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Articolo 18 Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire il lavoro agile

(L. 22 maggio 2017, n. 81)

[Aggiornato al 20/08/2022]

Lavoro agile

Dispositivo dell'art. 18 Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire il lavoro agile

1. Le disposizioni del presente capo, allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, promuovono il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

2. Il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell'attività lavorativa.

3. Le disposizioni del presente capo si applicano, in quanto compatibili, anche nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, secondo le direttive emanate anche ai sensi dell'articolo 14 della legge 7 agosto 2015, n. 124, e fatta salva l'applicazione delle diverse disposizioni specificamente adottate per tali rapporti.

3-bis. I datori di lavoro pubblici e privati che stipulano accordi per l'esecuzione della prestazione di lavoro in modalità agile sono tenuti in ogni caso a riconoscere priorità alle richieste di esecuzione del rapporto di lavoro in modalità agile formulate dalle lavoratrici e dai lavoratori con figli fino a dodici anni di età o senza alcun limite di età nel caso di figli in condizioni di disabilità ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104. La stessa priorità è riconosciuta da parte del datore di lavoro alle richieste dei lavoratori con disabilità in situazione di gravità accertata ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 o che siano caregivers ai sensi dell'articolo 1, comma 255, della legge 27 dicembre 2017, n. 205. La lavoratrice o il lavoratore che richiede di fruire del lavoro agile non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro. Qualunque misura adottata in violazione del precedente periodo è da considerarsi ritorsiva o discriminatoria e, pertanto, nulla(1).

3-ter. Il rifiuto, l'opposizione o l'ostacolo alla fruizione del lavoro agile, secondo quanto disposto dal comma 3-bis, ove rilevati nei due anni antecedenti alla richiesta della certificazione della parità di genere di cui all'articolo 46 bis del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 o di analoghe certificazioni previste dalle regioni e dalle province autonome nei rispettivi ordinamenti, impediscono al datore di lavoro il conseguimento delle stesse certificazioni(2).

4. Gli incentivi di carattere fiscale e contributivo eventualmente riconosciuti in relazione agli incrementi di produttività ed efficienza del lavoro subordinato sono applicabili anche quando l'attività lavorativa sia prestata in modalità di lavoro agile.

5. Agli adempimenti di cui al presente articolo si provvede senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

Note

(1) Comma modificato dal D. Lgs. 30 giugno 2022, n. 105.
(2) Comma inserito dal D. Lgs. 30 giugno 2022, n. 105.

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relative all'articolo 18 Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire il lavoro agile

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C. P. chiede
venerdģ 10/05/2024
“Gentilissimi,

vi contatto per richiedere una consulenza legale riguardo alla mia attuale situazione lavorativa. Lavoro per una catena alberghiera italiana, con hotel sul Lago di Garda e in Sicilia, occupandomi di marketing e comunicazione con un contratto a tempo indeterminato da 8 anni, con la qualifica di addetta alla comunicazione digitale, 2° livello.

Nel 2016, vivevo a Roma e ho richiesto un contratto da remoto, ma mi è stato fatto un contratto tradizionale con sede a Letojanni, garantendomi però per email che non sarei mai stata richiamata a lavorare in sede. Nel 2021 con la famiglia ci siamo trasferiti in Sicilia, a circa 10 km dall'hotel dove ufficialmente risulto assunta, continuando a lavorare esclusivamente in remoto (mai ufficializzato) e partecipando solo occasionalmente a trasferte o incontri quando necessario.

Lo scorso anno c'è stata una variazione nel consiglio di amministrazione aziendale, con l'inserimento, oltre ai precedenti amministratori, di nuove figure fra cui figli e generi. Tre settimane fa, la nuova amministratrice nonché nuova responsabile del mio reparto, figlia dell'amministratore che mi aveva assunto, durante un incontro vis a vis, mi ha comunicato l'obbligo di presenza in ufficio 5 o 6 giorni su 7, motivando che ciò migliorerebbe la mia concentrazione visto che recentemente avevo "sbagliato a pubblicare una foto" e mi terrebbe aggiornata sulle modifiche negli hotel visto che "era crollato il tetto del centro benessere e io non ne ero a conoscenza".

Questo cambia drasticamente le condizioni di lavoro concordate, aggiungendo altre attività al mio lavoro, che come mi è stato riferito sarebbero il confronto con i direttori e la costante collaborazione con l'ufficio prenotazioni, e le mie possibilità di gestire gli impegni familiari, avendo due bambini piccoli, un compagno che viaggia frequentemente e l'esigenza di cambiare residenza da qui a qualche mese.

Premetto che lavoro per tutti gli hotel della catena, 13 strutture alberghiere di cui 9 sul lago di Garda e 4 in Sicilia e eventuali hotel partner in Trentino e Veneto con i quali l'azienda ha stretto rapporti per la gestione della presenza web e social. Ho sempre lavorato per obiettivi, portando e motivando i risultati, sempre partecipato attivamente nel team, occupandomi di svariate attività, che come ho fatto notare più volte, in altre aziende sarebbero affidate a 2-3 distinte risorse.

Ho provato a discutere queste modifiche e a richiedere un accordo formale di smartworking, o almeno un contratto definitivamente in remoto, ma mi è stato risposto che non si tratta di una richiesta ma di un'imposizione, e che l'azienda intende procedere in questa direzione. Aggiungo che un'altra risorsa, residente ad Enna, continuerà a lavorare in remoto e che il resto del team con il quale mi interfaccio quotidianamente non si trova in sede.

In sede vi sono solo uffici amministrativi e di prenotazione, tra l'altro solo degli hotel della Sicilia, mentre sul lago di Garda vi sono gli uffici centrali dove risiedono gli amministratori e il mio responsabile.

Ho già inviato una mail al responsabile delle risorse umane chiedendo le motivazioni scritte di questo obbligo di lavoro in sede. Tuttavia, mi è stato ribadito che questa era la volontà dell'azienda e mi sono state date motivazioni vaghe e poco consistenti. Inoltre, mi è stato detto che, volontà dell’azienda, era il reintegro di tutte le risorse in sede, quando una collega che lavora ad Enna continuerà a lavorare in remoto in quanto Sviluppatrice Web e quindi le sue mansioni possono essere espletate in remoto (aggiungo anche le mie visto che ho sempre lavorato così).

Infine, nell’ultimo incontro con HR, in cui si riaffermava l’impossibilità di concedermi 3 giorni in remoto e 2 a casa come eventualmente avevo proposto per venire incontro alle esigenze aziendali, ho eventualmente proposto un part-time in presenza come ultima spiaggia, ma dopo successivi confronti con un consulente di lavoro risulta inadeguato, poiché a fronte di un dimezzamento del mio stipendio dovrei ugualmente far fronte a difficoltà dovute alla chiusura delle scuole per i prossimi mesi estivi (ricordo che ho due bimbi di 2 e 4 anni) e eventualmente pagare dei centro estivi che andrebbero a pesare quasi metà dello stipendio (oltre alla difficoltà di trovarli e la non voglia di far frequentare per tutta l’estate dei campi estivi a dei bimbi cosi piccoli).

Desidererei sapere quali sono i miei diritti in questa situazione e se esistono eventualmente sia i presupposti per licenziamento che per dimissioni per giusta causa, considerando anche possibili atteggiamenti di mobbing che stanno influenzando negativamente il mio ambiente lavorativo.

Resto in attesa di vostre.”
Consulenza legale i 19/05/2024
Lo Smart Working è stato introdotto con la Legge n. 81 del 22/05/2017. Il Capo II della L. 81/2017 rubricato “lavoro agile” detta la normativa di riferimento per lo smart working con gli artt. 18 e 23.

Tra i requisiti per svolgere il lavoro agile, va ricordata, innanzitutto, la necessità di stipulare tra datore di lavoro e lavoratore un accordo in forma scritta relativo alla modalità di svolgimento del lavoro agile. L’accordo dovrà disciplinare l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore. Inoltre, all’interno dell’accordo dovranno venire individuati i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro.

L’accordo in cui si definiscono le modalità di svolgimento del lavoro agile può avere una valenza limitata oppure essere a tempo indeterminato. In questo secondo caso il recesso dall’accordo potrà avvenire solo rispettando un termine di preavviso non inferiore a trenta giorni, ciò al fine di consentire un’adeguata riorganizzazione dei percorsi di lavoro rispetto alle esigenze di vita e di cura del lavoratore. Va comunque osservato che in presenza di un giustificato motivo, ciascuno dei contraenti può recedere prima della scadenza del termine nel caso di accordo a tempo determinato, o senza preavviso nel caso di accordo a tempo indeterminato. Quest’ultima previsione, sebbene a tutela di tutti gli smart worker, garantisce al lavoratore con figli un termine minimo per riorganizzare la propria quotidianità, qualora il datore di lavoro dovesse ritenere di recedere dall’accordo di smart working.

Nel caso di specie, non vi è stato un vero e proprio accordo in forma scritta (anzi il contratto di lavoro prevede il lavoro in sede) anche se l’azienda, tramite e-mail, ha garantito che la lavoratrice non sarebbe mai stata richiamata in sede.

Anche nel caso in cui si dovesse considerare come un accordo efficace di smart working quello concluso a suo tempo solo oralmente e tramite email, il datore di lavoro avrebbe, comunque, diritto ad esercitare il recesso, comunicandolo all’altra parte con un preavviso di trenta giorni.

L’unico appiglio, nel caso di specie, potrebbe essere la presenza di figli minori.

Infatti, durante la Pandemia da COVID-19 il D.L. 34/2020 aveva previsto che fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica i genitori lavoratori dipendenti del settore privato che avevano almeno un figlio minore di anni 14, a condizione che nel nucleo familiare non vi fosse altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa o che non vi fosse genitore non lavoratore, avessero diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile anche in assenza degli accordi individuali. Il termine finale per la validità di questa normativa di maggior favore è stato prorogato con diversi provvedimenti normativi, da ultimo con l’art. 1 L. 191/2023, Legge di conversione del decreto-legge 145/2023, il quale prevede come termine ultimo per questa previsione normativa il 31/03/2024.

Tale disposizione transitoria non è stata più rinnovata, pertanto, anche in presenza dei figli minori, non è attualmente più possibile vantare un diritto al lavoro agile anche in assenza di accordo individuale.

Tuttavia, l’art. 18 co 3 bis L. 81/2017 impone ai datori di lavoro pubblici e privati che stipulano accordi per l’esecuzione della prestazione di lavoro in modalità agile a riconoscere priorità alle richieste di smart working a soggetti fragili degni di maggiore tutela, tra i quali rientrano le richieste delle lavoratrici e dai lavoratori con figli fino a dodici anni di età. Qualora il figlio dovesse essere affetto da una condizione di disabilità ai sensi dell’art. 3 co. 3 L. 104/1992 viene meno il limite di età del figlio. Pertanto, il genitore di figlio disabile avrà diritto ad essere preferito nell’assegnazione di smart working indipendentemente dall’età del figlio.

I datori di lavoro devono garantire effettiva priorità a queste richieste per non rischiare eventuali “sanzioni indirette”, come l’impossibilità di richiedere la certificazione della parità di genere e l’accesso a bonus contributivi o bandi nazionali.

Priorità non significa diritto assoluto. Se l’azienda decidesse di non implementare lo smart working, anche i lavoratori appartenenti alle categorie sopra citate dovrebbero adeguarsi al lavoro in sede.

Il datore di lavoro può rifiutarsi di concedere il lavoro a distanza, nell’ambito di quello che è il suo potere di organizzare l’attività economico-produttiva.

Tuttavia, secondo la giurisprudenza, accertata la sussistenza delle condizioni per ricorrere al lavoro agile, il datore di lavoro non può agire in maniera irragionevolmente o immotivatamente discriminatoria nei confronti di questo o quel lavoratore “restando tuttavia impregiudicata ogni riserva di valutazione nel merito connessa al legittimo esercizio del potere di iniziativa imprenditoriale costituzionalmente garantito”.
Il Tribunale di Trieste, con la sentenza 21 dicembre 2023, ha deciso che anche il diritto al lavoro agile riconosciuto ai lavoratori fragili e ai lavoratori genitori di figli under 14 anni, previsto dal DL 34/2020 sopra citato non è assoluto. Tale diritto è subordinato, per espressa disposizione legislativa, alla compatibilità con le caratteristiche della prestazione.

Nel caso esaminato dai giudici di merito, una lavoratrice, considerata fragile dal medico competente, aveva presentato ricorso contro la decisione datoriale di concedere solo 2 giorni in smart working, su una settimana lavorativa di 5 giorni, dopo che per ben tre anni aveva fruito integralmente del lavoro a distanza.

In sintesi, secondo il giudice di merito lo smart working a cui il lavoratore fragile ha diritto, così come il genitore di figli under 14 anni, può essere modulato in relazione al fatto che l’assetto organizzativo aziendale preveda che una parte della prestazione debba svolgersi in presenza.

Ne deriva che la valutazione della compatibilità della mansione, che condiziona la concessione del diritto allo smart working per i predetti lavoratori, non va effettuata in astratto e una sola volta, ma può legittimamente risentire delle concrete e anche mutevoli esigenze organizzative e produttive.

Quindi, tenuto conto della specifica situazione lavorativa, il diritto allo smart working può essere riconosciuto parzialmente, alternando prestazioni svolte in parte in presenza e in parte a distanza.
Purtroppo, nel caso di specie, la volontà del datore di lavoro sembrerebbe quella di non implementare il lavoro a distanza.

Tuttavia, si potrebbe insistere sulla compatibilità della prestazione con lo smart working e sottolineare l’analogia della situazione con l’unica collega a cui è concesso lo smart working. In particolare, nel caso in cui si dovesse procedere proprio in questo periodo ad un accordo scritto con la collega, si potrebbe far valere la priorità prescritta dalla legge.


Far valere tale priorità risulta difficile proprio perché l’azienda non sembrerebbe avere intenzione di attivare altri accordi di smart working. La priorità può essere fatta valere solo nel caso vi siano altre richieste con esito positivo.

Secondo quanto riportato, non sembra che nel caso di specie si possa configurare un vero e proprio mobbing.

La giurisprudenza annovera tra le condotte integranti il mobbing quelle contraddistinte da “una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio psichico e del complesso della sua personalità” (Cassazione Civile, Sezione Lavoro, sentenza n. 87 del 2012).
Come chiarito anche dalla giurisprudenza (cfr. ad esempio Cass. Civ., sez. Lavoro, n. 17698/2014), sono elementi costitutivi del fenomeno del mobbing:
  1. una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo mirato, sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;
  2. l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
  3. il nesso di causalità tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità;
  4. l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio che unifica e lega tra loro tutti i singoli comportamenti ostili.
Per integrare il mobbing, tuttavia, è necessario che sussistano tutti gli elementi descritti, quindi anche il danno alla salute, il nesso di causalità e l’intento persecutorio (lettere b, c e d).

I fatti descritti non sembrano di per sé poter configurare il mobbing.

Per quanto riguarda eventuali dimissioni per giusta causa, non vi sono precedenti che confermino che il recesso dal patto di lavoro agile da parte dell’azienda (sempre che l’accordo raggiunto oralmente e tramite email possa essere considerato un accordo di lavoro agile) possa costituire una giusta causa di dimissioni del lavoratore interessato a rendere la prestazione solo in modalità agile. Si potrebbe però ipotizzare un’analogia con quanto previsto dall’art. 2112, comma 4, in caso di mutamento sostanziale delle condizioni di lavoro dopo il trasferimento di azienda.