(massima n. 1)
La nozione di trasferimento del lavoratore, ai sensi dell'art. 2103, primo comma (ultima parte), c.c., implica ordinariamente il mutamento definitivo del luogo geografico di esecuzione della prestazione, il quale, non è di per sè idoneo a configurare l'ipotesi del trasferimento quando lo spostamento venga attuato nell'ambito della medesima unità produttiva, con riguardo ad articolazioni aziendali che, sebbene dotate di una certa autonomia amministrativa, siano destinate a scopi interamente strumentali o a funzioni ausiliarie sia rispetto ai generali finii dell'impresa, sia rispetto ad una frazione dell'attività produttiva della stessa. Nell'ambito del lavoro pubblico, la P.A. esercita il potere di organizzazione e gestione del rapporto di lavoro con la capacità ed i poteri del datore di lavoro privato (ai sensi dell'art. 5, comma secondo, del D.L.vo n. 165 del 2001), che è esclusivamente disciplinato dalle disposizioni del c.c., delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa e dei contratti collettivi, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel D.L.vo n. 165 del 2001 (artt. 2, commi secondo e terzo, e 51). Pertanto, il diritto del pubblico dipendente, avuto riguardo all'ipotesi del trasferimento, in mancanza di specifiche discipline recate dai contratti collettivi, non può che rapportarsi alla garanzia apprestata dal suddetto art. 2103, primo comma, ultimo periodo, c.c. (che non risulta derogato, per questa parte, dall'art. 52 D.L.vo n. 165 del 2001), con la conseguenza che il datore di lavoro non può trasferire il dipendente da un'unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, esigenze queste che, pertanto, non è tenuto a comprovare quando non sia ricorrente propriamente un caso di trasferimento, ma la mera assegnazione del dipendente ad un altro posto nell'ambito dello stesso ufficio. (Nella specie, la S.C., limitandosi a correggere la motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell'art. 384, secondo comma, c.p.c., ha rigettato il ricorso di una dipendente comunale che aveva impugnato la delibera di assegnazione della stessa ad altre mansioni equivalenti nell'ambito della medesima amministrazione, previa soppressione di un posto corrispondente alla relativa qualifica funzionale rivestita nell'ufficio di provenienza, e senza che, per, fosse intervenuto alcun mutamento del luogo geografico di esecuzione della prestazione, essendo, altresì, rimasto congruamente accertato, da parte del giudice di merito, che le nuove mansioni non avevano comportato alcuna «dequalificazione» e che la decisione del datore di lavoro, siccome dettata dall'esigenza di far cessare situazioni di illegalità presso l'ufficio a quo, non presentava caratteri di arbitrarietà e di illiceità).