(massima n. 1)
Nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato, il «comando» del dipendente pubblico si differenzia dal «distacco» del dipendente privato per la natura provvedimentale dell'atto che dispone il comando, adottato dal soggetto nella cui organizzazione il dipendente viene inserito, e non dal suo originario datore di lavoro, per cui, diversamente dal distacco, il comando non realizza un interesse del datore di lavoro ma dell'Amministrazione che lo dispone, e non costituisce un atto organizzativo riconducibile al datore di lavoro; ne consegue che, laddove nel caso del distacco permangono in capo al datore di lavoro distaccante il potere direttivo e di determinare la cessazione del distacco stesso, e pertanto, in caso di dipendente adibito a mansioni superiori presso il distaccatario, in capo al distaccante si verificheranno le conseguenze di cui all'art. 2103 c.c., nell'ipotesi del comando, il dipendente pubblico che si trovi a svolgere mansioni superiori a quelle originarie presso l'amministrazione ove è comandato non ha diritto all'inquadramento nella qualifica superiore presso il proprio datore di lavoro, nè al pagamento delle relative differenze retributive. (Nella specie, la S.C. ha negato il diritto all'inquadramento in una qualifica superiore al dipendente delle Ferrovie dello Stato, distaccato presso un Ministero ed ivi adibito a mansioni superiori, con provvedimento adottato prima del 5 febbraio 1988 — data di privatizzazione cd. sostanziale del rapporto di lavoro, a seguito della stipulazione del primo contratto collettivo —, ma spiegante i suoi effetti anche successivamente, in quanto il provvedimento di «comando» non perdeva i suoi effetti a seguito della privatizzazione e continuava a determinare una situazione che escludeva il potere del datore di lavoro di disporne la cessazione).