(massima n. 3)
Nel caso in cui il fallimento si chiuda con un concordato, il compenso al curatore - che è unico e corrisponde anche all'attività svolta dopo l'omologazione (avuto riguardo al compito del curatore di sorvegliare l'adempimento del concordato, unitamente al giudice delegato e al comitato dei creditori, ai sensi dell'art. 136 legge fall.) - va liquidato dopo l'esecuzione del concordato stesso (art. 39, comma secondo, legge fall.), secondo i criteri stabiliti dall'art. 2, comma 2, D.M. 28 luglio 1992, n. 570, che prefigura la possibilità di una valutazione riduttiva dell'opera del curatore rispetto al caso di chiusura del fallimento nei modi ordinari (in logica coerenza col fatto che il curatore, nell'ipotesi di concordato, è sollevato da una parte dei suoi compiti usuali, segnatamente in punto di liquidazione e distribuzione dell'attivo), nel senso che stabilisce che la percentuale sull'attivo, calcolata sull'ammontare di quanto con il concordato viene attribuito ai creditori, non può superare le misure massime previste dall'art. 1 dello stesso d.m., consentendo in tal modo che essa scenda, a seguito di apprezzamento discrezionale del tribunale, anche al di sotto della misura minima. (Nella fattispecie, la S.C. ha quindi cassato il decreto del tribunale, che aveva liquidato, superando i limiti massimi stabiliti dall'art. 2 D.M. cit., un secondo compenso al curatore per l'attività svolta quale «liquidatore» del concordato, qualifica estranea a qualsiasi previsione legislativa, ma attribuitagli dalla sentenza di omologazione in relazione, peraltro, non ad una attività di trasformazione in denaro dei beni residui, bensì al compito assegnatogli di provvedere, in via diretta ed in luogo degli assuntori, al pagamento di parte dei creditori tramite utilizzazione delle somme già a disposizione dell'amministrazione fallimentare e nei limiti delle medesime).