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Articolo 11 Preleggi

[Aggiornato al 26/11/2024]

Efficacia della legge nel tempo

Dispositivo dell'art. 11 Preleggi

La legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo(1)(2).
I contratti collettivi di lavoro possono stabilire per la loro efficacia una data anteriore alla pubblicazione, purché non preceda quella della stipulazione.

Note

(1) Tale principio, in quanto privo di rango costituzionale, può essere discrezionalmente derogato dal legislatore ordinario. Pertanto il legislatore può ritenere opportuno estendere gli effetti di una legge anche al passato (es.: aumenti di stipendio con decorrenza retrodatata); sono retroattive le leggi penali più favorevoli al reo (art. 2 c.p.); sono retroattive le leggi di interpretazione autentica, ossia le leggi che il legislatore emana per chiarire il significato di norme preesistenti.
(2) Il principio di irretroattività, derogabile da parte del legislatore ordinario, è, invece, vincolante per il legislatore regionale, perché esso è tenuto al rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, tra i quali rientra sicuramente quello in esame. Anche per i regolamenti [v. 3] e per le fonti gerarchicamente subordinate alla legge, il principio di irretroattività ha valore tassativo ed inderogabile.

Ratio Legis

Il principio di irretroattività è per il legislatore statale meramente direttivo ed ammette deroghe, sia pure in presenza di adeguate ragioni giustificatrici. Esso rappresenta un criterio interpretativo per gli applicatori della norma: la retroattività deve essere sancita espressamente dal legislatore o comunque, ricavarsi in maniera non equivoca dalla formulazione della norma; nel dubbio, la legge dovrà considerarsi irretroattiva. In generale può affermarsi il principio che solo le norme favorevoli per i destinatari possono avere efficacia retroattiva.

Brocardi

Ius novum
Ius superveniens
Leges posteriores ad priores pertineant, nisi contrariae sint
Quod postremum populus iussisset, id ius ratumque esset

Spiegazione dell'art. 11 Preleggi

L'art. 11 riproduce testualmente l'art. #2# del codice abrogato. La Commissione reale, per rendere la disposizione della norma più conforme alla realtà e tenendo conto dei moltissimi casi in cui si ha la retroattività della legge, aveva proposto che si dicesse: "La legge, di regola, non dispone che per l'avvenire, ecc."
Il progetto definitivo non accolse l'emendamento, notando che la modificazione turbava, senza una concreta utilità, la formula tradizionale della disposizione vigente.
"La regola - osserva la relazione ministeriale - non è che un canone di interpretazione, cosicché è di per sé evidente che la retroattività può in singoli casi essere disposta dalla legge stessa. D'altra parte, l'inciso predetto - inserito nella proposizione iniziale dell'articolo e non anche nella successiva, che è esplicativa della prima - turberebbe l'equilibrio della disposizione, non senza il pericolo di imprevedibili critiche da parte degli interpreti, trattandosi di materia fra le più disputate."
Data, dunque, la completa uniformità della disposizione con quella corrispondente del vecchio codice, è ancora possibile consultare la dottrina costituitasi intorno a questa e i relativi lavori illustrativi. La materia "fra le più disputate", come dice il Ministro, è restata tale.
Come si insegna comunemente, la legge è limitata nello spazio e nel tempo. Tale disposizione considera la legge relativamente al tempo.
Si affaccia così il problema della irretroattività della legge, che ha tanto affaticato la dottrina italiana e quella straniera.
Secondo l'art. 11 vi sarebbe una regola generale, quella della non retroattività, e come eccezione la retroattività.
Tuttavia, è stato giustamente osservato che la irretroattività e la retroattività sono due regole egualmente concorrenti, giacché se non c'è dubbio che, per principio generale, assicurata la protezione statale alla condotta umana svoltasi in conformità di una norma giuridica in un dato momento, il titolare del diritto protetto deve poter contare sulla inalterata applicazione di detta norma al suo diritto; è del pari un principio generale che vi sono istituti e rapporti giuridici, nei quali il conflitto tra interessi privati e interessi pubblici non può essere risolto senza far prevalere i superiori criteri di ragione pubblica alle subordinate esigenze delle situazioni giuridiche private. Tuttavia l'osservazione, anziché risolvere, aggrava il problema, poiché diventa allora necessario precisare come i due principi, coesistendo, possano armonizzarsi. Per risolvere la questione, non ci si può affrancare dall'ambito della casistica.
La dottrina ha cercato di superare le difficoltà mediante il principio del diritto quesito o acquistato il quale, dovuto al Lassalle, fu perfezionato dal Gabba. Secondo questo scrittore il diritto quesito sarebbe quello che deriva da un fatto, idoneo a produrlo, in virtù della legge del tempo in cui il fatto venne compiuto, e che è entrato a far parte del patrimonio di una persona, sebbene l'occasione di farlo valere si presenti soltanto sotto la nuova legge.
Se si tratta, invece, di facoltà o di aspettativa, si applica la legge nuova. In tal caso, invero, non ricorrono situazioni legittimamente consolidate sotto il vecchio regime, ma semplici interessi che attendono la loro realizzazione, la quale si effettua più tardi, col mutato ordinamento. La non retroattività, dunque, concernerebbe soltanto i diritti quesiti. Questi, poi, non si avrebbero che nel campo del diritto privato e, più precisamente, in quello del diritto patrimoniale.
Questa è una logica conseguenza del principio esposto, ma genera inconvenienti. I maggiori si osservano quando la dottrina si applica alla legge regolatrice della capacità della persona. Così chi ha raggiunto la maggiore età col compimento del diciottesimo anno, dovrebbe ridiventare minore se una nuova legge fissasse la maggiore età a venticinque anni, giacché non avrebbe in tal caso un diritto patrimoniale quesito; e chi ha fatto testamento a diciotto anni, come la legge vigente gli consente, si vedrebbe invalidato il testamento, se la nuova legge elevasse a vent'anni la capacità testamentaria attiva. Questi risultati ed altri analoghi, che sono stati posti in evidenza dagli scrittori, fanno dubitare della bontà della dottrina, sebbene gli autori li giustifichino con sottili ragionamenti.
Ad essa, perciò, si vorrebbe sostituire quella del fatto compiuto, che così si può riassumere: la massima "la legge non ha forza retroattiva" significa che il giudice non può applicarla a fatti passati, conoscendone le conseguenze già avverate o togliendone l'efficacia o attribuendone una diversa alle conseguenze nuove in base alla valutazione del fatto passato (o compiuto).
Lo stesso concetto è espresso in forma più palese, osservando che la nuova legge non è applicabile se, per regolare le conseguenze che si manifestano sotto il suo impero, occorre risalire al fatto compiuto sotto il regime dell'antica, e valutarlo alla stregua dell'attuale; la nuova legge è, invece, applicabile quando le conseguenze del fatto compiuto sotto l'antica legge, che si svolgono sotto il nuovo regime, possono essere considerate per sé stesse, in modo che il fatto compiuto (il passato) non venga ad essere regolato neppure indirettamente dall'attuale.
In tal guisa chi ha acquistato la maggiore età sotto la legge previgente, conserva tale suo stato anche sotto la nuova, che elevasse i limiti della maggiore età; e i negozi giuridici sotto l'antica legge avranno piena efficacia anche sotto la nuova; ma se questa chieda una diversa età per determinati atti, che si debbano compiere sotto il suo impero, la nuova legge deve essere osservata. Egualmente il testamento fatto sotto l'impero di una legge abrogata, che ne riconosceva la capacità al disponente, resta valido anche sotto la nuova, che richiedesse una diversa età per la capacità testamentaria; ma se la morte avviene sotto l'impero di una nuova legge, bisogna prendere questa in considerazione per giudicare della validità delle disposizioni testamentarie.
Vi sono, peraltro, leggi costantemente retroattive o iperretroattive, le quali, per loro natura, non conoscono le frontiere del fatto compiuto o del diritto quesito ed estendono la loro efficacia su tutto il settore della loro attività.
Tali sono :
a) le leggi di diritto pubblico o di ordine pubblico. Riconosciute certe situazioni giuridiche contrarie ai nuovi principi, che disciplinano la vita della collettività, non è tollerabile il permanere delle stesse, se anche l'atto o il negozio giuridico fu compiuto sotto il regime permissivo dell'antica legge.
Qui entra in conflitto l'ordine pubblico col diritto privato, e non è dubbio il sacrificio del secondo. Allora il giudice valuta nuovamente il fatto compiuto, in base alla nuova legge. Perciò si afferma che in materia di diritto pubblico non vi sono diritti quesiti;
b) le leggi interpretative. Si tratta dell'interpretazione autentica della legge. Se il legislatore riconosce alla legge in vigore un significato che non era fatto palese dalla sua dizione letterale o che era dubbio, è evidente che la legge resta quella che era, e che essa ha l'efficacia che avrebbe dovuto avere fin dall'inizio della sua applicazione.
La legge interpretativa ha, dunque, effetto retroattivo; ma si tratta di una pseudo-retroattività, perché non sostituisce in realtà un regime nuovo rispetto all'antico. In effetti, essa non agisce sulle controversie che sono state esaurite con sentenza passata in giudicato, o con transazione, che ha il valore di giudicato fra le parti, quando l'una e l'altra hanno accolto, per quel determinato affare, una interpretazione della legge diversa da quella che il legislatore ha dato più tardi;
c) le leggi penali. Queste, però, possono considerarsi comprese nella prima categoria come leggi di ordine pubblico. La loro efficacia è caratterizzata dal fatto che se le nuove non riconoscono come reati determinate azioni o se diminuiscono le pene per determinati reati, esse agiscono per il passato e si applicano anche ai fatti commessi sotto il regime della legge abrogata, benché abbia già avuto luogo il giudizio, e salvo che vi sia stata sentenza irrevocabile. Quando, invece, la nuova legge colpisce fatti che l'antica non puniva o commina una pena più grave, benché legge di ordine pubblico, non si applica ai fatti commessi sotto 1'impero dell'antica legge.

Va fatta eccezione per le leggi temporanee o eccezionali, e nei casi di decadenza e di mancata ratifica di un decreto legge o di un decreto legge convertito in legge con emendamenti.

La materia, benché disciplinata dagli accennati principi resta, tuttavia, dubbiosa, pur dovendo riconoscere che maggiori sono le difficoltà nel formulare una dottrina della retroattività delle leggi, che nell'applicarne i principi nella pratica giudiziaria.
Ciò dipende anche dal fatto che il legislatore ordinariamente è solito disciplinare il passaggio dal vecchio al nuovo regime mediante disposizioni transitorie, con le quali vengono regolate le maggiori questioni. Le dette disposizioni talvolta rendono non applicabile al passato la legge nuova, che per sé stessa avrebbe tale efficacia e lascia disciplinare ancora con l'antica rapporti giuridici, le cui conseguenze si effettuano sotto il nuovo regime.
Ragioni politiche o di equità suggeriscono di alterare il sistema generale dell'efficacia della legge nel tempo.
Si ha in tal modo il fenomeno della sopravvivenza del diritto abolito, detto anche ultra-attività.

Massime relative all'art. 11 Preleggi

Cass. civ. n. 16620/2013

Il principio della irretroattività della legge (art. 11 disp. preliminari c.c.) comporta che la legge nuova non possa essere applicata, oltre ai rapporti giuridici esauritisi prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente ancora in vita se, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi nel fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali o future di esso; la legge nuova è, invece applicabile ai fatti, agli "status" e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore. (In applicazione di tale principio la S.C. ha confermato la decisione impugnata che aveva ritenuto viziata da inefficacia sopravvenuta, per effetto della normativa introdotta dall'art. 22 della legge reg. Sicilia 10 gennaio 1993, n. 22, la clausola, presente in due disciplinari di incarico a professionisti precedentemente stipulati, che subordinava il pagamento del corrispettivo all'avvenuto finanziamento dell'opera).

Cass. civ. n. 23827/2012

La natura interpretativa di una disposizione normativa, comportando una deroga al principio della irretroattività della legge, nel senso di determinare l'applicazione della nuova disposizione anche al passato, principio senz'altro valido anche nel diritto comunitario, deve risultare chiaramente dal suo contenuto, il quale deve non solo enunciare il significato da attribuire ad una norma precedente, ma anche la volontà del legislatore di imporre questa interpretazione, escludendone ogni altra. (Nella specie, la S.C., respingendo la proposta di impugnazione, non ha ravvisato, nell'art. 24 del Reg. CEE n. 479 del 29 aprile 2008, il carattere di norma interpretativa dell'art. 19 del Reg. CEE 17 maggio 1999, n. 1493, in tema di organizzazione comune del mercato vinicolo, mancando, nel primo, entrambi i descritti requisiti).

Cass. civ. n. 2433/2000

Il principio dell'irretroattività della legge comporta che la legge nuova non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita se, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi del fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali e future di esso. Lo stesso principio comporta, invece, che la legge nuova possa essere applicata ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in sè stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore. (In base al suddetto principio la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, in una fattispecie relativa alla ripetizione dei ratei dell'indennità di accompagnamento indebitamente versati, aveva ritenuto di attribuire valore retroattivo all'art. 4, commi terzo ter e terzo nonies, del D.L. n. 323 del 1996, convertito nella legge n. 425 del 1996, che hanno abrogato l'art. 11, comma quarto, della legge n. 537 del 1993 stabilendo che la revoca delle provvidenze a favore degli invalidi civili ha effetto a decorrere dalla data della visita medica di verifica dell'insussistenza dei requisiti sanitari e, quindi, non più dall'anno precedente la data dell'accertamento in sede amministrativa dell'insussistenza dei requisiti stessi).

Cass. civ. n. 5369/1997

Il principio della irretroattività della legge (sancito dall'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale) deve ritenersi applicabile anche alle norme di ordine pubblico, e non trova, pertanto, deroga nel disposto della legge 6 agosto 1967, n. 765, il cui art. 18, prevedendo lo specifico obbligo di riservare appositi spazi condominiali a parcheggio, fa esplicito riferimento alle «nuove costruzioni», con la conseguenza che deve ritenersi affetta da invalidità la delibera condominiale, adottata a maggioranza, che abbia autorizzato il parcheggio degli autoveicoli nelle aree comuni di un edificio, costruito anteriormente all'entrata in vigore della citata normativa, nonostante una espressa previsione contraria contenuta nel regolamento condominiale contrattuale.

Cass. civ. n. 7905/1996

Il principio generale di irretroattività stabilito dall'art. 11 prel. c.c., in base al quale l'eventuale retroattività di una legge deve risultare da una espressa dichiarazione del legislatore o comunque da una formulazione non equivoca della norma, in mancanza della quale la legge dispone solo per l'avvenire e non ha quindi effetto retroattivo, vale anche per le fonti normative secondarie, ed è quindi applicabile al D.M. 18 giugno 1988 (Nuova tariffa dei premi per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali per il settore industriale e relative modalità di applicazione); ne consegue che la disposizione di cui agli artt. 13 e 14 di tale decreto ministeriale, secondo cui il provvedimento di rettifica, adottato dall'Inail d'ufficio o su istanza del datore di lavoro, ha effetto dalla data in cui deve essere applicata l'esatta classificazione e tassazione, è applicabile solo a partire dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto ministeriale.

Cass. civ. n. 4334/1989

La norma dell'art. 11, primo comma, delle disposizioni sulla legge in generale, nel sancire (con formulazione identica a quella accolta dall'art. 2 del c.c. del 1865 e costituente, a sua volta, la traduzione letterale dell'art. 1, n. 2, delle preleggi del codice napoleonico) che la legge non dispone che per l'avvenire e non ha effetto retroattivo, non detta un principio inderogabile in tema di efficacia della legge nel tempo, ma — nonostante l'espunzione, dal testo originario della norma, dell'inciso «di regola» — si limita ad indicare un canone interpretativo nel senso della normale irretroattività, senza escludere che la legge possa avere efficacia retroattiva per sua stessa previsione esplicita o implicita, secondo una indagine che è riservata al giudice del merito e che non può prescindere dall'intenzione del legislatore quale manifestata dai lavori preparatori.

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Consulenze legali
relative all'articolo 11 Preleggi

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

B. G. chiede
lunedì 06/11/2023
“Gentili Esperti/e,

Sono una dipendente pubblica del Comune di Venezia, operante come educatrice, attualmente in aspettativa non retribuita ai sensi dell'articolo 18 della legge n. 183 del 2010. Ho iniziato il mio primo periodo di aspettativa non retribuita nell'anno 2022 e, dopo aver usufruito di un rinnovo, mi trovo ora (novembre 2023) al termine del secondo anno.
L'aspettativa è stata una scelta obbligata a causa della fibromialgia, una malattia non ancora riconosciuta ma molto invalidante, che potrebbe costringermi anche a cambiare città per motivi climatici.
Questo tipo di aspettativa non retribuita si chiama "aspettativa per motivi imprenditoriali" e, da un punto di vista giuridico viene considerata diversamente dalle "normali" aspettative non retribuite.

Trovandomi in una situazione in cui mi era sempre più difficile recarmi al lavoro e, contemporaneamente, sperando di poter iniziare una carriera lavorativa online, questa aspettativa per motivi imprenditoriali si è trasformata in una sorta di "salvavita". Ora che sto iniziando a vedere i primi frutti del mio lavoro digitale, mi trovo in una fase delicata in cui un ulteriore anno di aspettativa non retribuita mi darebbe il tempo di stabilizzare la mia situazione senza la pressione di una decisione definitiva sul mio futuro lavorativo.

Recentemente ho scoperto per puro caso che nel giugno del 2023 è stato introdotto un nuovo disegno di legge che estende la durata massima dell'aspettativa da 12 a 36 mesi. Vorrei capire se questa modifica è applicabile alla mia situazione e, in caso affermativo, se potrei richiedere un'ulteriore estensione dell'aspettativa fino al raggiungimento dei 36 mesi totali.

Vorrei rivolgermi all'ufficio del personale svendo già informazioni precise e dettagliate sui miei diritti,
perchè inanziutto non sapevano di questa estensione che ripeto ho scoperto per caso, nonostante abbia telefonato loro dicendo che ero in difficoltà con la salute e loro mi hanno risposto di chiedere un part time verticale se non mi sentivo di rientrare già a gennaio...ma sono sicura che non sanno della legge di giugno perchè non conoscevano nemmeno le regole dell'aspettativa non retribuita per motivi imprenditoriali, sono l'unica in tutto il comune che ce l'ha (!) e quando la chiesi, dovetti io fornire loro gli articoli di legge di riferimento (no comment):
Sarebbe dunque importante per me rivolgermi a loro con una certa assertività e non chiedere "secondo voi è possibile" perchè rischio di aspettare un mese se non di più, per una cosa che mi cambia totalmente la vita e che avrei bisogno di sapere al più presto, soprattutto per le ragioni di salute indicate. L'altro rischio è che mi dicano "no" senza motivo. (Succede così a volte, perchè per non avere rogne sperano che il dipendente non si informi)

Vi ringrazio per la vostra pazienza e per l'attenzione dedicata a una questione tanto importante per me.
Vi segnalo legge di giugno 2023 anche se immagino non abbiate bisogno: legge di conversione 21 giugno 2023, n. 74

Un ringraziamento in anticipo, per la pazienza di avemi letta.
Grazie mille, Cordialissimi saluti

Consulenza legale i 12/11/2023
L’art. 11 delle Preleggi prevede che “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.

Poiché tale principio non è sancito dalla Costituzione, la giurisprudenza e la dottrina hanno ritenuto che dovesse trattarsi, in ambito civilistico, di un principio direttivo.

Pertanto, esso può essere derogato dal legislatore ma solo entro determinati limiti.

La legge, per poter essere efficace anche in riferimento a situazioni giuridiche sorte precedentemente la sua entrata in vigore deve, pertanto, possedere uno dei seguenti requisiti:
  • Deve sussistere una volontà esplicita ed espressa nella quale il legislatore attribuisce l’efficacia retroattiva della norma. L’efficacia retroattiva non può mai essere implicita ma deve essere sempre specificata.
  • L’efficacia retroattiva deve risultare palese dalla formulazione della norma tale da non consentire dubbi al riguardo.
  • La norma tutela diritti fondamentali che reclamano equale trattamento a prescindere dal tempo della loro insorgenza.
La giurisprudenza ha precisato che “al di fuori della materia penale (o, più in generale, punitiva), non ha rilevanza il fatto che, in base all’applicazione retroattiva della legge sopravvenuta, derivi al titolare della situazione soggettiva un vantaggio o invece uno svantaggio, cosicchè non deve indurre (magari inavvertitamente) ad una più liberale applicazione retroattiva della legge sopravvenuta la circostanza che una posizione tutelata ne risulti accresciuta o migliorata (o viceversa). E ciò sia perchè nei rapporti intersoggettivi al vantaggio di uno dei soggetti si correla lo svantaggio dell’altro (solitamente dovuto a ragioni di interesse generale, quando si tratti di soggetto pubblico), sia perchè nel sistema costituzionale non è, in linea di principio, interdetto al legislatore di emanare disposizioni, anche retroattive, che modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata (…)” (Cass. SU 25 maggio 1991, n. 5939).
Il principio è stato ribadito, da ultimo, anche da Cassazione Ordinanza 11750/2019 dove si legge testualmente: “l’applicazione di leggi diverse in relazione allo stesso fatto a seconda del tempo del suo accadimento è insita nel principio di irretroattività della legge: il fatto che si è perfezionato nel passato continua ad essere regolato dalla legge al tempo vigente mentre esso è regolato dalla nuova legge se si perfeziona sotto il vigore di essa. La deroga al principio di retroattività può, sì, trovare fondamento nel principio di eguaglianza ma ciò solo nell’ipotesi in cui la nuova legge tutela diritti fondamentali, che reclamano eguale tutela a prescindere dal tempo della loro insorgenza”.

A parere di chi scrive, non è possibile attribuire un’efficacia retroattiva alla norma oggetto del presente parere.

L’aspettativa è ancora in godimento, pertanto, potrebbe ritenersi che non si sia ancora perfezionata e possa essere regolata dalla novella legislativa.
Tuttavia, nel caso di specie, l’amministrazione ha già concesso l’aspettativa e il suo rinnovo nel vigore della previgente normativa. L’amministrazione, volendo applicare la novella legislativa, dovrebbe provvedere ad un’ulteriore proroga che non è prevista dalla normativa.

Il legislatore non ha previsto la retroattività della modifica dell’art. 18 citato.
Neppure trattasi di un diritto fondamentale, dal momento che rimane comunque soggetto ad una certa discrezionalità amministrativa nella sua concessione.
L’amministrazione non avrebbe comunque l’obbligo di concedere 36 mesi, dal momento che potrebbe anteporre determinate esigenze amministrative dell’ente.

E sono appunto le esigenze organizzative - che potrebbero anche motivare un diniego dell’aspettativa da parte dell’amministrazione - che ostano ulteriormente ad un’applicazione retroattiva della stessa.

Escludendo la retroattività della normativa in esame, l’unica possibilità rimane quella di sostenere che la novella possa applicarsi in quanto l’aspettativa non si è ancora conclusa.
L’argomentazione rimane debole, ma si potrebbe comunque tentare una richiesta.


V. Z. chiede
martedì 27/10/2020 - Abruzzo
“Salve io sono un dipendente del Ministero dell'Interno - Dipartimento di P.S., sono stato escluso dai vincitori di un concorso per la promozione (ruolo sovrintendenti) a vice sovrintendente della polizia di stato nel 2009. Con un ricorso al Tar mi è stato riconosciuto il diritto ad essere ammesso in graduatoria ed ho effettuato il prescritto corso di formazione con la nomina nel nuovo ruolo con decorrenza pregressa. Pertanto il ministero sta provvedendo con la ricostruzione della carriera e gli avanzamenti previsti. Tra l'inizio del ricorso e la sentenza c'è stata una variazione della normativa c.d. "riordino dei ruoli" che è più favorevole, ovvero il d.lgs. 97/17 che modifica il D.P.R. 335/82. Pertanto si sta verificando che il ministero procede con il mio avanzamento insieme ai neonominati nella qualifica a me spettante ma questi secondo la nuova normativa, mentre a me con la vecchia. Volevo porre il seguente quesito: esiste in giurisprudenza o una normativa di "salvaguardia"? L'amministrazione deve attenersi a quella in vigore al tempo oppure deve applicare la nuova normativa essendo sopraggiunta una norma più favorevole al dipendente? Con la vecchia normativa sarebbe prevista la nomina a sovrintendente nel 2010 e sovr.capo nel 2017, mentre gli attuali aventi diritto alla qualifica di sovr.capo sarano nominati con l'anno 2014? Nel 2017 è entrato in vigore il d.lgs 95/17 che prevede dette promozioni rispettivamente a 4 e 5 anni. Grazie.”
Consulenza legale i 03/11/2020

Innanzitutto si deve considerare il principio di irretroattività della legge.

Per retroattività della norma giuridica si intende la sua esplicazione di effetti all'indietro nel tempo nei confronti di rapporti e vicende verificatisi anteriormente alla sua emanazione.

Nel nostro ordinamento, vige il principio generale della irretroattività della legge: l'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale lo sancisce con norma di rango ordinario, che pertanto può essere derogata dalla legge e dalle fonti ad essa equiparate, mentre è vincolante per i regolamenti.

L’art. 2, comma 1, lettera h, del D. Lgs. 29 maggio 2017, n. 95 prevede che “i sovrintendenti che al 1° gennaio 2017 hanno maturato una anzianità nella qualifica pari o superiore a cinque anni, sono promossi, con decorrenza 1° gennaio 2017, previo scrutinio per merito assoluto, alla qualifica di sovrintendente capo”.

La decorrenza, come si evince dalla lettera della legge, è dal 1° gennaio 2017.

La disposizione di maggior favore non potrà essere applicata nel caso di specie, dal momento che per una corretta ricostruzione della carriera sarà necessario un giudizio “prognostico”, da effettuarsi ex post, verificando gli avanzamenti dei colleghi che si trovavano nella stessa posizione che avrebbe avuto l’interessato se non fosse stato escluso dal concorso del 2009.

Ragionando diversamente, per assurdo, si dovrebbe procedere alla ricostruzione di carriera di tutto il personale in forze.

Per tutto quanto sopra esposto, l’amministrazione dovrà attenersi alla legge a suo tempo in vigore e non potrà applicare la normativa di maggior favore introdotta nel 2017, se non per le progressioni di carriera successive alla sua entrata in vigore e/o comunque con decorrenza dalla data indicata dalla legge.

Angelo D. B. chiede
mercoledì 09/10/2019 - Sicilia
“Il Consiglio Comunale di un comune in data 20/06/2019, in forza del D.M. 21/122018 ha deliberato l'aumento dei compensi dei Revisori dei Conti, seppure con il massimo previsto per la fascia demografica inferiore, dando decorrenza dal 1/1/2019.
In data 3/10/2019 la giunta comunale, a seguito del pronunciamento della Corte dei Conti - Sezione Autonomie, che indica la decorrenze dell'adeguamento dalla data di esecutività della delibera consiliare, ha approvato una delibera di proposta al C.C. di rettifica della delibera del 20/06 al fine di rimuovere la decorrenza dal 1/1. Si precisa che in 3/10/2019, a seguito diffida a pagamento, l'Ente, pur facendo riserva di bartolo eventuale recupero, ha saldato il conguaglio del primo trimestre e il compenso del 2 trimestre con tariffa aggiornata
Si chiede: 1) può il Consiglio deliberare ora con effetto retroattivo l'aumento riconosciuto sin dall'1/1?; 2) ove lo dovesse deliberare, può operare forzatamente un conguaglio con i prossimi compensi?”
Consulenza legale i 21/10/2019
Per rispondere al quesito occorre premettere quanto segue.
La regola dell’irretroattività degli atti permea l’intero ordinamento giuridico; secondo la più autorevole dottrina la regola generale secondo cui la produzione di effetti di legge o atti di normazione con forza ad essa equiparata o subordinata o di atti dispositivi di portata generale decorra dal momento del perfezionamento dell’atto (art. 11 preleggi Codice Civile) implica, in linea generale, anche il principio di irretroattività del provvedimento amministrativo e solleva il problema degli stretti confini entro cui invece può ammettersi una retroattività dello stesso.

La retroattività del provvedimento amministrativo discende - peraltro in casi tassativamente elencati - per lo più da disposizione normativa (legge o atto equiparato) che disponga una deroga espressa alla legislazione ordinaria in tema di irretroattività. La retroattività per legge, in questi casi, non necessiterebbe quindi di un atto amministrativo in senso proprio operando, in linea teorica, anche a fronte di determinazioni amministrative di segno contrario.
Alla luce di quanto premesso va quindi detto, in sintesi, che in presenza di provvedimenti - come quelli adottati nel caso di specie oggetto di quesito (cfr. Delibera CC datata 20/06/2019) - diretti a trovare applicazione potenzialmente ripetuta nel tempo ad un certo numero di fattispecie (riferibili ad un certo numero di figure professionali operative al servizio dell’ente nel periodo in questione), la regola tendenziale di irretroattività dell’atto può farsi discendere pacificamente dal combinato disposto degli artt. 4 e 11 delle preleggi. Simile regola, come già detto, non può ricevere pacificamente deroga in sede di semplice esercizio di un potere discrezionale dell’amministrazione.

Rispetto al caso posto nel quesito, in linea generale ed astratta non può negarsi, quindi, la congruità di quanto deliberato dalla Corte dei Conti (deliberazione n. 14/SEZAUT/2019/QMIG allegata in atti) la quale - nel chiarire l’irretroattività dell’adeguamento tariffario previsto dal DM 21/12/2018 e quindi la sua efficacia temporale esclusivamente a partire dalla delibera di determinazione del compenso da parte dell’Ente - richiama comunque la norma di legge pertinente in materia (artt. 234 e 241 TUEL).

Nello specifico, per rispondere al primo quesito posto (“può il Comune deliberare ora con effetto retroattivo l’aumento riconosciuto sin dal 1/1? ”), risulterebbe certamente legittima la prossima adozione di delibera Consiliare in accoglimento della proposta di rettifica delle Giunta Comunale, al fine di revocare in autotutela l’efficacia retroattiva al 1/1/2019 della delibera consiliare del 20/6 u.s.

Quanto, invece, al sottoquesito relativo alla possibilità da parte del Consiglio Comunale di operare legittimamente un conguaglio forzoso rispetto ai successivi compensi da corrispondere, se già maturati, si aprono maggiori spiragli di contestazione e ragionamento.
Verrebbe in applicazione, infatti, e potrebbe essere utilmente invocata, l’eventuale lesione (ove presente e dimostrabile) al principio di legittimo affidamento ingenerato medio tempore nell’operatore professionale circa l’operato del Consiglio che, tanto più tardivamente, ha comunque corrisposto - sia pur con riserva - corrispettivi con tariffa aggiornata.
Si ricorda, infatti, al proposito, come la giurisprudenza della Corte Costituzionale abbia più volte richiamato, in tema di efficacia dell’azione amministrativa, la necessità per gli Enti di non tradire l’affidamento del privato, specie se maturato con il consolidamento di situazioni sostanziali, pur se la disposizione adottata sia dettata dalla necessità di contenere la spesa pubblica o di far fronte ad evenienze eccezionali (tra molte, vedi sentenze n. 24 del 2009, n. 374 del 2002 e n. 419 del 2000).

Una disamina di tutti i profili di contestazione prospettabili sull’operato del soggetto pubblico richiede, comunque, ove si ritenga, un ulteriore approfondimento istruttorio della pratica.

Rocco I. B. chiede
martedì 16/10/2018 - Lombardia
“Nella servitù di elettrodotto quando si scrive "leggi vigenti in materia" si fa riferimento alle leggi vigenti all'epoca della sottoscrizione del relativo contratto (volontario) oppure anche alle leggi in futuro sopravvenienti; vale a dire vigente vale solo per ora o anche per dopo nell'ambito della stessa materia? Non si ravvisa al gravamento di servitù?
Si tratta di servitù di elettrodotto secondo cc e Rd 1933 che è chiamata al rispetto delle maggiori distanze richieste dalle leggi 2001/2003 sui campi magnetici.”
Consulenza legale i 23/10/2018
Quando la norma (art. 1056 c.c.) stabilisce che ogni proprietario gravato da servitù di elettrodotto deve assicurare il passaggio delle condutture elettriche “in conformità alle leggi in materia” vuole specificare:
- che il titolare del diritto di servitù dovrà esercitarlo in conformità alla legge, con ciò intendendo qualunque legge, anche tutte quelle sopravvenute cioè successive al contratto, che disciplinino il passaggio sui fondi privati degli impianti;
- che il proprietario gravato dalla servitù sarà costretto ad accettare il passaggio delle condutture elettriche solo se tale passaggio sia effettuato nel rispetto della legge, con ciò intendendo qualunque legge vigente in materia.


Ciò premesso, la nuova normativa relativa ai campi magnetici ed alle distanze che questi possono e debbono rispettare determina non un aggravio della servitù ma un problema che va inquadrato giuridicamente in tutt’altro modo e che con l’esercizio della servitù non ha nulla a che vedere, se non marginalmente.

Chiariamo, innanzitutto, di seguito, il concetto di aggravamento della servitù.
La disciplina generale sull’esercizio delle servitù (art. 1067 c.c.) stabilisce che il proprietario del fondo dominante (in questo caso, delle conduttore elettriche) non può fare innovazioni che rendano più gravosa la condizione del fondo servente. Ebbene, per “innovazioni” si intende non solo la realizzazione di opere materiali ma altresì un qualsiasi atto posto in essere per modificare la condizione del fondo dominante.
Tali atti sono illegittimi qualora non siano compatibili con i contenuti e con i modi di esercizio della servitù stabiliti nel titolo (il contratto, in questo caso), ovvero quando determinino un mutamento sostanziale del contenuto della servitù tale da imporre al fondo servente un sacrificio ulteriore e diverso rispetto a quello originariamente contemplato; le innovazioni sono vietate, insomma, quando intensificano il peso gravante sul fondo così da rendere maggiore il sacrificio imposto al fondo servente rispetto a quello originariamente previsto.

Le innovazioni vietate conferiscono al titolare del fondo servente il diritto di convenire in giudizio la controparte per chiedere la condanna alla riduzione in pristino e il risarcimento del danno.


Ebbene, nel caso in esame non c’è alcun aggravamento di servitù nel senso sopra precisato: la servitù continua, infatti, ad essere esercitata con le medesime modalità e non sono state né realizzate opere aggiuntive e/o diverse né posti in essere comportamenti che hanno comportato, per il fondo che subisce il passaggio dell’elettrodotto, pesi diversi ed ulteriori rispetto al passato.

Ciò che invece l’adeguamento alle nuove normative comporta o ha già comportato (nel quesito non si specifica infatti se gli impianti siano già stati messi a norma o meno) è la lesione del diritto soggettivo alla salute, che – in quanto diritto costituzionalmente tutelato – dovrà prevalere rispetto ad altri diritti, benché esercitati, si noti bene, in conformità alla legge.
Se anche quindi, tornando al quesito, la servitù venisse esercitata in conformità alle autorizzazioni amministrative già rilasciate (o di nuovo rilascio) e nel rispetto della legge (anche quella sui campi magnetici) potrebbe verificarsi comunque una lesione del diritto alla salute, che andrà accertata e risarcita (ovviamente avanti al Giudice ordinario).

Si riportano, sul punto, ampi stralci di una sentenza di Cassazione del 2000 (Cassazione civile, Sezione III, 27 luglio 2000, n. 9893), che ben si adatta al caso di specie e chiarisce la questione. Si trattava di persona preoccupata per la salute sua e dei familiari a fronte del passaggio coattivo di elettrodotto – regolarmente autorizzato con decreto ministeriale - vicino alla sua proprietà.

L’Enel (che in quel caso era la controparte) sosteneva che la linea elettrica di cui erano stati autorizzati costruzione ed esercizio rientrava in un piano adottato “a conclusione di un procedimento in cui l'ente, insieme con le altre numerose amministrazioni interessate dal passaggio della linea, aveva ricercato una soluzione di tracciato che contemperasse le esigenze della pubblica utilità dell'opera con gli interferenti interessi pubblici e privati, sì che il percorso prescelto poteva essere considerato il più idoneo.”
L’ente “Sosteneva poi che fosse da escludersi una concreta situazione di pericolo per la salute, così dell'attore come in generale delle popolazioni interessate dal passaggio della linea elettrica, perché, del resto in conformità di precisa disposizione contenuta al riguardo nel decreto ministeriale di autorizzazione, l'esercizio ne sarebbe avvenuto nel rispetto delle norme contenute nel DPCM 23 aprile 1992, che, nell'ordinamento italiano, rappresenta l'unica fonte da cui risultano stabilite le soglie di sicurezza”.

In buona sostanza, Enel riteneva che, essendo l’impianto realizzato dietro apposita autorizzazione pubblica e nel rispetto della normativa in materia di sicurezza degli impianti, non poteva sussistere una concreta situazione di pericolo. Inoltre, specificava che “siccome l'elettrodotto non è ancora entrato in funzione, non si può accertare se, quando lo sarà, da esso si genererà una situazione di pericolo per la salute.”

L'attore “temendo che l'esercizio dell'elettrodotto, per la distanza tra la linea elettrica e la sua abitazione, dia luogo ad un'esposizione al campo elettromagnetico generato dal passaggio dell'energia, capace di creare pregiudizio per la sua salute, oltre che per la salute del suo nucleo familiare, ha proposto una domanda per far accertare che, alla distanza indicata, l'esposizione al campo elettromagnetico è fonte di pericolo per la salute. Ha chiesto che a tale accertamento facciano seguito provvedimenti del giudice, di inibitoria alla messa in esercizio dell'elettrodotto e di condanna al risarcimento del danno

La Corte ha statuito che “Il diritto alla salute, posto a base della domanda, è infatti un diritto fondamentale dell'individuo, che l'art. 32 Cost. protegge direttamente (…) Se ne trae, logicamente, la conclusione, che siano da considerare prive di efficacia giuridica le determinazioni contenute nei provvedimenti della pubblica amministrazione, per la parte in cui possano risultare lesive della conservazione dello stato di salute, anche quando i provvedimenti adottati costituiscano in sè manifestazione di un potere ad altri fini previsto dalla legge (Sez. Un. 6 ottobre 1979 n. 5172).
Ciò significa, riferendosi al caso in esame, che il provvedimento di autorizzazione all'impianto e messa in esercizio della nuova linea elettrica ed il conseguente provvedimento di imposizione della servitù di elettrodotto, producono effetti ablativi in rapporto al diritto reale di proprietà, perché il proprietario, oltre a dover tollerare la presenza od il passaggio sul suo fondo degli impianti di cui consta l'elettrodotto, è impedito dall'eseguire sul fondo costruzioni od in genere dallo svolgere attività che possano determinare l'insorgere di situazioni di pericolo.
Ciò non significa, per contro, che il provvedimento di autorizzazione all'impianto e messa in esercizio della linea elettrica ed il conseguente provvedimento di imposizione della servitù possano produrre l'effetto giuridico che, come risultato della prefigurata utilizzazione della linea per la trasmissione dell'energia alla potenza prevista, debba essere subìto dalle persone che hanno diritto di godere dell'immobile un pregiudizio del loro stato di salute.”
Prosegue, poi, la Corte specificando che “Contrariamente a quanto ha affermato la corte d'appello, non è necessario che il danno si sia verificato, perché il titolare del diritto possa reagire contro la condotta altrui, se essa si manifesta in atti suscettibili di provocarlo. (…) E perciò può essere chiesto al giudice di inibire all'amministrazione il comportamento costituito dal porre in esercizio un impianto che, iniziando a funzionare con le modalità previste, è accertato possa determinare una situazione di messa in pericolo della salute”.
L'inibitoria, d'altro canto, può tradurre in comando un accertamento dal quale risulti in quali condizioni e con quali accorgimenti l'opera può essere posta in esercizio ed il pericolo per la salute può essere evitato.”

Ancora “L'ordinamento non manca di una disciplina specifica circa i limiti massimi di esposizione ai campi elettrici e magnetici generati dagli elettrodotti: essa è stata dettata con il D.P.C.M. 23 aprile 1992, emanato in base all'art. 4, secondo comma, della L. 23 dicembre 1978, n. 833.
Dato il presupposto che è alla loro base, e data la natura di normazione secondaria che è loro propria, discipline di questo tipo hanno il valore di impedire che possa essere tenuta una condotta che vi contrasti.
Non hanno quello di rendere per sè lecita la condotta che vi si uniformi.
(…) E perciò rientra nei poteri del giudice ordinario, in un processo iniziato sulla base di una domanda quale quella proposta dall'attore, accertare se, sulla base delle conoscenze scientifiche acquisite nel momento in cui si tratta di decidere sulla domanda, avuto riguardo anche alla situazione del caso concreto, vi sia pericolo per la conservazione dello stato di salute nella esposizione al fattore inquinante di cui si tratta, ancorché tale esposizione si determini nel rispetto dei limiti massimi stabiliti dalla disciplina di rango secondario vigente al momento della decisione.

Sergio C. chiede
venerdì 16/12/2016 - Emilia-Romagna
“Nell'aprile 1994 intentavo causa per risarcimento danni ad una Società di cui ero agente e che aveva risolto anticipatamente il contratto appellandosi a clausola risolutiva espressa.Dopo ben 10 anni,nel 2004,il Tribunale mi dava ragione condannando controparte ad un ingente risarcimento. Quest'ultima proponeva appello che mi vedeva soccombente con sentenza del settembre 2008.Nel 2009 proponevo ricorso per Cassazione che veniva accolto con sentenza depositata nell'aprile 2015 e che rinviava la trattazione della causa a nuova sezione della C.A. .Nel frattempo controparte ha cessato l'attività e si è posta in liquidazione,senza risorse,divenendo sostanzialmente inattaccabile.Ho pertanto rinunciato alla riassunzione della causa ed ho raccolto la documentazione per proporre richiesta di risarcimento per l'irragionevole durata del processo.Mi si comunica,però,che la revisione della legge prevede che tutti i ricorsi sprovvisti di documentazione atti a dimostrare di avere adottato i rimedi preventivi,elemento questo innovativo della legge,secondo l'orientamento di quella C.A. verranno respinti. Mi chiedo come sia possibile che una legge possa avere valore retroattivo.All'epoca erano in vigore un codice di procedura civile che tali rimedi non prevedeva o,addirittura,avrebbero potuto pregiudicare il buon esito della causa e l'avvocato non poteva sapere che 22 anni dopo avrebbero costituito una preclusione ad ottenere diritti futuri.Mi sembra pazzesco.Vi chiedo un parere circa l'opportunità di procedere nella causa o vedere ancora una volta calpestati i miei diritti.
Grazie e cordiali saluti.”
Consulenza legale i 21/12/2016
Purtroppo la “Legge Pinto”, n. 89 del 24/3/2001, è stata ancora una volta modificata dai commi 777, 781 e 782 dell’art. 1 della legge di stabilità n. 208 del 28.12.2015, che hanno reso ancora più difficile ricorrere per ottenere un indennizzo per irragionevole durata del processo.

La citata legge n. 208/2015, che è entrata in vigore il 1/1/2016, introduce una disciplina transitoria secondo cui nei processi che alla data del 31 ottobre 2016 eccedano i termini ragionevoli ovvero siano stati assunti in decisione non è necessario esperire i “rimedi preventivi”, introdotti con la normativa in commento, ai fini dell’ammissibilità della domanda di equa riparazione.

Invece, in assenza di una specifica disposizione ed applicando i principi generali in materia di successione delle leggi nel tempo, si può sicuramente ritenere che tutte le altre modifiche si applichino ai procedimenti ex legge Pinto instaurati dopo l’entrata in vigore della legge di stabilità del 2016 (quindi, dopo il primo gennaio 2016).

Per tornare quindi al caso di specie: se la parte ha rinunciato alla riassunzione del processo successivamente alla pronuncia della Cassazione, significa che quest’ultimo non è più pendente e si è quindi definitivamente concluso nel 2015.
Pertanto, non rientra nei casi di cui alla disciplina transitoria sopra richiamati (processi che stanno durando troppo o che siano in decisione al 31/10/2016).
Dovendo depositare oggi (fine 2016) il ricorso ex legge Pinto, si rientrerà dunque a tutti gli effetti nella nuova disciplina e si dovrà tenere conto del previo esperimento dei “rimedi preventivi” di cui alla norma (che però, si dice nel quesito, non sono stati utilizzati, anche se in buona fede, nell’ignoranza delle successive modifiche normative).

Non si tratta in definitiva di un caso, come erroneamente ritenuto nel quesito, di legge propriamente “retroattiva” negli effetti: infatti, le nuove disposizioni si applicano – a rigore – solo per i “nuovi” ricorsi Pinto.
Ma è purtroppo altrettanto vero che le modifiche normative vanno ad incidere comunque “sul passato”, nel senso che in effetti quanto non è stato fatto nelle precedenti fasi di giudizio avrà come (senz’altro ingiusta, ma è la legge) conseguenza l’impossibilità di procedere oltre per ottenere tutela.

Carmelo I. chiede
sabato 26/11/2016 - Sicilia
“Desidero un vostro responso sul seguente quesito: il primo codice di giustizia contabile dichiara che le norme contenute nella parte II ai titoli II,III,IV,V si applicano anche ai giudizi in corso. Un giudizio in cui è pendente il Ricorso per Cassazione è in corso e quindi si applicano le norme di recente applicazione, pertanto la Cassazione può cassare con rinvio secondo quale strumento processuale o può applicare direttamente e quindi se del caso Cassare senza rinvio?”
Consulenza legale i 30/11/2016
Il c.d. codice della giustizia contabile è stato approvato con il d.lgs. 26/8/2016 n. 174.
All’art. 1 si afferma che “la Corte dei conti ha giurisdizione nei giudizi di conto, di responsabilità amministrativa per danno all’erario e negli altri giudizi in materia di contabilità pubblica. Sono devoluti alla giurisdizione della Corte dei conti i giudizi in materia pensionistica, i giudizi aventi per oggetto l’irrogazione di sanzioni pecuniarie e gli altri giudizi nelle materie specificate dalla legge. La giurisdizione della Corte dei conti è esercitata dai giudici contabili secondo le norme del presente codice”.
Tale codice è entrato in vigore a pieno regime il 7 ottobre scorso e quindi si applicherà per tutti quei giudizi instaurati in epoca successiva rispetto a tale data.

Per ciò che concerne gli organi della giustizia contabile, la Corte di Cassazione risulta essere presente ma solo per le questioni inerenti la giurisdizione (ai sensi dell’art. 207: “le decisioni della Corte dei conti in grado d’appello o in unico grado, e quelle di cui all’articolo 144 (sentenza inappellabile pronunciata nei giudizi di resa di conto), possono essere impugnate innanzi alla Corte di cassazione, ai sensi degli articoli 362 c.p.c. e 111, ottavo comma, della Costituzione, per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”).
Ai sensi dell’art. 13, “la giurisdizione si determina con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad essa i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo”. Tale articolo risulta essere l’esatta trasposizione dell’art. 5 c.p.c. c.p.c., il quale afferma che giurisdizione e competenza sono determinate con riguardo alla legge in vigore al momento della proposizione della domanda stessa.

Passando al caso di specie, lei afferma che esiste un giudizio pendente dinanzi alla Corte di Cassazione – in buona sostanza, all’ultimo grado della giustizia ordinaria.
Non parrebbe dunque possibile un’applicazione del codice della giustizia contabile, in quanto sono state modificate le norme procedurali e non quelle sostanziali e la legge non dispone che per l'avvenire. Inoltre, il giudizio di Cassazione risulta invece essere possibile solo per motivi inerenti alla giurisdizione e pertanto il nuovo codice non troverà applicazione per ricorsi proposti per motivi diversi rispetto a quello specificamente indicato.

ATTILIO G. chiede
domenica 10/03/2013 - Sicilia
“Salve, sono dottore commercialista, ho svolto nell'anno 2011 e precisamente da ottobre a dicembre attività professionale quale rilevazione in p.doppia dei fatti amministrativi inerenti alla gestione di una società a responsabilità limitata, avente atti vita per oltre € 1.500.000 e volume affari di € 350.000. Ho emesso parcella il 30 novembre 2011, non pagata, e in data 4 febbraio 2013 ho presentato richiesta parere all' ordine applicando applicando tariffa ordine anno 2011. E' corretto? Oppure avrei dovuto applicare quella inerente all'accordo professionista cliente?”
Consulenza legale i 18/03/2013
L'art. 2233 del c.c. sancisce che il compenso del professionista intellettuale, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell'associazione professionale a cui il professionista appartiene.
La regola generale fissata dal codice civile attribuisce valore dominante alla volontà delle parti: anche la giurisprudenza interpreta la norma ritenendo che la pattuizione delle parti risulti preminente su ogni altro criterio di liquidazione, compreso quello delle tariffe professionali o degli usi (v. Cass. 6732/2000).
Pertanto, esistendo un accordo tra il cliente ed il professionista, sarà questo ad essere fatto valere in sede di richiesta del pagamento della prestazione intellettuale.
Dal punto di vista processuale, il contratto concluso col cliente è stato riconosciuto quale documento che, in quanto avente le caratteristiche richieste dall’art. 633 n. 1 c.p.c., è sufficiente all’emissione dell’ingiunzione in forma provvisoriamente esecutiva ex art. 642, comma 2, c.p.c. (Tribunale Varese, sez. I civile, decreto 11.10.2012).
L’art. 9, comma 1, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 (abrogativo delle tariffe professionali) convertito con modificazioni nella L. 24 marzo 2012, n. 27, e il successivo comma 5, hanno disposto l’abrogazione delle disposizioni vigenti che, per la determinazione del compenso del professionista, rinviano alle tariffe di cui al comma 1. Di conseguenza, risulterebbe l'implicita abrogazione anche dell'art. 2233, comma primo, c.c., nella parte in cui prevede l’acquisizione del parere del Consiglio dell’Ordine e l’art. 636 del c.p.c. laddove chiede che il ricorso sia accompagnato dalla parcella delle spese e prestazioni, munita della sottoscrizione del ricorrente e corredata dal parere della competente associazione professionale.
Sembra quindi potersi affermare che, in presenza di un accordo scritto tra il cliente e il professionista, quest'ultimo possa esperire il procedimento monitorio senza la previa richiesta del parere dell'associazione professionale.

P. L. chiede
venerdì 31/03/2023
“d) dopo il comma 15, è aggiunto, in fine, il seguente:
«15-bis. I consumatori lesi da pratiche commerciali sleali possono altresì adire il giudice ordinario al fine di ottenere rimedi proporzionati ed effettivi, compresi il risarcimento del danno subito e, ove applicabile, la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto, tenuto conto, se del caso, della gravita' e della natura della pratica commerciale sleale, del danno subito e di altre circostanze pertinenti. Sono fatti salvi ulteriori rimedi a disposizione dei consumatori.»
In merito al suddetto comma del Decreto legislativo n. 26 del 7 marzo 2023 che entrerà in vigore il 2 aprile 2023, io sono stato oggetto di una pratica commerciale scorretta ingannevole ed aggressiva posta in essere da una società attiva nella vendita di multiproprietà. Tale società è stata destinataria di un provvedimento sanzionatorio da parte dell'AGCM successivamente confermato dal Tar Lazio e dal Consiglio di Stato. Potrei adire il giudice ordinario per ottenere la risoluzione del contratto? Il citato Decreto nulla dice riguardo la sua applicazione per le pratiche scorrette poste in essere prima o successivamente la sua entrata in vigore. Vale per entrambe? Grazie.

Distinti saluti.”
Consulenza legale i 06/04/2023
In data 18 marzo 2023, è stato pubblicato il Decreto Legislativo 26/2023, di recepimento della Direttiva 2019/2161 (c.d. Direttiva Omnibus), che ha introdotto numerose modifiche al Codice del consumo. Con tale provvedimento, in particolare, il legislatore si è adeguato alle disposizioni di matrice europea che sempre maggiormente tutelano i diritti dei consumatori, ampliando, tra le altre cose, gli obblighi informativi nei contratti a distanza tra il professionista e il consumatore.

Venendo ora alla specifica domanda oggetto del quesito, si evidenzia innanzitutto come l’art. 11 delle preleggi, in merito all’efficacia delle leggi nel tempo, preveda che “la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.
Tale principio, in quanto privo di rango costituzionale, può essere discrezionalmente derogato dal legislatore ordinario. Il legislatore, infatti, può ritenere opportuno estendere gli effetti di una legge anche al passato.
Il principio di irretroattività, insomma, non è norma imperativa, ma ammette deroghe, sia pure in presenza di adeguate ragioni giustificatrici. Esso rappresenta un criterio interpretativo per gli applicatori della norma: la retroattività deve essere sancita espressamente dal legislatore o comunque, ricavarsi in maniera non equivoca dalla formulazione della norma; nel dubbio, la legge dovrà considerarsi irretroattiva.
Nel caso specifico del Decreto Legislativo 26/2023, le fonti di cognizione prevedono che le norme del Decreto entrino in vigore a far data dal 02.04.2023.

L’art. 2 del suddetto Decreto prevede, specificatamente, che “Le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 2 (ovvero quelle relative agli “Annunci di riduzione di prezzo”,) si applicano alle campagne promozionali a decorrere dal novantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto". Quindi, unica eccezione all'entrata in vigore delle nuove norme nel mese di aprile 2023 è costituita dalla disposizione che fissa i criteri per l'individuazione del c.d. "prezzo precedente" per gli annunci di riduzione di prezzo: questa troverà applicazione in un momento successivo, a far data dal prossimo 1 luglio 2023. Non vi solo altre disposizioni che prevedano una efficacia retroattiva di determinate disposizioni del Decreto de quo.

In mancanza di specificazioni in tal senso da parte del legislatore, si deve ritenere in via interpretativa che tutte le altre disposizioni, tra cui rientra il nuovo comma 15-bis dell’art. 27 del codice consumo, saranno operative a far data dal 02.04.2023, senza possibilità di una loro applicazione in via retroattiva che, come detto, costituisce un'eccezione che deve essere prevista espressamente dal legislatore.

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