Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale aveva dichiarato il “non luogo a procedere” nei confronti di un Ispettore di Polizia Municipale e responsabile dell’ufficio contravvenzioni, in ordine all’imputazione per i reati di cui agli artt. 323 (abuso d’ufficio), 476 (falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici) e 490 (soppressione, distruzione e occultamento di atti veri) codice penale, contestati come commessi “sopprimendo o sostituendo diversi verbali di contravvenzione stradale (emessi da alcuni ausiliari del traffico), in modo da consentire ai contravventori di pagare somme ridotte e non subire decurtazioni di punti sulle patenti di guida”.
Avverso tale sentenza, proponeva ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica, il quale deduceva l’inattendibilità delle dichiarazioni rese da una teste, nella specie, un’impiegata dell’ufficio contravvenzioni del Comune.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, dal momento che le dichiarazioni rese dalla teste non avevano assunto rilievo determinante nella motivazione della decisione, in quanto la Corte d’appello era giunta alle proprie conclusioni “a seguito di una dettagliata analisi delle questioni relative alla sussistenza del fatto contestato (…), alla rilevanza penale della condotta ascritta (…) ed alla prova del dolo e del vantaggio patrimoniale”.
Di conseguenza, secondo la Cassazione, la sentenza impugnata aveva valutato congruamente “la totalità degli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari (…), concludendo per la prospettabile mancanza di possibili sviluppi dibattimentali idonei ad incidere su un quadro di sostanziale insufficienza degli elementi stessi a sostenere le ipotesi criminose contestate in tutte le loro componenti costitutive”.
In particolare, la Corte d’appello aveva attribuito particolare significatività al fatto che risultava accertata una “situazione di difficoltà amministrativa (…) nella gestione del servizio contravvenzioni del Comune (…)”, a causa di “diffusi malumori ed atteggiamenti di protesta indotti nella cittadinanza dai primi risultati dell’affidamento del controllo sul rispetto delle regole della circolazione stradale ad ausiliari del traffico, il cui operato era soggetto a critiche di eccessiva rigidità”.
Nel caso di specie, dunque, il Giudice aveva ritenuto che non sussistessero sufficienti indizi che giustificassero in rinvio a giudizio dell’imputato, in considerazione della “ridotta percentuale delle attività segnalate”, della “mancanza di accertati rapporti fra l’imputato ed i contravventori coinvolti” e della “grossolanità degli interventi effettuati in relazione alla praticabilità di azioni soppressive ben più efficaci e meno rilevabili”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica, confermando la statuizione di “non luogo a procedere” pronunciata dal Giudice dell’Udienza Preliminare.