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Articolo 826 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Patrimonio dello Stato, delle province e dei comuni

Dispositivo dell'art. 826 Codice Civile

I beni appartenenti allo Stato, alle province e ai comuni, i quali non siano della specie di quelli indicati dagli articoli precedenti, costituiscono il patrimonio dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni [11, 828, 829].

Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato [828 comma 2] le foreste che a norma delle leggi in materia costituiscono il demanio forestale dello Stato, le miniere, le cave e torbiere quando la disponibilità ne è sottratta al proprietario del fondo [840], le cose d'interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo [839, 932], i beni costituenti la dotazione della Presidenza della Repubblica [Cost. 84], le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari [c. nav. 745] e le navi da guerra.

Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni, secondo la loro appartenenza, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico servizio.

Spiegazione dell'art. 826 Codice Civile

Il patrimonio in generale, beni indisponibili e disponibili

Col presente articolo il codice si occupa della disciplina dei beni patrimoniali dello Stato, delle province e dei comuni, ossia dei beni che a tali enti appartengono a titolo di proprietà privata. L’articolo contiene l’elencazione tassativa dei beni demaniali, mentre i beni patrimoniali vengono indicati genericamente come tutti gli altri che non sono della specie di quelli costituenti il pubblico demanio, in tal modo l'art. 826 finisce per riprodurre sostanzialmente l'art. 428 del vecchio codice. Il legislatore ha voluto, però, adottare per il patrimonio la distinzione già contenuta nel regolamento 23 maggio 1924, n. 827, fra patrimonio indisponibile e patrimonio disponibile.

Com’ è noto, la diversa posizione giuridica delle due categorie è conseguenza della diversa funzione economica dei beni che ne fanno parte: beni indisponibili sono quelli destinati direttamente a un fine pubblico, pertanto, sotto questo aspetto, si trovano in una condizione analoga a quella dei beni demaniali, pur non ricorrendo per essi le ragioni politiche e di altro genere che determinano l'assoggettamento al regime della proprietà pubblica. I beni disponibili hanno, invece, un'utilità strumentale, poiché servono alla produzione di altri beni, ossia di entrate patrimoniali per gli enti cui appartengono: essi sono, di conseguenza, soggetti in modo quasi completo alle regole del diritto privato comune.

L'adozione di questa distinzione ha reso necessaria una indicazione tassativa dei beni disponibili, analoga a quella già fatta dall' art. 822 del c.c. per i beni demaniali: a questa enumerazione sono dedicati il secondo e terzo comma del presente articolo. In modo simmetrico a quanto ha fatto l'art. 822 c.c. per i beni demaniali, il presente articolo elenca prima una serie di beni indisponibili che non possono appartenere se non allo Stato, quindi un altro gruppo, molto più generico, di beni indisponibili che possono appartenere così allo Stato come alle provincie e ai comuni e, come vedremo, anche ad altri enti.


I beni indisponibili di esclusiva proprietà dello Stato: foreste, miniere, cave e torbiere, cose d’interesse storico rinvenute nel sottosuolo, dotazione della Corona, armamenti

L'elencazione dei beni indisponibili dello Stato comprende le seguenti categorie:

a) Le foreste, che a norma delle leggi in materia costituiscono il demanio forestale di Stato. Con ciò la Legge conferma che, nei riguardi delle foreste, l'espressione « demanio » è usata dalle leggi speciali in senso del tutto improprio. Quali foreste costituiscano il demanio forestale risulta dagli art. 106-116 del R. D. 30 dicembre 1923, n. 3267: la proprietà di questi boschi da parte dello Stato non ha scopo soltanto finanziario, ma anche e soprattutto idrogeologico ed igienico, infatti tali scopi attengono a quelle ragioni di conservazione e d'incremento del patrimonio boschivo nazionale che giustificano le stesse limitazioni alla proprietà privata dei boschi. Le foreste demaniali sono amministrate da un' apposita Azienda autonoma, che ha personalità giuridica ed organi propri, sebbene sia alle im­mediate dipendenze del Ministero dell'agricoltura e foreste (art. Io8 e seguenti del decreto citato e leggi 13 dicembre 1928, n. 3141; 5 gennaio 1933, n. 30).

b) Le miniere. La legislazione mineraria italiana ha raggiunto la sua unificazione soltanto col decreto legislativo 29 luglio 1927, n.1443, il quale sostituì le leggi degli antichi Stati ancora vigenti nelle varie province del Regno.Com’è noto, queste leggi avevano seguito vari sistemi, fra i quali i principali erano quello detto fondiario, vigente in Toscana e in Sicilia, e quello detto demaniale, proprio dell'antico Regno Sardo, del ducato di Parma e di quello di Lucca. Il sistema fondiario, basato sul principio romano, per cui la proprietà del suolo si estenderebbe anche al sottosuolo senza alcuna limitazione, riconosceva la piena proprietà delle miniere ai proprietari del fondi soprastanti. Il sistema demaniale, derivava dall' antico sistema regalistico, che riservava la proprietà del sottosuolo al sovrano, it quale ne faceva oggetto di concessioni perpetue e onerose al principale scopo di procurare un'entrata all'erario. Il sistema demaniale riserva la proprietà delle miniere allo Stato, che ne con­cede ai privati la coltivazione a scopo di generale utilità.

A quest'ultimo si avvicina il sistema accolto dal decreto di unificazione: data l'importanza che la coltivazione delle miniere presenta per l'economia generale, il legislatore ha voluto evitare che esse restino in dominio dei proprietari del suolo, che possono non avere interesse o capacità per la loro coltivazione. Il decreto ha riservato, perciò, esclusivamente allo Stato la proprietà del sottosuolo, condizionando la coltivazione delle miniere ad apposita concessione amministrativa, che può essere rilasciata solo a chi presenta sufficienti garanzie tecniche e finanziarie ed è soggetta a decadenza in caso di cattivo use e di inosservanza degli obblighi imposti. Il decreto legislativo citato non contiene una definizione del sistema adottato; la relazione che lo accompagna, pure affermando essersi ii nuovo sistema informato al principio della demanialità, dichiara che il legislatore ha, tuttavia, evitata qualunque definizione, per non pregiudicare l'opera della futura codificazione.

Il Codice non poteva perciò astenersi dal risolvere la questione della condizione giuridica delle miniere. La soluzione doveva evidentemente essere in armonia col sistema della legge speciale: rispetto a questa, varie erano state le interpretazioni della dottrina. A parte alcuni autori che negavano che lo Stato abbia un diritto di proprietà sul sottosuolo, fra coloro che hanno riconosciuto un tale diritto solo una minoranza qualificava questo come una proprietà. demaniale; la maggior parte escludeva che la legge offrisse elementi per una tale soluzione. In realtà la legge non contiene nessuna disposizione che ponga le miniere sotto it regime giuridico della demanialità: essa non attribuisce allo Stato altra funzione che quella di regolare it godimento e la coltivazione delle miniere; e, anche ove si voglia tener conto di altre leggi speciali, quali quelle dedicate alla polizia delle miniere, in esse non si trova alcuna norma che abbia per oggetto la tutela pubblicistica di tali beni, ma solo regole intese a garantire la sicurezza delle persone addette ai lavori. Si aggiunga che tali beni sono per loro natura redditizi e, quel che sembra ancor più decisivo, sono destinati ad esaurirsi col fatto stesso del­l' use e del godimento.

Per tutto questo sembra esatta la soluzione accolta dal codice, collocando le miniere fra i beni patrimoniali, e precisamente fra quelli destinati a un determinato fine pubblico che nella specie fa parte di quello dell'incremento economico nazionale. Nessun contrasto presenta tale soluzione col richiamo al sistema demaniale, contenuto nella relazione citata: « sistema demaniale », non è espressione usata, nelle stesse classificazioni dei sistemi storici, nel senso tecnico di « sistema del demanio pubblico », ma essa serve soltanto per designare l'appartenenza delle miniere allo Stato. Inoltre, il rinvio al nuovo codice per la più precisa determinazione della natura di quest'appartenenza esclude qualunque pregiudizio della questione da parte del decreto legislativo.

c) Le cave e torbiere. A differenza delle miniere queste non sono per natura in proprietà dello Stato, ma appartengono come regola ai proprietari dei fondi in cui si trovano. Solo quando il proprietario non intraprenda la coltivazione o non dia ad essa sufficiente sviluppo, il ministro per le corporazioni, previo il procedimento indicato nell'art. 45 del citato R. D. 29 luglio 1927, può disporre della cava o della torbiera mediante concessione. In questo caso la condizione della cava é quella stessa stabilita per le miniere.

d) Le cose d'interesse storico ed artistico ritrovate nel sottosuolo. La maggiore specificazione di tali cose, contenuta nel presente articolo, riproduce quella fatta dall'art. i) della legge su questa materia del 10 giugno 1939, n. 1089. Dalla stessa legge risulta come le cose della specie di cui si tratta, ritrovate nel sottosuolo, non possono appartenere che allo Stato : siano esse ricercate dallo Stato stesso per mezzo dei suoi organi, oppure da altri soggetti pe c concessione dello Stato, o dagli stessi proprietari nei propri fondi con particolare autorizzazione dello Stato stesso, o infine siano rinvenute fortuitamente in qualunque fondo, le cose ritrovate appartengono in tutti i casi allo Stato (legge cit. art. 43-50). Qualora le cose di cui in parola siano accolte in un museo o in una altra collezione di quelle indicate nel capoverso dell'articolo in esame, esse contribuiscono alla formazione di un bene demaniale: per se stesse, tuttavia, conservano comunque il carattere di beni patrimoniali indisponibili.

e) I beni costituenti la dotazione della Corona. II Codice non porta alcuna innovazione su questo punto: è ormai opinione generalmente accolta che i beni anzidetti appartengono allo Stato e sono da questo destinati al godimento del Re Imperatore, il cui diritto ha stretta analogia con l'usufrutto, sebbene di contenuto più ampio.

f) Le caserme, gli armamenti, gli aeroplani e le navi da guerra. Tutti i beni destinati alla difesa militare appartengono esclusivamente allo Stato; i più importanti fanno parte del demanio pubblico, gli altri del patrimonio indisponibile.


Beni indisponibili comuni allo Stato e agli enti pubblici minori

I beni indisponibili che possono appartenere, oltre che allo Stato, alle province e ai comuni, sono costituiti dagli edifici destinati a sede di uffici pubblici, quali i palazzi dei ministeri, delle corti e dei tribunali, i palazzi del governo nelle province, le case in cui sono collocati gli uffici delle province e dei comuni. Accanto a questi immobili, l'articolo ricorda espressamente i mobili che servono ad essi di arredamento, i quali comprendono oltre al mobilio in senso stretto, gli strumenti tecnici, gli schedari, i registri, le carte e gli oggetti di cancelleria. Sono ugualmente indisponibili tutti i beni adibiti ai pubblici servizi, come gli edifici scolastici coi relativi arredamenti, quelli per lo svolgimento dei servizi postali, telegrafici e telefonici, gli impianti per la produzione e distribuzione dell'energia elettrica che sia usata come mezzo di pubblici servizi, ecc. Per tutti questi beni, la speciale condizione giuridica deriva da un atto di volontà della pubblica amministrazione, col quale la cosa è destinata al conseguimento di un determinato fine pubblico.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

396 Ho accolto nel codice (art. 826 del c.c.) la distinzione tra patrimonio disponibile e patrimonio indisponibile dello Stato, già sancita nel citato regolamento per l'esecuzione della legge sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato, riportando in questa seconda categoria le foreste che le leggi in materia, con diversa accezione del termine «demanio», dichiarano costituire il «demanio forestale» dello Stato; le miniere; le cave e torbiere, quando la disponibilità ne è sottratta al proprietario del fondo; le cose d'interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico ritrovate nel sottosuolo; i beni costituenti la dotazione della Corona; le caserme, le navi da guerra, gli aeromobili militari e le armi in genere.
397 Quanto alle miniere, si è in vero disputato, successivamente al R. decreto 29 luglio 1927, n. 1443 — il quale ha tolto al privato la disponibilità delle miniere in generale e delle cave e torbiere in casi particolari, facendone oggetto di concessione da parte della pubblica amministrazione — se così le miniere come le cave e torbiere sottratte alla disponibilità dei privati dovessero ormai ritenersi comprese tra i beni del pubblico demanio; mi è sembrata preferibile la soluzione negativa, perché l'appartenenza al demanio pubblico non consente mai che il concessionario abbia il diritto di trarre da solo tutti i frutti della cosa: abbia, cioè, della cosa il godimento esclusivo sino a esaurimento della medesima. In conformità di un'autorevole corrente dottrinale, ho pertanto compreso le miniere nella categoria del patrimonio indisponibile. In questa categoria ho altresì ricondotto gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico servizio. Il rapporto tra i beni menzionati e l'attuazione di dati compiti dello Stato esige infatti che di tali beni sia assicurata la destinazione; e come i beni stessi fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato, se a questo appartengono, così, secondo la diversa appartenenza, fanno parte del patrimonio indisponibile delle province e dei comuni.

Massime relative all'art. 826 Codice Civile

Cass. civ. n. 2682/2022

Affinché un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili, in quanto destinati a un pubblico servizio ai sensi dell'art. 826 c.c., comma 3, deve sussistere il doppio requisito (soggettivo e oggettivo) della manifestazione di volontà dell'ente titolare del diritto reale pubblico (e, perciò, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell'ente di destinare quel determinato bene a un pubblico servizio) e dell'effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico.

Cass. civ. n. 26990/2020

L'appartenenza di un bene al patrimonio indisponibile di un ente territoriale discende, non solo, dalla esistenza di un atto amministrativo che lo destini ad uso pubblico, ma anche dalla concreta utilizzazione dello stesso a tale fine, la cui mancanza deve essere desunta dalla decorrenza, rispetto all'adozione dell'atto amministrativo, di un periodo di tempo tale da non essere compatibile con l'utilizzazione in concreto del bene a fini di pubblica utilità.

Cass. civ. n. 21991/2020

In tema di beni di proprietà degli enti pubblici, l'immobile comunale che, a titolo oneroso, sia stato concesso in uso ad un privato per lo svolgimento di servizi socio-assistenziali, in mancanza di un provvedimento amministrativo che lo destini a pubblico servizio, appartiene al patrimonio disponibile dell'ente, con la conseguenza che la controversia relativa alla sua restituzione rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, avendo ad oggetto un rapporto privatistico di carattere paritetico riconducibile a quello locatizio.

Cass. civ. n. 25690/2018

Il bene di proprietà privata che, per le sue caratteristiche intrinseche, sia di interesse artistico, storico e archeologico, rientra tra i beni culturali se oggetto di un provvedimento amministrativo di dichiarazione attestante l'interesse particolarmente rilevante, il quale è sottoposto a notifica, ai fini del suo assoggettamento al vincolo, e a trascrizione, con funzione di pubblicità notizia, al fine di far conoscere ai soggetti interessati l'esistenza del provvedimento amministrativo. Per l'assoggettamento del bene alla proprietà pubblica, invece, è sufficiente la presenza dell'interesse storico, artistico, archeologico, indipendentemente dal fatto che abbia costituito o meno oggetto di accertamento.

Cass. civ. n. 10303/2017

I beni archeologici presenti in Italia si presumono, salvo prova contraria gravante sul privato che ne rivendichi la proprietà, provenienti dal sottosuolo o dai fondali marini italiani e conseguentemente appartengono al patrimonio indisponibile dello Stato. (Rigetta, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 03/05/2012).

Cass. civ. n. 6019/2016

Affinché un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili, in quanto destinati a un pubblico servizio ai sensi dell'art. 826, comma 3, c.c., deve sussistere il doppio requisito (soggettivo e oggettivo) della manifestazione di volontà dell'ente titolare del diritto reale pubblico (e, perciò, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell'ente di destinare quel determinato bene a un pubblico servizio) e dell'effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio; in difetto di tali condizioni e della conseguente ascrivibilità del bene al patrimonio indisponibile, la cessione in godimento del bene medesimo in favore di privati non può essere ricondotta a un rapporto di concessione amministrativa, ma, inerendo a un bene facente parte del patrimonio disponibile, al di là del "nomen iuris" che le parti contraenti abbiano inteso dare al rapporto, essa viene a inquadrasi nello schema privatistico della locazione, con la conseguente devoluzione della cognizione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice ordinario.

Cass. civ. n. 26402/2009

L'appartenenza di un bene al patrimonio indisponibile di un ente territoriale discende non solo dalla esistenza di un atto amministrativo che lo destini ad uso pubblico, ma anche dalla concreta utilizzazione dello stesso a tale fine, la cui mancanza deve essere desunta dalla decorrenza, rispetto all'adozione dell'atto amministrativo, di un periodo di tempo tale da non essere compatibile con l'utilizzazione in concreto del bene a fini di pubblica utilità. (Nella specie, la S.C. ha cassato, con rinvio, la sentenza di merito che aveva respinto la domanda di usucapione di un fondo, proposta nei confronti di un Comune, per non aver gli attori dato prova del momento del passaggio del bene dal patrimonio indisponibile a quello disponibile dell'ente, tralasciando però di considerare che al momento dell'inizio del possesso utile all'usucapione erano trascorsi più di dieci anni da quello in cui, tramite il piano regolatore generale, il fondo stesso era stato destinato ad uso pubblico senza che di esso vi fosse stata alcuna concreta utilizzazione).

Cass. civ. n. 7269/2003

L'art. 826, terzo comma c.c. richiede, ai fini della appartenenza di un bene al patrimonio indisponibile della pubblica amministrazione la concreta ed effettiva destinazione dello stesso ad un pubblico servizio. Tuttavia, nella ipotesi in cui non sia la pubblica amministrazione a destinare un immobile ad un pubblico servizio, ma sia il legislatore, che ne decide la costruzione — come avvenuto con il D.L.C.P.S. 10 aprile 1947, n. 261 per le assegnazioni di alloggi ai senza tetto per cause di guerra — il bene rientra senz'altro nella categoria dei beni indisponibili non appena tale costruzione sia realizzata, non essendo necessario che la sua destinazione ad un pubblico servizio, già affermata dalla legge, abbia concreta ed effettiva attuazione attraverso un successivo provvedimento amministrativo.

Cass. civ. n. 391/1999

Affinché un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio del beni patrimoniali indisponibili perché «destinati ad un pubblico servizio» ai sensi dell'art. 826, terzo comma c.c. deve sussistere un doppio requisito: la manifestazione di volontà dell'ente titolare del diritto reale pubblico e perciò un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell'ente di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio e l'effettiva ed attuale destinazione del bene al pubblico servizio (conseguentemente, nella specie, il fatto che il terreno sia stato acquistato dal Comune di Roma nel 1884 per realizzare una «passeggiata pubblica» o parco e che sia stato iscritto nell'inventario dei beni demaniali comunali, in difetto della concreta ed attuale destinazione al pubblico servizio, non è sufficiente per riconoscere al bene il carattere della indisponibilità).

Cass. civ. n. 8743/1997

L'appartenenza di un bene al patrimonio indisponibile dello Stato, dei Comuni e delle Province, a meno che non si tratti di beni riservati, per loro natura, a tale patrimonio, dipende soprattutto dalle caratteristiche oggettive e funzionali del bene e presuppone, quindi, oltre che l'acquisto in proprietà del bene da parte dell'ente pubblico (cosiddetto requisito soggettivo), una concreta destinazione dello stesso ad un pubblico servizio (cosiddetto, requisito oggettivo) che, proprio per l'esigenza di un reale legame con le oggettive caratteristiche, del bene, non può dipendere da un mero progetto di utilizzazione della P.A. o da una risoluzione che, ancorché espressa in un atto amministrativo, non incide, di per sé, sulle oggettive caratteristiche funzionali del bene. Pertanto, nei casi in cui il bene sia privo di caratteri strutturali necessari per il servizio, occorre almeno che il provvedimento di destinazione sia seguito dalle opere di trasformazione che in qualche modo possano stabilire un reale collegamento di fatto, e non meramente intenzionale, del bene alla funzione pubblica, con la conseguenza che i terreni destinati a verde pubblico dal piano regolatore acquistano la condizione di beni del patrimonio indisponibile dell'ente pubblico solo dal momento in cui, essendo stati acquistati da questo in proprietà, sono trasformati ed in concreto utilizzati secondo la propria destinazione, non essendo all'uopo sufficiente né il piano regolatore generale, che ha solo funzione programmatoria e l'effetto di attribuire alla zona, o anche ai terreni in esso eventualmente indicati, una vocazione da realizzare attraverso gli strumenti urbanistici di secondo livello o ad essi equiparati, e la successiva attività di esecuzione di questi strumenti, né il provvedimento di approvazione del piano di lottizzazione, che individua solo il terreno specificamente interessato dal progetto di destinazione pubblica, né la convenzione di lottizzazione, che si inserisce nella fase organizzativa del processo di realizzazione del programma urbanistico e non nella fase della sua materiale esecuzione.

Cass. civ. n. 6950/1993

Un bene, in tanto può considerarsi appartenente al patrimonio indisponibile per essere destinato a pubblici servizi a norma del terzo comma dell'art. 826 c.c., in quanto abbia una effettiva destinazione a quel servizio, non essendo sufficiente la determinazione dell'ente pubblico di imprimere al bene il carattere di patrimonio indisponibile.

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Cliente chiede
sabato 13/04/2024
“Nel 2008 ho acquistato un immobile (villetta con sedime recintato).
L'immobile, edificato nel 1982, con regolare concessione edilizia , fu acquistato in diritto di superficie , regolato da convenzione P.E.E.P. , con rogito tra costruttore e Comune.
Nel 1982 il costruttore vende il bene ad un privato sempre in diritto di superficie.
Nel 2007 il bene (nel frattempo oggetto di successione e di passaggio di proprieta'), acquista il diritto di piena proprietà con rogito tra Comune e proprietario. Da quest'ultimo proprietario ho rogitato nel 2008. La recinzione da me ristrutturata era ubicata è lo è tuttora, sullo stesso perimetro sin dal 1982. In tutti gli atti notarili intercorsi dal 1982 al 2008 il sedime era descritto come un unico mappale. Ora emerge che in realtà il sedime è formato da due mappali. Cioè nel 1982 il costruttore aveva sconfinato recitando un mappale confinante di proprietà del Comune.
Il Comune, dopo 42 anni di latitanza ( salvo la trasformazione da diritto di proprietà in diritto di superficie avvenuta nel 2007, senza peraltro nulla eccepire) ha messo in vendita il terreno costituito dal secondo mappale, come terreno edificabile di mq 129 , in quanto bene immobile non strumentale facente parte del patrimonio disponibile.
Ma il Comune puo' alienare un terreno posseduto, di fatto, da privati per 42 anni consecutivi e dal sottoscritto negli ultimi 16 anni in buona fede (al momento del rogito).
Il terreno nel 1982 era probabilmente catalogato come bene indisponibile (trasformato nel 2024 in bene disponibile ).
Il terreno, però, non poteva far parte del patrimonio indisponibile sin dal 1982 quando fu recintato dal costruttore e , di fatto, sottratto all'uso pubblico.
È fattibile un' usucapione ventennale del terreno (anche se i proprietari/ possessori sono cambiati) oppure una usucapione abbreviata (decennale) da parte del sottoscritto essendo tale bene usucapibile sin dal 1982?
Se è fattibile solo l'usucapione abbreviata come posso dimostrare la buona fede?
Ed il rogito, omettendo un mappale, è valido titolo per l'usucapione abbreviata?
La descrizione del bene è esatta nell' individuare le quattro coerenze.
Tutti i rogiti hanno sempre ignorato il secondo mappale pur costituendo, di fatto un unico sedime col primo (ufficiale) mappale . Sedime recintato di pertinenza e ad uso esclusivo dell'abitazione.”
Consulenza legale i 18/04/2024
La soluzione più conveniente per il caso in esame è quella di far valere l’usucapione ventennale avvalendosi, nel relativo giudizio, dell’istituto giuridico dell’accessione nel possesso, disciplinato dall’art. 1146 del c.c.
La principale eccezione che ci si potrebbe trovare a dover contrastare è quella derivante dalla natura giuridica di tale particella di terreno, considerato che, come si dice nel quesito, dal 1982 al 2024 lo stesso risultava far parte del patrimonio indisponibile dell’ente pubblico.
Si ritiene utile, a tal proposito, fare un breve premessa sulla natura dei beni pubblici.
E’ noto che questi si suddividono in due grandi macrocategorie, e precisamente quella dei beni demaniali e quella dei beni facenti parte del patrimonio indisponibile.
I primi sono tassativamente indicati dalla legge e si caratterizzano per la loro assoluta incommerciabilità, non potendo costituire oggetto di atti dispositivi di diritto privato e risultando, come tali, inalienabili oltre che insuscettibili di usucapione.

I beni patrimoniali indisponibili, invece, sono tutti quei beni che appartengono allo Stato o ad altri enti pubblici territoriali e che soddisfano un interesse generale, pur non rientrando nella categoria dei beni demaniali.
Di questi ultimi si occupano in particolare i commi 2 e 3 dell’art. 826 c.c. e si caratterizzano, secondo quanto disposto dal comma 2 del successivo art. 828 del c.c., per la circostanza di non poter essere sottratti alla loro destinazione se non “nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano”.
Come tali essi, al pari dei beni demaniali, sono insuscettibili di usucapione e di espropriazione forzata.

Ebbene, se ci fermasse a tale definizione si giungerebbe alla conclusione che, avendo quel terreno fatto parte fino al corrente anno del patrimonio indisponibile del Comune, non sarebbe in alcun modo possibile vantare in relazione allo stesso un acquisto a titolo originario.
Di parere contrario, invece, risulta essere la giurisprudenza di legittimità, la quale proprio di recente, e precisamente cfr. Cass. civ. Sez. II ord. N. 28481 del 12.10.2023, ha ammesso che, seppure a date condizioni, sia possibile usucapire un bene ancorchè rientrante nel patrimonio indisponibile di un ente pubblico.

Nel corpo di tale sentenza la S.C. parte dalla considerazione secondo cui per qualificare un bene come appartenente al patrimonio indisponibile di un ente sono necessari due elementi, e precisamente:
  • un elemento soggettivo, consistente nella titolarità pubblica del bene;
  • un elemento oggettivo, ovvero la destinazione che in concreto il bene ha.
In particolare, con specifico riferimento a questo secondo elemento si afferma che occorre non solo una specifica manifestazione di volontà dell’ente pubblico di voler destinare il bene a un pubblico servizio (volontà che in genere deve essere contenuta in un atto amministrativo), ma occorre anche l’effettiva e attuale destinazione a detto pubblico servizio.

A tale riguardo la S.C., richiamando Cass. SS.UU. n. 14865/2006, ricorda come la mera previsione dello strumento urbanistico in merito alla destinazione di un’area alla realizzazione di una finalità di interesse pubblico non sia sufficiente per qualificare quell’area come facente parte del patrimonio indisponibile dell’ente pubblico.
Aggiunge, infatti, che è necessaria una concreta ed effettiva utilizzazione del bene, non bastando un semplice progetto di utilizzazione, ancorchè esteriorizzato in un atto amministrativo, il quale manifesta solo un’intenzione, ma non incide in alcun modo sulle caratteristiche oggettive del bene (cfr. Cass. n. 17427/2023).

Ebbene, dei principi sopra espressi si ritiene che possa farsi piena applicazione nel caso di specie, considerato che, sebbene quella particella di terreno possa aver fatto parte fino al 2024 del patrimonio indisponibile del Comune, ancorchè in forza di un presunto atto amministrativo, di fatto l’Ente pubblico sin dal 1982 non ha mai fatto un concreto ed effettivo uso di quel bene per finalità di interesse collettivo, essendo stato fin da quella data recintato ad uso esclusivo dell’edificio di proprietà dei diversi soggetti che si sono succeduti nel corso del tempo.
Tanto si ritiene possa essere più che sufficiente per consentire al privato, che nel corso di questi anni ne ha fatto uso e ne ha avuto il possesso esclusivo, di invocarne l’avvenuta usucapione, con sentenza che avrà valore meramente accertativo.

Inoltre, come si è accennato all’inizio, non sussistendo i presupposti né la necessità di far valere l’usucapione abbreviata (quella particella di terreno non è mai stata contemplata in alcun atto di trasferimento e, pertanto, non può vantarsi un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà), la soluzione migliore sembra essere quella di avvalersi della c.d. accessione nel possesso, a cui fa riferimento, come già detto, l’art. 1146 c.c.
Si tratta di quel particolare istituto giuridico che consente al successore a titolo particolare (è tale l’acquirente di un immobile) di sommare, se lo ritiene utile, al periodo in cui ha egli stesso posseduto, anche il periodo durante il quale hanno posseduto i suoi danti causa.
Tale sommatoria dei due o più periodi può, infatti, risultare utile ai fini dell’usucapione, ma anche ai fini dell’azione di rivendicazione e dell’azione di manutenzione, insomma ogni volta che assuma rilievo la durata del possesso.


R. C. chiede
martedì 30/05/2023
“Buongiorno, vorrei far istruire una causa di usucapione su un terreno confinante a quello di mia proprietà. Da visura catastale, che allego, il terreno risulta intestato all' Ente di assistenza del Comune di XXX (Ente ormai non più esistente) e dato in uso agli eredi del Livellario, detti eredi ad oggi sono irraggiungibili, presumibilmente defunti. La titolarità del terreno, tenuto conto della soppressione degli Enti di assistenza, ritengo sia quindi passata al Comune. A tal proposito Vi rappresento che:
Su detto terreno insiste un traliccio dell'alta tensione per il passaggio dei cavi elettrici;
il terreno non è raggiungibile dalla strada;
per portare sia il traliccio che i cavi è stato utilizzato un elicottero;
per portare altri materiali mi è stato chiesto di poter passare attraverso la mia proprietà.
Vorrei sapere se l'installazione del traliccio possa far risultare il terreno quale "asservito ad interesse pubblico" e quindi non usucapibile oppure è un altro tipo di servitù che non impedirebbe l’acquisto per usucapione in una eventuale causa?
Rimango in attesa di un Vostro cortese preventivo per l'eventuale risposta.
Distinti saluti”
Consulenza legale i 06/06/2023
Occorre innanzitutto precisare che la causa per usucapione va condotta contro il soggetto che dalle visure catastali risulta titolare del diritto di c.d. “dominio diretto” sull’immobile che si intende usucapire, soggetto che nel caso di specie coincide (per come risulta dalle visure catastali inviate) con il soppresso Ente comunale di assistenza (per brevità ECA) del Comune di XXX.
Ciò posto, si rende a questo punto indispensabile cercare di chiarire cosa è successo al momento della soppressione degli ECA, costituendo questo un passaggio fondamentale per poter esprimere un giudizio sulla usucapibilità o meno di quel terreno.

In particolare, va detto che si tratta di fenomeno che ciascuna Regione ha provveduto a disciplinare con propria legge ed, infatti, nel caso qui preso in esame, la legge che allora si occupò di tale materia fu la Legge Regionale per il Lazio n. 22 del 29.05.1978, recante appunto “Norme sullo scioglimento degli enti comunali di assistenza, sul passaggio delle attribuzioni, del personale e dei rapporti patrimoniali ai comuni ai sensi dell'art. 25 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 e sul trasferimento di competenze regionali in merito alla beneficienza pubblica” (B.U. 10 giugno 1978, n. 16).
L’art. 3 della suddetta legge, rubricato “Trasferimento del patrimonio”, così disponeva:
“Il patrimonio mobiliare ed immobiliare ed ogni altro rapporto patrimoniale degli enti comunali di assistenza sono trasferiti ai comuni nel cui territorio ciascun ente ha la propria sede legale.
Il comitato amministrativo dell'ente comunale di assistenza è tenuto a provvedere a tutti gli adempimenti relativi al suddetto trasferimento entro il termine del 29 giugno 1978. In particolare, detto comitato dovrà provvedere:
a) alla rilevazione della consistenza patrimoniale dell\'ente comunale di assistenza, alla elencazione e ricognizione dei beni, alla loro descrizione e catalogazione, nonché alla identificazione dei beni patrimoniali la cui titolarità è delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza concentrate o amministrate dall'ente comunale di assistenza ai sensi degli articoli 54 e seguenti della legge 17 luglio 1890, n. 6972 anch'essi descritti, catalogati e distinti secondo l'appartenenza a ciascuna delle predette istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza;
b) alla ricognizione dei rapporti giuridici pendenti, distinti secondo la pertinenza dell'ente comunale di assistenza, ovvero a ciascuna delle eventuali istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza concentrate o amministrate;
c) alla chiusura della gestione 1° gennaio - 29 giugno 1978 e ad ogni altro atto od operazione liquidatoria che si renda necessario per il trasferimento di tutti i rapporti al comune”.

Risulta palese che tutti i beni facenti capo al soppresso ECA sono stati, previo puntuale inventario e catalogazione, trasferiti in capo al Comune di riferimento, con la conseguenza che, malgrado l’intestazione catastale, legittimato passivo in una eventuale causa per usucapione, non potrà che essere l’Ente pubblico in questione, ossia il Comune di XXX.
A questo punto, prima di decidersi ad affrontare una causa per usucapione, si ritiene indispensabile cercare di acquisire ogni informazione utile a scoprire come quell’immobile è stato qualificato in sede di ricognizione e trasferimento dal soppresso ECA al Comune, e ciò per le ragioni che si vanno ad esporre.
Il terreno in questione, infatti, potrebbe essere stato catalogato come:

1) bene facente parte del patrimonio comunale disponibile: in tal caso, può essere usucapito da qualunque privato, ex art. 1158 del c.c., a seguito di possesso continuato ed ininterrotto ultraventennale e qualora, in sede di accertamento dell’usucapione, si faccia emergere la volontà, anche implicita, della P.A. di non utilizzarlo in funzione di pubblica utilità e di rinunciare a tale destinazione.

2) bene patrimoniale indisponibile: un bene immobile può qualificarsi tale se “destinato a un pubblico servizio” ai sensi del comma 3 dell’art. 826 c.c..
A tal fine occorre la ricorrenza di un doppio requisito:
a) la manifestazione della volontà del comune titolare del diritto reale pubblico (un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell’Ente comunale);
b) l’effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio (in tal senso si sono, tra gli altri, espressi Cass. Sez. II civ. sent. n. 5867 del 13.03.2007; Consiglio di Stato Sezione V, sentenza del 20.2.06 n. 698).
Infatti, per imprimere al bene il carattere di indisponibilità non è sufficiente la sola determinazione dell'ente locale derivante da provvedimento amministrativo (così anche Cass. Sez. II civile sentenza n. 7059/2010), con la conseguenza che, in mancanza del secondo dei requisiti a cui sopra si è fatto cenno, quel bene, pur se facente parte del patrimonio indisponibile, potrebbe essere usucapito ex art. 1158 del c.c., avendo di fatto il terreno ormai perduto la sua destinazione ad una pubblica utilità.

3) bene demaniale comunale: si tratta di beni caratterizzati dalla inalienabilità, insuscettibilità di espropriazione privata o pubblica, insuscettibilità di acquisto a titolo originario per usucapione, come chiaramente risulta dal comma 1 dell’art. 824 del c.c..
Peraltro, la sdemanializzazione di un bene demaniale non può desumersi da un contegno meramente omissivo anche prolungato da parte dell'ente comunale, non essendo la condotta omissiva da parte del comune idonea a determinare la perdita della demanialità del bene principale e/o della relativa pertinenza ed occorrendo, piuttosto, un contegno attivo o, comunque, univocamente diretto a sottrarre il bene alla sua destinazione pubblicistica.
A tale riguardo si vuole qui richiamare quanto statuito dal Consiglio di Stato, Sez. V con sentenza n. 725 del 7 febbraio 2000, ove si legge quanto segue:
La sdemanializzazione di un bene pubblico, quando non derivi da un provvedimento espresso, deve risultare da altri atti e/o comportamenti univoci della p.a. proprietaria, che siano concludenti e incompatibili con la volontà di quest'ultima di conservare la destinazione del bene stesso all'uso pubblico, oppure da circostanze tali da rendere non configurabile un'ipotesi diversa dalla definitiva rinuncia al ripristino della funzione pubblica del bene. Usucapire un bene demaniale non è cosa facile, stante che occorre dapprima agire in giudizio per ottenere una sentenza che riconosca l'avvenuta sdemanializzazione tacita del bene immobile … e la sdemanializzazione tacita non si desume da un mero contegno omissivo (di incuria, come in questo caso) da parte dell'amministrazione comunale”.

Alla luce di quanto detto sopra, pertanto, se ne possono trarre le seguenti conclusioni: l’usucapione di quel terreno, ammesso che si riesca a dare prova del possesso continuato ed ininterrotto per almeno venti anni, sarà possibile soltanto se trattasi di terreno catalogato, in sede di acquisizione al patrimonio comunale, come facente parte del patrimonio disponibile o indisponibile del Comune.
In questo secondo caso, occorrerà anche dare prova della circostanza che quell’immobile ha perso la sua destinazione a pubblica utilità, ciò che, stando a quanto riferito, non sembrerebbe arduo dimostrare, tenuto conto che trattasi di terreno neppure accessibile.

A. E. chiede
martedì 28/03/2023
“La giunta comunale ha classificato una cabina elettrica che fa parte della rete per la distribuzione di energia elettrica al patrimonio disponibile.
Con riferimento al art. 826 c.c. ho presentato opposizione, la quale è stato respinta con la seguente motivazione:

La distribuzione e la produzione di energia elettrica non possono più essere considerati servizi pubblici in senso stretto, in quanto, sulla base di diverse direttive comunitarie attuate a livello statale, sono stati liberalizzati, cosicché sono da considerare attività economiche libere, con la conseguenza che l'attività può essere svolta anche da soggetti privati nel rispetto delle regole e delle linee guida stabilite dalle autorità di vigilanza previste.
Poiché il Comune ha affittato la distribuzione di energia elettrica a Alpha srl mediante un contratto d’affitto di ramo d’azienda, è opportuno classificare i relativi beni come patrimonio disponibile, al fine di garantirne l'utilizzo temporaneo da parte di Alpha srl attraverso l'accordo di diritto privato in essere.

È vero, che la cabina elettrica può essere classificato come patrimonio disponibile, siccome la distribuzione non è "un servizio pubblico in senso stretto"?”
Consulenza legale i 03/04/2023
Premettendo che i presupposti per la sdemanializzazione sono stati chiariti dalla giurisprudenza che ha precisato, anche per i beni pubblici di proprietà comunale, che “il passaggio al patrimonio disponibile dello Stato si pone in stretta dipendenza al fatto materiale della perdita della destinazione pubblica del bene cosiddetta sdemanializzazione tacita” (ex multis Corte di Cassazione Sezioni Unite n. 7739 del 7 aprile 2020) occorre chiarire se l’attività di distribuzione dell’energia elettrica costituisca, ad oggi, un servizio pubblico in senso stretto.
Infatti, a partire dagli anni Novanta, sulla spinta del legislatore europeo, anche in Italia si è assistito ad una graduale liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica.
Il sistema che si è venuto a delineare prevede che la distribuzione dell’energia elettrica sia svolta da operatori privati che agiscono in regime di concessione.

Pertanto, si può ritenere che, pur essendo tenuti i concessionari al rispetto di regole pubbliche nell’esercizio dell’attività di distribuzione (come, ad esempio, l’obbligo di assicurare la continuità del servizio) si può affermare che la gestione del servizio energetico, ivi compresa la distribuzione, non possa più essere considerato servizio pubblico in senso stretto.

Per tali motivi e allorquando la sdemanializzazione sia funzionale all’attività di distribuzione dell’energia, vi sarebbero i presupposti per il trasferimento del bene dal patrimonio indisponibile a quello disponibile.


Anonimo chiede
mercoledì 29/03/2017 - Sicilia
“Buongiorno, una società snc ha ricevuto una concessione per apertura di un bar tra PA e privato. Dopo la scadenza della concessione la snc ha continuato a occupare gli spazi in modo abusivo e senza pagare i canoni relativi alla concessione. La domanda è avendo la snc un debito di 130.000 euro la PA può chiedere alla snc di pagare l'intero importo del debito, o se si può concedere di pagare rateale quante rate si possono fare e quali documenti si possono chiedere per attestare il fatturato della snc che dice di stare in crisi economica?”
Consulenza legale i 01/04/2017
Prima di affrontare la problematica sollevata con il quesito in esame, si ritiene opportuno delineare brevemente la disciplina delle concessioni di suolo pubblico, al fine di chiarire meglio la posizione del concessionario nei confronti della pubblica amministrazione concedente.

Il motivo essenziale per cui le occupazioni permanenti o temporanee di suolo, soprassuolo e sottosuolo, appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile del Comune, sono soggette a concessione è quello di consentire un'utilizzazione particolare dei predetti beni a fronte di una conseguente limitazione al diritto di godimento generalizzato sugli stessi (collettività).

E’ questa la ragione per cui il rilascio dei provvedimenti di concessione, costituenti titolo per l’occupazione, è subordinato all’attivazione, allo sviluppo ed alla conclusione di un vero e proprio procedimento amministrativo, regolato dai principi generali previsti in materia e coordinato ed integrato con le disposizioni previste dal Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285, recante il nuovo codice della strada, e dal relativo regolamento di esecuzione ed attuazione, nonché dalla legge 7 agosto 1990, n. 241.

Tale procedimento amministrativo non è detto che, una volta attivato, si concluda necessariamente con il rilascio del provvedimento di concessione, potendo l'amministrazione ravvisare nell'occupazione richiesta motivi o situazioni di contrasto con gli interessi generali della collettività.
In ogni caso, l'eventuale rilascio del provvedimento amministrativo deve precedere l'occupazione materiale del suolo pubblico o dello spazio sotto stante o sopra stante ad esso.

Ottenuto il provvedimento di autorizzazione, il concessionario è obbligato a custodire gli atti e i documenti comprovanti la legittimità dell'occupazione e ad esibirli a richiesta del personale incaricato dall'amministrazione, decadendo dal diritto di occupare lo spazio concessogli, tra l’altro, per mancato o parziale pagamento, nei termini stabiliti, del canone di concessione.

Cessato il termine per il quale la concessione è stata rilasciata (ovviamente il riferimento è alla concessione temporanea, che è quella che qui ci interessa), è possibile chiedere una proroga del provvedimento di concessione, ed a tal fine è richiesto che il concessionario presenti una domanda di proroga generalmente almeno 7 giorni prima della scadenza della concessione in atto, indicando la durata ed i motivi della richiesta di proroga.
Se l’occupazione si protrae oltre il termine di scadenza della concessione, senza rinnovo o proroga di questa, la stessa occupazione è considerata abusiva, con la conseguenza che il competente servizio comunale, previa constatazione e contestazione della relativa violazione e conseguente applicazione della indennità e delle sanzioni relative, può disporre la rimozione dei materiali o la demolizione dei manufatti, nonché la rimessa in pristino del suolo, dello spazio e dei beni pubblici, assegnando agli occupanti di fatto un congruo termine per provvedervi, trascorso il quale vi provvede d’ufficio, addebitando agli occupanti medesimi le relative spese (resta comunque a carico dell’occupante di fatto ogni responsabilità per qualsiasi danno o molestia arrecati a terzi a causa della occupazione).

Indennità e sanzioni per le occupazioni abusive saranno determinate in base all’ammontare del canone per le analoghe occupazioni regolarmente autorizzate, tenendosi comunque conto che il pagamento delle sanzioni non sana la irregolarità della occupazione; va detto che il verbale di contestazione della violazione costituisce titolo per il versamento del canone e che si osservano i termini di prescrizione previsti dal codice civile.

Questa costituisce la disciplina vigente per colui il quale intenda richiedere o sia già in possesso di una concessione temporanea di suolo pubblico, con indicazione specifica di quali azioni occorre porre in essere alla scadenza del periodo di validità della concessione e di quali sono le conseguenze cui si può andare incontro per l’ipotesi in cui non venga chiesta o ottenuta una proroga e/o rinnovo della concessione e, malgrado ciò, si continui ad occupare il suolo pubblico.

A questo punto, chiarito che ciò di cui si può essere tenuti a rispondere non è soltanto il pagamento del canone per il periodo in cui si è continuato ad occupare il suolo abusivamente, ma anche il pagamento di una somma a titolo di indennità e di sanzioni e quantificata dal competente servizio comunale in base all’ammontare del canone per le analoghe occupazioni regolarmente autorizzate, vediamo quali possibilità sono riservate al concessionario, sia esso persona fisica o giuridica, costretto a pagare tali somme e che versi in disagiate condizioni economiche.

Intanto va detto che avendo la C.O.S.A.P. (canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche) natura di vero e proprio tributo comunale, la riscossione coattiva delle somme dovute a titolo di canone, indennità, sanzioni, ed interessi, non pagate alle scadenze stabilite, può essere effettuata coattivamente dal Servizio Bilancio ed Affari Finanziari del Comune interessato, ad intervenuta richiesta del servizio competente, mediante consegna del relativo ruolo al concessionario del servizio di riscossione, che vi provvede secondo le disposizioni in materia, o mediante ingiunzione fiscale ai sensi del Regio Decreto 14 aprile 1910, n. 639, o in base alle modalità definite dalle disposizioni vigenti in materia.
Con le stesse modalità potranno essere recuperate le eventuali spese sostenute dal Comune per la rimozione dei materiali e manufatti e per la rimessa in pristino del suolo in caso di occupazioni ed installazioni abusive.

Per tali casi è possibile, su richiesta dell'interessato in condizioni economiche disagiate, consentire il pagamento in rate mensili, generalmente fino ad un massimo di trenta, fruttifere di interessi legali.
In ogni momento il debito può essere estinto in unica soluzione, ma si tenga conto che nel caso di mancato pagamento anche di una o più rate (a seconda di ciò che prevede il regolamento del Comune competente), il debitore decadrà dal beneficio e dovrà provvedere al pagamento del debito residuo entro un termine molto breve (generalmente trenta giorni) dalla scadenza della rata o delle rate non adempiute.

Circa la prova della crisi in cui versa l’impresa, si ritiene che sia sufficiente produrre copia dell’ultimo bilancio di esercizio della società, da cui è possibile desumere il fatturato dell’azienda e le passività gravanti sulla stessa.

Per quanto concerne le modalità concrete per fruire del beneficio di un pagamento rateale, si ritiene comunque indispensabile recarsi presso il locale ufficio tributi del Comune interessato, ove poter acquisire o prendere comunque conoscenza del Regolamento Comunale disciplinante la concessione di dilazioni e/o rateizzazioni di pagamenti applicabili ai debiti per Imposte e tributi Comunali, normalmente approvato con Deliberazione Consiliare ed in questa richiamato, ovvero consultare il sito internet del Comune, ove tali atti vengono pubblicati in ottemperanza al principio della amministrazione trasparente.

Lì sarà anche possibile acquisire un fac simile per la richiesta di dilazione e/o rateizzazione debiti per imposte e tributi comunali, contenente nella generalità dei casi l’indicazione specifica della documentazione da allegarvi e che il Comune interessato vuole venga prodotta.

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