiasi altro edificio per il ricovero o l'allevamento di animali.
Abbiamo, quindi, una norma che da una parte ammette attività, quali quelle commerciali, che presentano un impatto urbanistico sicuramente più elevato rispetto al deposito in esame (si pensi ad esempio al transito di clienti, fornitori e così via) e che dall’altra vieta attività con caratteristiche diverse dal caso di specie, senza peraltro includere tra i divieti tutti i laboratori (termine che di solito si riferisce proprio alle attività artigianali), ma solo quelli per vari motivi considerati “molesti”.
Pare, dunque, esservi spazio per interpretare tale disposizione in modo meno restrittivo rispetto a quanto sostenuto dal Comune (v. T.A.R. Puglia, sez. III, 21 febbraio 2009, n. 254, pur non riguardando un caso del tutto sovrapponibile al presente, si ispira a principi applicabili anche al nostro caso), soprattutto se si tiene conto anche del fondamentale principio secondo cui tutto quanto non è espressamente vietato deve considerarsi ammesso.

Si potrebbe perciò sostenere la fondatezza della propria richiesta all’ufficio tecnico sulla base delle suddette argomentazioni, ricordando però che non è semplice ottenere il mutamento di opinioni e di prassi già consolidate.
Se ciò non fosse sufficiente, prima di presentare una SCIA che verrebbe sicuramente colpita da un provvedimento negativo, è opportuno valutare se nel caso di specie sia più conveniente (anche a livello economico) correre il rischio processuale e insistere con un ricorso al TAR o adeguarsi a quanto richiesto dalla P.A. e trovare una diversa sistemazione al deposito.

Francesco B. chiede
domenica 18/07/2021 - Lazio
“Gent. mi,

Vorrei sapere se è legale locare un bene immobile accatastato come magazzino con Booking o con Airbnb.

Mi piacerebbe fare partire la mia attività da settembre e vorrei sapere se è necessario l'accatastamento come "abitabile" oppure, nei casi suddetti, se ne può fare a meno.

Attendo Vostre.

Pax et bonum.”
Consulenza legale i 21/07/2021
In risposta al quesito, va chiarito che le piattaforme quali booking o airbnb generalmente non si interessano della classificazione catastale degli immobili presenti sui loro siti web, ponendo sul proprietario l’onere di verificare autonomamente il rispetto della normativa nazionale.
Il fatto che in astratto ogni tipo di immobile possa essere inserito negli elenchi gestiti da tali piattaforme, però, non significa che un tale comportamento sia conforme a legge; anzi, il fatto di offrire in locazione un immobile non abitativo può dare luogo a vari ordini di conseguenze pregiudizievoli.

In primo luogo, va ricordato l’art. 4, D.L. n. 50/2017, convertito il L. n. 96/2017, che, occupandosi della questione dal punto di vista fiscale, definisce le locazioni bervi come “i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni, ivi inclusi quelli che prevedono la prestazione dei servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali, stipulati da persone fisiche, al di fuori dell'esercizio di attività d'impresa, direttamente o tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, ovvero soggetti che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in cerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare”.
L’incongruenza della classificazione catastale rispetto al modello previsto dalla detta legge, dunque, potrebbe facilmente avere dei risvolti negativi nei confronti del Fisco al momento della tassazione di tali contratti.
Tra l’altro, alcuni Comuni richiedono per l’esercizio dell’attività l’iscrizione dell’immobile in appositi registri, che molto probabilmente presuppongono che l’immobile possieda una destinazione abitativa.

In secondo luogo, si nota che, ai sensi dell’art. art. 23 ter del T.U. edilizia, il mutamento d’uso che comporti il passaggio ad una diversa categoria funzionale, anche se attuato senza opere edilizie, non è libero, ma deve essere autorizzato mediante apposito titolo abilitativo.
Nel nostro caso, si nota che tale passaggio di certo avverrebbe, come anche chiarito da recente giurisprudenza, secondo cui non si può ritenere urbanisticamente irrilevante la trasformazione di un magazzino per deposito attrezzi (analogamente al caso di una soffitta o di un garage) in un locale abitabile, in quanto essa integra una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico (T.A.R. Roma, sez. II, 14 settembre 2020, n. 9570; T.A.R. Salerno, sez. I, 14 maggio 2018, n. 742).
Pertanto, l’utilizzo di un magazzino quale casa vacanze potrebbe dare luogo anche all’applicazione di sanzioni di tipo edilizio.

Infine, si rileva che gli immobili destinati alla permanenza di persone devono possedere i requisiti igienico sanitari di abitabilità (superfici minime, altezze ecc.) e, in mancanza, il Comune può legittimamente adottare un ordine di sgombero (T.A.R. Roma, sez. II, 10 gennaio 2012, n. 178).

In conclusione, prima di avviare l’attività è opportuno regolarizzare i suddetti aspetti, in modo da evitare di incorrere in eventuali sanzioni.


Remigio F. chiede
mercoledì 28/04/2021 - Liguria
“Il padre concede a suo figlio l'uso di un locale accatastato C2, che lo utilizza come deposito attrezzi e materiali per la propria attività di termoidraulico specializzato in installazione di impianti di riscaldamento e climatizzazione-idrosanitari e a gas. Ciò senza che nel locale venga lavorato alcun prodotto destinato alla vendita.
Si chiede se sotto il profilo urbanistico/fiscale sia necessario procedere ad una variazione della categoria catastale del locale, atteso che mio figlio è artigiano coni seguenti codici
-ATECO 43.22.01
-NACE 43.22”
Consulenza legale i 06/05/2021
Per rispondere al presente quesito è opportuno esaminare separatamente i due ambiti che possono venire in rilievo, ovvero quello urbanistico e quello catastale.
Infatti, la categoria catastale assume importanza prettamente a fini fiscali, ma non dal punto di vista della regolarità edilizia-urbanistica, che è disciplinata da diverse norme e principi e il cui controllo è demandato al Comune.
Riguardo al primo aspetto, si rileva che con l’espressione “destinazione d’uso” si intende la specifica funzione attribuita ad un determinato immobile (ad es. residenziale, agricola e così via), che generalmente è stabilita sulla base di quanto indicato nel titolo abilitativo che ne ha consentito la costruzione (art. 9 bis T.U. Edilizia).
Naturalmente è possibile nel corso del tempo modificare tale destinazione, sia mediante la realizzazione di opere edilizie e sia senza opere.
In entrambi i casi, l’art. 23 ter, T.U. Edilizia qualifica come mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, che comporti il “salto” ad una diversa categoria funzionale tra quelle elencate al comma 1 dello stesso articolo.
Invece, il mutamento della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito, salvo le eventuali diverse disposizioni delle leggi regionali.

L’aspetto problematico attinente al quesito è costituito dal fatto che i magazzini e i depositi hanno generalmente una funzione accessoria ad altre attività economiche e, quindi, potrebbero astrattamente appartenere all’una o all’altra categoria funzionale a seconda dell’uso che concretamente ne viene fatto (si pensi ad esempio ad un magazzino a servizio di un negozio al dettaglio, oppure ad un deposito di attrezzi agricoli o di materiali di produzione utilizzati da un’impresa).
Per quanto qui ci occupa, comunque, l’art. 13, L.R. Liguria n. 16/2018, precisando le definizioni delle categorie funzionali previste dalla legislazione nazionale, fa rientrare nella categoria produttiva e direzionale le “attività artigianali di produzione di beni e servizi, delle attività industriali, logistiche per il trasporto, la movimentazione, il deposito di merci e prodotti, la distribuzione all'ingrosso delle merci, delle attività terziarie e delle attività direzionali separate dalle sedi operative delle imprese e delle attività per la produzione, lo stoccaggio e la distribuzione di energia anche da fonti rinnovabili”.
Non sembra, invece, potersi richiamare nel nostro caso la categoria commerciale, dato che il deposito in parola non è al servizio di un esercizio di vendita, bensì di un’attività di produzione di servizi, e che, secondo il citato articolo 13, la destinazione commerciale comprende le diverse attività di distribuzione al dettaglio, nonché le attività di servizio alla persona ed all'impresa e dei pubblici esercizi, definite dalla vigente normativa regionale in materia (art. 13, comma 1, lettera d), L.R. Liguria n. 16/2018).

Tanto chiarito, si nota che il citato art. 13 poi ammette generalmente il mutamento di destinazione d’uso che non determini il passaggio a una diversa categoria funzionale, stabilendo che i piani urbanistici comunali possano porre limitazioni soltanto in caso di interventi di sostituzione edilizia e di nuova costruzione di edifici oppure per assicurare la compatibilità di tali interventi con la normativa in materia di tutela dell'ambiente.
Infine, va ricordato che, ai sensi dell’art. 13 bis, .R. Liguria n. 16/2018, i mutamenti di destinazioni d’uso urbanisticamente rilevanti ma non comportanti opere edilizie sono soggetti a semplice SCIA e non richiedono il permesso di costruire.
Visto quanto sopra, per essere in regola a livello urbanistico-edilizio, è opportuno anzitutto verificare se l’attuale destinazione d’uso dell’immobile sia già compresa nella categoria produttiva-direzionale.
In caso affermativo, l’utilizzo quale magazzino può ritenersi consentito senza bisogno di particolari adempimenti di tipo edilizio-urbanistico, a meno che non vi siano limitazioni specifiche nello strumento urbanistico comunale, da verificare; in caso contrario è necessario munirsi del prescritto titolo abilitativo, che –come detto- nell’ipotesi in cui non siano state eseguite opere si identifica con la SCIA.

Da un punto di vista fiscale, invece, è necessario comunicare all'Agenzia i dati del nuovo deposito, al fine di assolvere all'obbligo di comunicazione, all'amministrazione finanziaria, di tutti i luoghi in cui si possono trovare i beni o le merci aziendali e ciò al fine di superare la presunzione di cessione di cui all'art. 53 del DPR n. 633/72.

Paolo Z. chiede
martedì 05/01/2021 - Veneto
“Segue, pareri n. Q202026897-Q202026975
Il sottoscritto locatore, in forza di un contratto di sublocazione (registrato) vincolato a quello di locazione, detiene in subaffitto il sottotetto, cat.C2 classe 8. Sono in quiescenza e uso questo sottotetto come ufficio privato, deposito di documenti della cessata attività. Detto sottotetto è provvisto di energia elettrica, acqua e gas provenienti dalle utenze del conduttore che viene ricompensato con una cifra mensile a forfait per sublocazione e utenze.
Il sottotetto è anche provvisto di un piccolo bagno. E' consentito che un sottotetto disponga di tutti gli allacciamenti? di un bagno? Posso usarlo come ufficio/deposito personale?

Consulenza legale i 12/01/2021
Per rispondere al quesito è necessario, anzitutto, precisare che per costante giurisprudenza la categoria catastale di un immobile rileva più che altro a fini fiscali e non è di per sé dirimente al fine di verificare la legittima destinazione d’uso dello stesso dal punto di vista urbanistico-edilizio (ex multis T.A.R. Napoli, sez. III, 13 maggio 2020, n. 1750).
Infatti, ai sensi dell’art. 9 bis del T.U. Edilizia lo “stato legittimo” di un immobile è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali.
Le informazioni ricavabili dal catasto, invece, rilevano soltanto in via residuale per gli immobili realizzati in un'epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizi.
Pertanto, più che la compatibilità dell’utilizzo del locale come ufficio con la classe catastale ad esso attribuita (che peraltro è dubbia, dato che gli uffici appartengono alla categoria A10 e non alla C2) è necessario valutare la conformità alla destinazione d’uso con le norme edilizie-urbanistiche.

Nel caso di specie, tuttavia, non è noto se la realizzazione del bagno all’interno del sottotetto sia stata autorizzata con titolo edilizio e se l’immobile possieda tutte le caratteristiche minime per ottenere l’abitabilità, né le specifiche disposizioni delle norme pianificatorie comunali; pertanto, è possibile dare soltanto un quadro generale della disciplina di riferimento e alcune indicazioni pratiche.

Non sussistendo, per quanto noto allo scrivente, specifiche disposizioni della Regione Veneto sul punto, viene in rilievo l’art. 23 ter del T.U. Edilizia, ai sensi del quale costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile diversa da quella originaria che comporti il passaggio dell’immobile ad una diversa categoria funzionale rispetto a quella di partenza, tra quelle elencate nel medesimo articolo.
Tale mutamento necessita sempre di un apposito titolo abilitativo edilizio in quanto è in grado di influire sul carico urbanistico della zona (Consiglio di Stato, sez. IV, 13 novembre 2018, n. 6388).
Va sottolineato che il titolo abilitativo è richiesto anche in casi, come parrebbe essere quello di specie, in cui il mutamento sia solo funzionale, ossia venga attuato senza la realizzazione di opere, con la conseguenza che, anche in tale ipotesi, qualora non venga ottenuto il necessario permesso di costruire trovano applicazione le sanzioni previste dal T.U. edilizia (Consiglio di Stato, sez. VI, 15 giugno 2020, n. 3803; T.A.R. Milano, sez. II, 01 luglio 2020, n. 1267.)

Le categorie funzionali che possono in astratto venire in rilievo per quanto concerne l’immobile di cui al quesito sono quella produttiva e direzionale, alla quale di solito vengono ricondotti anche gli uffici, e quella commerciale.
Infatti, quando si tratta di magazzini la giurisprudenza valuta l’utilizzo concreto dell’immobile, che può essere ad esempio posto a servizio di un’attività produttiva, oppure può essere strumentale all'esercizio di un’attività commerciale (Consiglio di Stato, sez. IV, 13 novembre 2018, n. 6388).
Nel primo caso la circostanza di adibire il sottotetto ad ufficio non determinerebbe alcun passaggio ad una diversa categoria omogenea, mentre nel secondo caso tale passaggio si verificherebbe, con tutte le conseguenze che derivano.
In conclusione, al fine di evitare di incorrere in sanzioni, è consigliabile verificare, anzitutto, se il sottotetto, come oggi esistente, è regolare dal punto di vista edilizio (cioè se tutte le opere ivi presenti sono provviste del richiesto titolo abilitativo).
Inoltre, per chiarire se l’utilizzo quale ufficio è legittimo, è opportuno verificare cosa era previsto sul punto nel titolo abilitativo originario e se l’attuale destinazione è compatibile con le specifiche previsioni di zona e se l’utilizzo quale ufficio abbia determinato il “salto” tra una categoria funzionale e l’altra.
Nell’ipotesi in cui tale compatibilità non sussista l’utilizzo quale ufficio non può essere legittimamente attuato, mentre nel caso tale compatibilità sussista ma comporti un mutamento di destinazione sia qualificabile come urbanisticamente rilevante, secondo il citato art. 23 ter, sarà necessario munirsi del titolo abilitativo edilizio, indipendentemente dalla realizzazione di nuove opere e dall'attuale inquadramento catastale del sottotetto.


V. V. chiede
mercoledì 07/11/2018 - Veneto
“Spett. Studio,
devo aprire uno Studio e Galleria d'Arte in due locali di categoria C3 in cui produrrò, esporrò e venderò quadri dipinti da me. Una parte del laboratorio è attrezzata per l'esposizione di quadri alle pareti ed è assimilabile ad uno show room di un laboratorio artigiano. Ho intenzione di affittare gli spazi espositivi anche ad altri artisti. Non vorrei cambiare la destinazione d'uso dei locali perchè non li considero negozio e ritengo che se i locali rispondono a requisiti di sicurezza e accessibilità possono essere aperti al pubblico. Vorrei che lo Studio e Galleria d’Arte rimanesse un laboratorio, anche perché è denominato “Antica Officina”. Il mio comune richiede una SCIA per le mostre con una relazione fatta da un tecnico che garantisce sostanzialmente che il luogo è sicuro. In sostanza vorrei sapere se posso svolgere le attività esposte senza esser obbligato a cambiare la destinazione d'uso del laboratorio che mi costringerebbe a snaturare la tipologia dell’immobile, a ritardare ulteriormente l'apertura della Galleria già rinviata più volte per motivi burocratici e, soprattutto, a spostare la mia mostra personale con la quale vorrei inaugurare la Galleria e per la quale ho già fatto stampare materiale promozionale e inviato inviti.
Grazie.

Consulenza legale i 13/11/2018
Tutte le volte in cui si pone la necessità di stabilire se un immobile possa essere o meno idoneo a svolgervi una determinata attività, non ci si può esimere dal fare riferimento alle norme dettate in materia di catasto edilizio urbano.
Quest’ultimo, infatti, è il documento ufficiale contenente l'inventario di tutti i fabbricati presenti sul territorio nazionale, da cui può evincersi ogni informazione relativa, tra l’altro, alla esatta identificazione del bene ed alla sua natura tecnica.

E’ stato con il R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652 (Accertamento generale dei fabbricati urbani, rivalutazione del relativo reddito e formazione del nuovo catasto edilizio urbano), convertito con la Legge n. 1249 del 1939, a sua volta modificata dal D.L. 8 aprile 1948, n. 514, che si è provveduto all'accertamento dei fabbricati e delle costruzioni non censite al catasto terreni, suddividendo gli stessi in varie categorie ricomprese all’interno di due specifici insiemi, e precisamente:
A) Immobili a destinazione ordinaria, qualificati in:
GRUPPO A - tipologie abitative e uffici privati;
GRUPPO B – tipologie di immobili per uso collettivo o con funzioni pubbliche.
GRUPPO C – tipologie di immobile per fini commerciali
B) Immobili a destinazione speciale o particolare, qualificati in:
GRUPPO D – immobili per destinazioni industriali o commerciali
GRUPPO E – immobili con destinazioni di interesse pubblico.
GRUPPO F - Categorie fittizie.

All’interno del gruppo C si individuano ben sette categorie catastali, che vanno appunto dalla categoria C1 alla categoria C7, fra le quali quelle che possono venire in rilievo in questo caso, ovviamente in relazione al tipo di attività che si andrà a svolgere, sono le categorie C1 e C3.
Analizziamole dettagliatamente.

Nella categoria C1 vi si fanno rientrare gli immobili destinati a negozi e botteghe.

Nella categoria C3, invece, debbono essere inclusi i fabbricati destinati a laboratori per arti e mestieri.

A questo punto, il passaggio successivo che va compiuto consiste nel cercare di stabilire con esattezza cosa si intende con i termini negozi-botteghe-laboratori per arti e mestieri, ed è questa la definizione che viene generalmente riconosciuta:
  1. per negozio deve intendersi l’unità immobiliare destinata all'esercizio commerciale (con vendita all'ingrosso o al dettaglio) e, in parte marginale, all’attività amministrativa di servizio.
Tale unità deve essere munita per legge di servizi igienici e può essere corredata da eventuali pertinenze accessorie (retro negozio, soppalco, etc.).
  1. per bottega deve intendersi un locale generalmente a piano terra, privo di mostra, dove l'artigiano lavora o il mercante vende la sua merce.
Requisito essenziale delle unità immobiliari di questo tipo è quello di avere accesso diretto dalla strada pubblica; tali locali possono anche essere ubicati, in tutto o in parte, sopra o sotto il livello stradale.
  1. per laboratorio, invece, deve intendersi un locale o gruppi di locali costituenti un'unità immobiliare con destinazione terziaria adibiti all'esercizio di un mestiere ovvero ad attività artigianale, a carattere non imprenditoriale, con eventuale vendita al dettaglio, nel quale gli artigiani provvedono alla lavorazione di semilavorati in prodotti finiti.

Dalle definizioni sopra date se ne deve dedurre che l’attività che si intende svolgere necessità di un fabbricato che dovrà in parte rientrare nella categoria catastale C1 ed in parte nella categoria catastale C3.

Più precisamente si ritiene che il fabbricato debba essere destinato a laboratorio con categoria catastale C3 per la parte ove verrà svolta l’attività artigianale vera e propria, con diritto a vendere anche i prodotti frutto del proprio lavoro (nel laboratorio i prodotti semilavorati vengono trasformati in prodotti finiti ed eventualmente venduti al dettaglio).

Occorrerà, invece, che il medesimo fabbricato possieda la classificazione catastale C1 per la parte in cui verrà effettuata l’esposizione non tanto dei prodotti del proprio lavoro, ma dei prodotti degli altri artigiani, che lì non svolgono alcuna attività artigianale.

Infatti, ciò che può ritenersi consentito in un locale con destinazione catastale C3 è soltanto lo svolgimento della propria attività artigianale con esposizione e vendita al dettaglio dei propri prodotti; nel momento in cui, invece, vengono esposti opere di soggetti terzi, per essere anch’esse vendute, ci si trova in presenza di una vera e propria attività commerciale, per lo svolgimento della quale si richiede che il locale abbia la destinazione catastale C1, assumendo la natura di negozio.
A ciò si aggiunga un’altra considerazione: anche la semplice locazione degli spazi espositivi costituisce attività commerciale, derivandone da essa comunque un ricavo e/o guadagno per effetto del prezzo che ne viene corrisposto.

Ora, considerando che la destinazione del locale a categoria catastale C1 risponderebbe ai requisiti richiesti dalla legge per svolgervi tutte le attività che si intendono realizzare, ciò che si consiglia, soprattutto per lavorare con serenità e senza rischiare di incorrere in eventuali sanzioni (compresa una chiusura forzata del locale per mancanza dei requisiti di legge), è di effettuare, a mezzo di un tecnico, il cambio di destinazione d’uso da C3 a C1 (si tenga conto che con la procedura DO.C.FA. il cambio sarebbe molto veloce, realizzandosi solo per via telematica).
In alternativa, e dati i tempi ristretti, si consiglia di inaugurare la propria attività soltanto con l’officina e l’esposizione (anche per eventuale vendita) dei propri prodotti, facendo partire in un secondo momento l’attività di affitto degli spazi per esporre nella galleria d’arte.

Ultima soluzione, se lo stato dell’immobile lo consente e non necessita di particolari opere, può essere quella di mantenere la categoria catastale C3 per la parte di locale destinata ad officina, mentre di richiedere il cambio di destinazione a C1 solo per la parte che ospiterà la galleria.

Evidentemente i consigli qui prospettati attengono a valutazioni di carattere prettamente giuridico, mentre per una migliore scelta sotto un profilo tecnico, anche dal punto di vista delle spese che si renderà necessario affrontare, il consiglio non può che essere quello di rinvolgersi ad un tecnico di fiducia.

Deborah C. chiede
venerdì 26/01/2018 - Liguria
“Comune di L.
Il puc mi impone struttura ricettiva sul mio terreno regolarmente edificabile,con lo sblocca italia rientro nella stessa categoria per cui non ho problemi a fare il mutamento di cambio destinazione d'uso ? io voglio costruire una casa privata
grazie
D.”
Consulenza legale i 30/01/2018
Il termine PUC sta per piano urbanistico comunale. E’ costituito da elaborati cartografici e tecnici, oltre che dalla normativa che regolamenta la gestione delle attività di trasformazione urbana e territoriale del comune.
E’ dunque uno strumento di pianificazione urbanistica e suddivide il territorio comunale in parti, e per ciascuna di esse indica prescrizioni, definisce vincoli ed individua strumenti per garantire la tutela dell'ambiente, del patrimonio edilizio ecc. ecc.

In base a quello che leggiamo nel quesito, nel PUC del comune di residenza il terreno su cui si vorrebbe edificare una casa privata rientrerebbe nella zona in cui invece sono previste solo strutture ricettive.
Fermo restando il fatto che il cambio destinazione d'uso deve avvenire nel rispetto delle norme della pianificazione comunale, facendo riferimento all’art.23 ter contenuto nel DPR 380/2001(articolo introdotto dalla L.164/2014) possiamo affermare che una struttura ricettiva fa parte di una diversa categoria funzionale rispetto a quella di cui fa parte una privata abitazione.
Come prevede la norma in questione, il mutamento della destinazione d’uso per essere “non rilevante” deve avvenire all’interno di una medesima categoria funzionale.
Invero, nel caso di specie, si passerebbe da una categoria funzionale ad un’altra.
Quindi, rispondendo alla domanda, il cambiamento della destinazione d’uso sarebbe rilevante.

Come ha ribadito recentemente anche il Tar Lazio con sentenza n.4577 del 2017: “deve ritenersi che solo il cambio di destinazione d'uso fra categorie edilizie omogenee non necessita di permesso di costruire (in quanto non incide sul carico urbanistico) mentre, allorché lo stesso intervenga tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee, così come tra locali accessori e vani ad uso residenziale, integra una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico, con conseguente assoggettamento al regime del permesso di costruire.

Precisato ciò, considerato che è lo stesso legislatore nel sopra citato art. 23 ter a far salva la “diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali”, suggeriamo di interpellare un tecnico abilitato (geometra, ingegnere o architetto) per ogni più opportuna verifica pratica anche in relazione alla regolamentazione urbanistica vigente nel comune.

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