(massima n. 1)
In tema di procedibilità di ufficio per reati sessuali commessi da pubblico ufficiale (o incaricato di pubblico servizio), l'art. 609 septies c.p., a differenza dell'abrogato art. 542 c.p. per il quale era sufficiente la qualifica soggettiva, richiede che il fatto sia perpetrato nell'esercizio delle proprie funzioni. Tale configurazione è indipendente e priva di connessione con l'aggravante di cui all'art. 61, n. 9 stesso codice (commissione del fatto con abuso dei poteri o violazione dei doveri propri della funzione) che può contestualmente sussistere o meno. Pertanto, nel giudizio di rinvio dopo annullamento da parte della Suprema Corte, la valutazione circa la ricorrenza nel caso di specie della contestualità dell'esercizio delle pubbliche funzioni non è preclusa dal passaggio in giudicato del punto relativo alla esclusione dell'aggravante anzidetta, atteso che la preclusione derivante dall'effetto devolutivo dell'appello (nella specie interposto dal solo imputato) concerne esclusivamente i punti della sentenza e cioè le statuizioni autonome della decisione, contenuti nel dispositivo, e non gli elementi logico-argomentativi prospettati in motivazione. (Nella specie la Corte di cassazione ha ritenuto irrilevante che il giudice di primo grado, ritenendo la procedibilità di ufficio ex art. 542 all'epoca vigente ed escludendo, con statuizione sul punto non impugnata, l'aggravante dell'art. 61 n. 9, avesse accennato al fatto che l'agente al momento del fatto non era più in servizio).