Lo sfogo di un operaio che lavora sui tetti ha descritto una situazione insostenibile: ”Sono giornate d’inferno, mentre lavoriamo possiamo arrivare a percepire fino 43 o 44 gradi. È una follia, dovremmo fermarci".
In materia di gestione delle alte temperature sul lavoro, ci sono obblighi per il datore di lavoro?
Innanzitutto, il datore ha il dovere di proteggere e garantire la salute psico-fisica dei propri dipendenti. Questo dovere è previsto dall’art. 2087 c.c.: è un principio generale che ispira tutta la legislazione sulla sicurezza sul lavoro.
Se i lavoratori devono eseguire le proprie attività con temperature estreme (troppo calde, ma anche troppo fredde), una tutela è certamente necessaria.
La legge (il d.lgs. n. 81/2008) prevede la valutazione del rischio da stress termico per l’individuazione delle misure di prevenzione e protezione. La valutazione di questo rischio comprende anche il “pericolo da calore”.
Il datore deve usare specifiche misure per tutelare i dipendenti dai pericoli derivanti da temperature eccessive: ad esempio, assicurare acqua fresca, garantire zone d’ombra nelle pause, limitare l’attività durante l’orario di massimo calore.
Anche l’INAIL (Istituto nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) ha pubblicato linee guida con indicazioni per proteggere la salute dei lavoratori nel caso di temperature elevate.
Secondo l’art. 28 d.lgs. n. 81/2008, il datore deve fare questa valutazione di rischio e deve darne conto in due documenti: il Documento di valutazione dei rischi (D.v.r.) e il Piano operativo di sicurezza (P.o.s.).
Nel D.v.r. si devono considerare tutti quegli aspetti che possono influire sul rischio:
- le attività che devono essere svolte all’aperto in modo continuativo e non occasionale (ad es., lavoro in cantiere);
- lo sforzo fisico richiesto dall’attività, anche con l’uso di dispositivi di protezione individuali (d.p.i.);
- le condizioni ambientali (luogo di lavoro e dimensione aziendale);
- l’orario di lavoro (soprattutto nelle ore più calde, dalle ore 14:00 alle ore 17:00);
- le caratteristiche dei singoli lavoratori (età, sesso, stato di salute).
Ancora, per limitare i pericoli da caldo, quando la temperatura “percepita” raggiunge e supera i 35 gradi, il datore può anche fare ricorso alla Cassa integrazione guadagni ordinaria.
Indipendentemente dai 35 gradi e dal ricorso alla Cassa integrazione, il responsabile della prevenzione e protezione dei rischi (R.s.p.p.) può anche stabilire la sospensione delle attività lavorative quando si accorga di pericoli per la sicurezza e salute dei lavoratori.
Invece, cosa possono fare i lavoratori?
In primo luogo, è possibile segnalare la situazione di disagio all’Ispettorato del lavoro. L’Ispettorato nazionale del lavoro, come anche precisato nella recente nota 5056/2023, dovrà verificare la presenza della valutazione di rischio sia nel D.v.r., sia nel P.o.s.:
- se la valutazione non c’è, sarà applicata la prescrizione ai sensi dell’art. 181, comma 1 e dell’art. 28, comma 2 lett. a) o b) d.lgs. n. 81/2008, con sanzioni che possono arrivare anche all’immediata sospensione del lavoro;
- se la valutazione di rischio c’è ma le misure di sicurezza individuate non sono rispettate, allora si procederà con prescrizione nei confronti del preposto. Le forze dell’ordine possono sospendere immediatamente i lavori e solo dopo l’azione di tutte le misure necessarie potrà esserci la ripresa dell’attività.
Ancora, i lavoratori possono iniziare un giudizio civile contro il datore affinché il giudice lo condanni al ripristino della situazione di sicurezza sul lavoro.
Peraltro, in una pronuncia del 2015 (ordinanza n. 6631/2015), la sezione Lavoro della Cassazione ha affermato che, a causa delle forti temperature, il lavoratore ha il diritto di astenersi dal lavorare, senza perdere la retribuzione. Il caso riguardava temperature molto fredde, ma questo principio si può certamente estendere anche alle situazioni di caldo esagerato, come quello che stiamo vivendo in questi giorni.