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Articolo 348 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 25/08/2024]

Esercizio abusivo di una professione

Dispositivo dell'art. 348 Codice Penale

Chiunque abusivamente esercita una professione(1) per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato [2229](2) è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni con la multa da euro 10.000 a euro 50.000.

La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e, nel caso in cui il soggetto che ha commesso il reato eserciti regolarmente una professione o attività, la trasmissione della sentenza medesima al competente Ordine, albo o registro ai fini dell'applicazione dell'interdizione da uno a tre anni dalla professione o attività regolarmente esercitata.

Si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 15.000 a euro 75.000 nei confronti del professionista che ha determinato altri a commettere il reato di cui al primo comma ovvero ha diretto l'attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo(3).

Note

(1) Il requisito dell'abusività richiede che la professione sia esercitata in mancanza dei requisiti richiesti dalla legge, come ad esempio il mancato conseguimento del titolo di studio o il mancato superamento dell'esame di Stato per ottenere l'abilitazione all'esercizio della professione. Integra il reato anche la mancata iscrizione presso il corrispondente albo.
(2) La Corte Costituzionale ha respinto la questione di legittimità costituzionale della norma in esame rispetto ai principi di tassatività e determinatezza con la sen. 27 aprile 1993, n. 199, che però ha al contempo affermato la natura di norma penale in bianco, in quanto necessita, a fini integrativi, del ricorso a disposizioni extra penali che stabiliscono i requisiti oggettivi e soggettivi per l'esercizio di determinate professioni.
(3) Articolo così sostituito dalla legge 11 gennaio 2018, n. 3. "Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonché disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute". In vigore dal 15/02/2018.

Ratio Legis

La figura tutela il buon andamento della P.A. specificatamente diretto ad assicurare agli organi competenti l'esclusivo potere di disporre della titolarità dell'esercizio delle pubbliche funzioni e dei pubblici servizi.

Spiegazione dell'art. 348 Codice Penale

La norma tutela l'interesse pubblico acché determinate attività delicate, socialmente rilevanti, vengano svolte solamente da chi possegga gli accertati requisiti morali e professionali.

Se da una parte è stato riconosciuto che soggetti passivi del reato siano sia lo Stato che i privati, i quali, a causa della violazione della presente norma, abbiano subito in via mediata e riflessa, un danno patrimoniale, nessun rilievo scriminante può avere il consenso liberamente prestato del privato all'esercizio abusivo della professione.

Il reato ha natura istantanea, nel senso che è sufficiente la commissione anche di un solo fatto tipico riferibile all'esercizio della professione.

Non solo, la Cassazione ha altresì precisato che integra la fattispecie anche la commissione di atti relativamente liberi, ossia non esclusivi di quella determinata professione i quali, poiché connessi agli atti tipici, possono dare l'apparenza dell'esercizio della professione se svolti in modo organizzato, continuativo e remunerato, e perciò tali da creare le oggettive apparenze di un'attività professionale svolta in maniera lecita. Per contro, gli atti “tipici”, per essere perseguibili penalmente, possono anche essere svolti gratuitamente.

La giurisprudenza ha sancito il principio secondo cui, se il soggetto agente, versando in errore sulle norme che regolamentano l'accesso alla professione, sia convinto della mera sufficienza del possesso dei requisiti e della non necessarietà dell'iscrizione, tale errore potrà escludere il dolo e quindi la punibilità ai sensi dell'art. 47 comma 3.

Massime relative all'art. 348 Codice Penale

Cass. pen. n. 8956/2022

In tema di esercizio abusivo di una professione, integra tale delitto la condotta di chi, senza essere iscritto né all'albo dei giornalisti professionisti né a quello dei pubblicisti, eserciti, in maniera continuativa, organizzata e onerosa, attività di specifica competenza della professione giornalistica.

Cass. pen. n. 24032/2022

Non è configurabile il reato di esercizio abusivo della professione medica nella condotta di un infermiere professionale che, nel corso di un intervento, a richiesta del medico e sotto il suo personale ed esclusivo controllo, ponga in essere un'attività di supporto tecnico per sbloccare un dispositivo elettromedicale malfunzionante, senza agire, se non indirettamente, sulla sfera corporea del paziente, trattandosi di attività meramente ausiliaria che, pur se oggettivamente funzionale alla prestazione medica, non è "tipica" di essa.

Cass. pen. n. 19831/2022

Ai fini della confisca dell'immobile prevista all'art. 348, comma secondo, cod. pen. non è sufficiente che nello stesso sia esercitata l'attività illecita essendo invece necessaria la sussistenza di un nesso strumentale diretto ed esclusivo del bene con detta attività.

Cass. pen. n. 22779/2022

Il reato di esercizio abusivo della professione non ha natura di reato di evento rispetto al quale sia configurabile una posizione di garanzia del professionista abilitato (nella specie, socio e legale rappresentante di studio medico dentistico), rispetto al fatto illecito commesso da altri che egli sappia non essere munito di specifico titolo abilitativo, essendo necessario accertare, ai fini di una sua eventuale corresponsabilità, che egli abbia arrecato un contributo eziologicamente rilevante ex art. 110 cod. pen. alla condotta altrui, mediante l'offerta di un assenso anche tacito all'esecuzione di atti professionali da parte del soggetto non autorizzato.

Cass. pen. n. 46963/2021

Integra il reato di esercizio abusivo di una professione l'attività dell'avvocato, sospeso temporaneamente in via disciplinare dall'esercizio della professione forense, che abbia assistito la parte in un procedimento di conciliazione giudiziale dinanzi al giudice del lavoro.

Cass. pen. n. 28174/2021

Integra il reato di esercizio abusivo della professione medica la condotta di chi, allo scopo di eliminare inestetismi, esprima giudizi diagnostici, fornisca consigli ed apporti rimedi ricorrendo a tecniche chirurgiche o a procedure non consentite, se non ai medici, in ragione della loro invasività o rischiosità. (Fattispecie relativa ad un intervento di rimozione di un tatuaggio effettuata mediante l'utilizzo della c.d. luce pulsata da un soggetto privo del titolo di dermatologo).

Cass. pen. n. 26294/2021

Non integra il reato di esercizio abusivo della professione l'attività del socio di un centro di servizi, partecipato da associazioni di categoria, il quale curi gli adempimenti in materia lavoristica, di previdenza ed assistenza sociale per conto di piccole imprese, imprese artigiane e loro cooperative, in mancanza del titolo di consulente del lavoro e dell'iscrizione al relativo albo professionale. (In motivazione la Corte ha precisato che la deroga al regime obbligatorio dell'albo professionale è prevista dall'art.1, quarto comma, legge 2 novembre 1979, n. 12, allo scopo di alleggerire i costi di gestione di imprese dalle ridotte dimensioni socio-economiche).

Cass. pen. n. 21989/2020

In tema di esercizio abusivo della professione medica, risponde a titolo di concorso nel reato il responsabile di uno studio medico che consenta o agevoli lo svolgimento dell'attività da parte di soggetto che egli sa non essere munito di abilitazione. (In motivazione, la Corte ha precisato che il professionista abilitato non versa in posizione di garanzia rispetto al reato commesso dal soggetto non abilitato, sicché la responsabilità a titolo di concorso si fonda sulla consapevolezza dell'assenza del titolo ed il connesso assenso, anche tacito, all'esecuzione di atti professionali).

Cass. pen. n. 26113/2019

Risponde del delitto di esercizio abusivo della professione di avvocato colui che, senza essere iscritto all'albo, ponga in essere un qualunque atto idoneo ad incidere sulla progressione del procedimento o del processo penale, in rappresentanza dell'interessato, a nulla rilevando che l'atto possa essere redatto personalmente da quest'ultimo, mentre esulano dagli atti tipici della professione solo le attività di consulenza legale, che possono divenire rilevanti solo se svolte in modo continuativo. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la condanna dell'imputato per avere sottoscritto e presentato un'istanza di sostituzione di misura cautelare, in quanto attività "tipica" di assistenza legale svolta in rappresentanza degli interessati, non firmatari dell'atto, integrante il reato anche se svolta in modo isolato e non abituale).

Cass. pen. n. 33464/2018

Integra il reato di esercizio abusivo di una professione (art. 348 cod. pen.), il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché l'attività venga svolta con modalità tali, per continuatività, onerosità ed organizzazione, da creare l'oggettiva apparenza di un'attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato. (Fattispecie relativa all'abusivo esercizio della professione di commercialista, consistito nella tenuta della contabilità aziendale e nella prestazione di consulenza del lavoro).

Cass. pen. n. 29667/2018

Integra "il fumus comissi delicti", relativamente al reato di esercizio abusivo della professione medica, la condotta del fisioterapista che, in assenza di prescrizione, ponga in essere trattamenti sanitari, atteso che la laurea in fisioterapia non abilita ad alcuna attività di diagnosi consentendo al fisioterapista il solo svolgimento, anche in autonomia, di attività esecutiva della prescrizione medica.

Cass. pen. n. 39339/2017

Integra il reato di esercizio abusivo della professione di psicoterapeuta qualunque attività, svolta da un soggetto non qualificato, che, a prescindere dall'impiego di una delle metodologie proprie di tale professione, abbia come presupposto la diagnosi di disturbi psichici del paziente e come obbiettivo la loro cura.

Cass. pen. n. 32987/2017

Il reato di esercizio abusivo della professione, previsto dall'art. 348 cod. pen., tutela l'interesse generale a che determinate professioni vengano esercitate soltanto da soggetti in possesso di una speciale autorizzazione amministrativa; ne consegue che il privato danneggiato dal reato non assume la qualità di persona offesa, che spetta solo allo Stato, e non è, pertanto, legittimato a proporre opposizione alla richiesta di archiviazione.

Cass. pen. n. 20281/2017

Integra il reato di esercizio abusivo di una professione, l'attività di colui che fornisce indicazioni alimentari personalizzate, sulla base della valutazione delle caratteristiche fisiche di ogni cliente, caratterizzate da puntuali prescrizioni e previsioni, senza però appartenere alle categorie professionali che hanno specifiche competenze in tema di bisogni alimentari (medico biologo, farmacista, dietologo), trattandosi di materia che ha ricadute in termini di salute pubblica.

Cass. pen. n. 16566/2017

In tema di abusivo esercizio di una professione, l'art. 348 cod. pen. è norma penale in bianco, in quanto presuppone l'esistenza di altre norme volte a determinare le professioni per le quali è richiesta la speciale abilitazione dello Stato e l'iscrizione in un apposito albo, con la conseguenza che, saldandosi dette norme con la previsione penale, resta esclusa alcuna violazione dei principi di determinatezza e tassatività della fattispecie. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto che la prestazione, da parte di un soggetto privo di titoli abilitativi, di consulenze per problemi caratteriali e relazionali, sostenute da percorsi terapeutici, sedute, colloqui e pratiche ipnotiche, costituisse esercizio abusivo della professione di psicologo psicoterapeuta, cui gli artt. 1 e 3 l. n. 56 del 1989 espressamente riservano le attività di abilitazione e sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona).

Cass. pen. n. 14815/2017

Risponde di concorso nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 del D.L.vo n. 74/2000) il soggetto che, d'intesa con gli autori delle dichiarazioni, fornisca ai medesimi, nell'ambito dell'attività di “esperto contabile” p Bene è ritenuta la configurabilità del reato di cui all'art. 348 c.p. (abusivo esercizio di una professione) nella condotta costituita dalla somministrazione ad un cavallo, senza prescrizione del medico veterinario, da parte di soggetto privo di abilitazione professionale, di un farmaco antidolorifico, nulla rilevando in contrario che trattisi di farmaco c.d. “da banco”, acquistabile in farmacia senza necessità di ricetta medica. restata in loro favore, le fatture per operazioni inesistenti all'uopo fatte predisporre da terzi.

Dà luogo alla configurabilità del reato di esercizio abusivo di una professione (art. 348 c.p.) l'attività di “esperto contabile” svolta da soggetto che non sia iscritto nell'apposita sezione B dell'Albo unificato dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, istituito con il D.L.vo 28 giugno 2005 n. 139, sempre che tale condotta sia posta in essere successivamente all'entrata in vigore di detta norma.

Cass. pen. n. 52888/2016

Costituisce esercizio abusivo della professione legale lo svolgimento dell'attività riservata al professionista iscritto nell'albo degli avvocati, anche nel caso in cui l'agente, come nel caso in esame, abbia adottato lo stratagemma di far firmare l'atto tipico, da lui predisposto, da un legale abilitato.

Cass. pen. n. 23843/2013

Integra il reato di esercizio abusivo della professione lo svolgimento, da parte del sociologo clinico, di atti di competenza dello psichiatra, dello psicologo o dello psicoterapeuta con modalità tali, per continuità, onerosità ed organizzazione, da creare l'oggettiva apparenza di un'attività professionale posta in essere da persona con competenze specifiche e regolarmente abilitata. (Fattispecie in cui l'imputato aveva compiuto interventi diagnostici e trattamenti terapeutici relativi a balbuzie e depressione).

Cass. pen. n. 9725/2013

Integra il reato di esercizio abusivo della professione l'attività di colui che curi la gestione dei servizi e degli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale (nella specie, occupandosi in particolare della compilazione della busta paga per conto di numerose aziende) in mancanza del titolo di consulente del lavoro e dell'iscrizione al relativo albo professionale, a nulla rilevando la sua qualità di socio di una società partecipata da un'associazione di categoria, che può eccezionalmente provvedere a tali compiti solo mediante suoi dipendenti, a norma dell'art. 1, comma quarto, legge 2 novembre 1979, n. 12 senza possibilità di delega a terzi.

Cass. pen. n. 11545/2012

Integra il reato di esercizio abusivo di una professione (art. 348 c.p.), il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un'attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato. (Fattispecie relativa all'abusivo esercizio della professione di commercialista).

Le condotte di tenuta della contabilità aziendale, redazione delle dichiarazioni fiscali ed effettuazione dei relativi pagamenti, non integrano il reato di esercizio abusivo delle professioni di dottore commercialista o di ragioniere e perito commerciale - quali disciplinate, rispettivamente, dai D.P.R. nn. 1067 e 1068 del 1953 - anche se svolte da chi non sia iscritto ai relativi albi professionali, in modo continuativo, organizzato e retribuito, tale da creare, in assenza di indicazioni diverse, le apparenze di una tale iscrizione. (In motivazione la Corte ha tuttavia precisato che ad opposta conclusione, in riferimento alla professione di esperto contabile, deve invece pervenirsi se le condotte in questione siano poste in essere, con le caratteristiche suddette, nel vigore del nuovo D.L.vo 28 giugno 2005, n. 139).

Cass. pen. n. 43328/2011

L'esercizio abusivo della professione è un reato solo eventualmente abituale, in quanto lo stesso può essere integrato dal compimento anche di un solo atto tipico o proprio della professione. Ne consegue che per tale tipo di reati - i quali, per la loro stessa configurazione giuridica, postulano una ripetizione di condotte analoghe, distinte tra loro, ma sorrette da un unico elemento soggettivo ed unitariamente lesive del bene giuridico tutelato - è possibile operare una scissione della condotta del soggetto in singoli episodi delittuosi, i quali ben possono rientrare fra i reati scopo di un'associazione per delinquere.

Cass. pen. n. 27440/2011

Integra il delitto di esercizio abusivo della professione di avvocato la condotta di chi, conseguita l'abilitazione statale, provveda all'autenticazione della sottoscrizione del mandato difensivo prima di aver ottenuto l'iscrizione all'albo professionale.

Cass. pen. n. 14408/2011

Integra il reato di esercizio abusivo della professione lo svolgimento, senza la necessaria abilitazione, dell'attività di psicanalista.

Cass. pen. n. 13315/2011

Integra i reati di falsità ideologica in certificazioni amministrative (art. 480 c.p.) e di abusivo esercizio della professione medica la condotta consistente nell'operazione di integrale riempimento, da parte del titolare di una farmacia, dei dati relativi a ricettari di prescrizioni mediche intestati ad un medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale, e da quest'ultimo già sottoscritti e timbrati in ogni foglio lasciato in bianco. (Fattispecie in cui i farmacisti, sostituendosi sistematicamente al medico di base, da cui avevano ricevuto in consegna dei moduli regionali già firmati, avevano essi stessi prescritto ai pazienti la relativa terapia farmacologica).

Cass. pen. n. 10100/2011

Integra il delitto di abusivo esercizio della professione di dottore commercialista la condotta del consulente del lavoro che presti attività di assistenza fiscale e contabile in favore di imprese e lavoratori autonomi.

Cass. pen. n. 24622/2010

Non integra il delitto di abusivo esercizio di una professione - a seguito delle modifiche normative apportate dal D.L.vo 8 luglio 2003, n. 277 (relativo all'attuazione della Direttiva 2001/19/CE) alla legge n. 409/1985 (istitutiva della professione sanitaria di odontoiatria) - il fatto del laureato in medicina e chirurgia che, avendo iniziato la propria formazione universitaria in medicina nel periodo di tempo ricompreso tra la data del 28 gennaio 1980 e quella del 31 dicembre 1984, risulti in possesso dell'abilitazione all'esercizio professionale e sia iscritto all'albo degli odontoiatri per esercitare tale attività, previo superamento della prova attitudinale di cui al D.L.vo 13 ottobre 1998, n. 386.

Cass. pen. n. 29435/2009

Commette reato l'avvocato che, non più iscritto all'albo, esercita in aula attività strumentali e manovali, sostituendo de facto il difensore originariamente nominato dal cliente. (mass. redaz.)

Cass. pen. n. 17893/2009

Risponde, a titolo di concorso,del delitto di esercizio abusivo di una professione, chiunque consenta o agevoli lo svolgimento da parte di persona non autorizzata di un'attività professionale, per la quale sia richiesta una speciale abilitazione dello Stato. (La Corte ha anche escluso che, nel caso di specie, la mancata specificazione, nel capo di imputazione, della condotta criminosa in concorso avesse leso l'esercizio del diritto di difesa, posto che all'imputata era stato comunque contestato di aver mantenuto in servizio con le mansioni di infermiera una persona priva di idoneo titolo abilitativo, fattispecie che in nulla differisce dall'ipotesi di concorso nel reato).

Cass. pen. n. 11004/2009

Non integra il delitto di esercizio abusivo di una professione di cui all'art. 348 c.p. la condotta del medico che, senza essere in possesso del requisito della specializzazione in anestesia e rianimazione, effettui nel proprio ambulatorio interventi di chirurgia plastica in anestesia locale, dovendosi distinguere al riguardo gli interventi chirurgici in anestesia generale, che per la loro natura e complessità possono essere effettuati solo in regime ospedaliero, da quelli a ridotta o a bassa invasività, praticabili senza ricovero in anestesia locale o in sedo-analgesia, presso studi medici o ambulatori privati.

Cass. pen. n. 46067/2007

Integra il reato di esercizio abusivo della professione di cui all'art. 348 c.p. lo svolgimento delle attività di psicologo e di psicoterapeuta in assenza del riconoscimento dei titoli conseguiti in altri Paesi membri dell'Unione europea e della conseguente iscrizione nei relativi albi professionali. (Fattispecie in cui non era stata ancora completata la necessaria procedura di riconoscimento dei titoli professionali conseguiti in un altro Paese membro dell'Unione europea).

Cass. pen. n. 42790/2007

Per integrare il reato di esercizio abusivo della professione, è sufficiente il compimento anche di un solo atto tipico o proprio della professione. (In applicazione di tale principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza con la quale — in considerazione della episodicità della condotta contestata — era stato assolto l'imputato per esercizio arbitrario della professione di ragioniere, sul rilevo che il giudice di merito non aveva verificato la natura della prestazione effettuata dall'imputato e la sua eventuale inquadrabilità tra gli atti «propri» della suddetta professione).

Cass. pen. n. 34200/2007

Integra il reato di abusivo esercizio della professione medica lo svolgimento dell'attività di diagnosi e cura di patologie per mezzo di prodotti omeopatici in assenza della prescritta abilitazione dello Stato, dell'iscrizione all'albo professionale, e, prima ancora, del conseguimento del titolo accademico della laurea in medicina.

Cass. pen. n. 28642/2007

Integra il reato di esercizio abusivo della professione medica l'espletamento, da parte di tecnico di settore addetto alla camera mortuaria, di operazioni di dissezione senza la presenza del sanitario.

Cass. pen. n. 20439/2007

È configurabile il delitto di esercizio abusivo della professione anche nell'ipotesi in cui l'agente, iscritto nel relativo albo, abbia compiuto attività professionale in costanza di sottoposizione a provvedimento di sospensione adottato dai competenti organi amministrativi. (Fattispecie in tema di esercizio della professione forense).

Cass. pen. n. 17203/2007

In tema di esercizio abusivo della professione, la circostanza che il bene tutelato sia rappresentato dall'interesse generale a che determinate professioni vengano esercitate soltanto da soggetti in possesso di una speciale autorizzazione amministrativa non esclude che possano assumere la veste di danneggiati dal reato quei soggetti che, in via mediata e di riflesso, abbiano subito un pregiudizio dal reato, ma non consente di riconoscere in capo ad essi la qualità di persone offese, che spetta solo allo Stato; ne consegue che il privato danneggiato dal reato non è legittimato a proporre opposizione alla richiesta di archiviazione.

Cass. pen. n. 16527/2007

Solo ai medici abilitati e agli igienisti dentali sono riservate le operazioni di detartrasi, con la conseguenza che commette il reato di cui all'art. 348 c.p. l'assistente di poltrona di uno studio dentistico che esegua tali attività.

Cass. pen. n. 6887/2007

Integra il reato di esercizio abusivo della professione di consulente del lavoro, riservata dalla legge 2 novembre 1979, n. 12 agli iscritti nell'apposito albo, l'attività di colui che non munito di abilitazione professionale provvede, con autonomia decisionale, alla compilazione dei modelli 10 per l'Inps e alla gestione dei rapporti lavorativi — quali l'assunzione e il licenziamento — con i dipendenti di una ditta.

Cass. pen. n. 3627/2007

Il reato di esercizio abusivo della professione è posto a tutela dell'esercizio delle cosiddette professioni protette, per le quali è necessaria una speciale abilitazione dello Stato e l'iscrizione in uno specifico albo, sicché non integra la fattispecie criminosa l'erogazione, ad opera di una società, del servizio di televideo-conferenza per l'attività didattica di formazione « a distanza» da parte di un istituto universitario, autorizzato al rilascio dei titoli di laurea e all'individuazione, sul territorio nazionale, dei poli di ascolto periferici in televideo-conferenza.

Cass. pen. n. 26829/2006

Ai fini dell'integrazione del reato di esercizio abusivo della professione, il compimento di atti strumentalmente connessi agli atti tipici della professione non assume rilievo in assenza dei caratteri della continuità e della professionalità. (Fattispecie in cui l'imputato, dopo aver somministrato ai pazienti un medicinale, attività questa che per la qualità del farmaco e le modalità di somministrazione non necessitava di particolari abilità infermieristiche, aveva apposto la prescritta annotazione sui registri di scarico dei medicinali istituiti presso la struttura sanitaria).

Cass. pen. n. 26817/2006

Non è legittimato all'esercizio della professione di consulente del lavoro chi sia abilitato per la diversa professione di revisore contabile, giacché tra tali attività professionali esiste una obiettiva diversità di competenze in quanto l'art. 1 della legge 11 gennaio 1979 n. 12, disciplinante la professione di consulente del lavoro, estende esclusivamente alle categorie degli avvocati, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali la competenza ad occuparsi degli adempimenti in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale dei lavoratori dipendenti, peraltro a condizione che i soggetti appartenenti a tali ulteriori figure professionali diano previa comunicazione agli ispettorati del lavoro territoriali della loro intenzione di svolgere gli adempimenti in questione.

Cass. pen. n. 22274/2006

Integra il reato di esercizio abusivo della professione (art. 348 c.p.) la condotta di colui che, nell'ambito di un'attività di ricerca e selezione del personale — previo incarico ricevuto dalla Regione sulla base di titoli di studio e professionali (nella specie laurea in medicina e chirurgia e titoli professionali specificamente riferiti alla qualifica di psicologo) rivelatisi falsi — svolga concretamente attività di valutazione del potenziale dei candidati, utilizzando, nella stesura di profili psicologici individuali, strumenti di indagine della psiche riservati alla professione di psicologo (art. 1 della legge n. 56 del 1989).

Cass. pen. n. 3087/2006

Tra il reato di commercio di sostanze dopanti attraverso canali diversi da farmacie e dispensari autorizzati, punito dall'art. 9, comma settimo, L. 14 dicembre 2000 n. 376 (disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping) e quelli di cui agli art. 348 c.p.(esercizio abusivo della professione di farmacista) e 445 c.p. (somministrazione di medicinali in totale difformità dalle indicazioni terapeutiche previste ed autorizzate) sussiste un rapporto di specialità, atteso che colui che, senza essere in possesso della prescritta abilitazione professionale, commercia farmaci e sostanze dopanti esercita abusivamente, attraverso la medesima condotta, la professione di farmacista, e, qualora le sostanze medicinali vengano commerciate in specie, qualità o quantità non corrispondenti alle ordinazioni mediche, pone in essere il medesimo comportamento sanzionato dal citato art. 445 c.p.

Cass. pen. n. 33706/2005

La disposizione di cui all'art. 1, comma secondo lett. a), del Trattato tra l'Italia e gli Stati Uniti d'America firmato il 2 febbraio 1948 (che consente ai cittadini dei due Stati di svolgere attività professionali nei territori delle Parti contraenti) assicura parità di trattamento nell'esercizio di detta attività anche allo straniero, ma non attribuisce automaticamente efficacia ai titoli di studio conseguiti nei Paese di origine e pertanto non abilita (nella specie: il cittadino statunitense laureato negli USA in science of denturity) alla professione di odontoiatra sul territorio italiano, in mancanza del titolo richiesto dalla legge nazionale.

Cass. pen. n. 16626/2005

La prescrizione di farmaci integra il delitto di esercizio abusivo di una professione, ancorché si tratti di prodotti liberamente venduti in farmacia, quando effettuata in un contesto complessivamente idoneo ad accreditare una qualificazione professionale medica in realtà non conseguita, posto che le circostanze della prescrizione possono influire sulle modalità e la durata dell'assunzione del medicinale, e sulla valutazione dei relativi risultati da parte dell'interessato. (Fattispecie nella quale, qualificandosi «dottore» esperto «naturopata» ed «iridologo» l'imputato aveva rilasciato ricette su carta intestata, con riguardo a farmaci che non richiedevano prescrizione medica).

Cass. pen. n. 4452/2005

Non sussiste il reato di abusivo esercizio di una professione (art. 348 c.p.) nel fatto di chi assista taluno avanti al giudice di pace per una causa civile di valore inferiore al milione di lire, posto che in tali procedimenti, ove non ritengano di agire personalmente (in applicazione del comma primo dell'art. 82 c.p.c.), le parti possono farsi rappresentare da altra persona alla sola condizione del conferimento di un mandato scritto in calce alla citazione o in atto separato (art. 317, comma primo, stesso codice), senza necessità che il mandatario sia abilitato all'esercizio della professione forense. (Fattispecie relativa ad assistenza prestata da avvocato la cui abilitazione era stata revocata dal competente Consiglio dell'Ordine).

Cass. pen. n. 3996/2005

In tema di esercizio arbitrario di una professione, benché il bene tutelato dall'art. 348 c.p. sia costituito dall'interesse generale a che determinate professioni, richiedenti, tra l'altro, particolari competenze tecniche, vengano esercitate soltanto da soggetti che abbiano conseguito una speciale abilitazione amministrativa, e debba quindi ritenersi che l'eventuale lesione del bene anzidetto riguardi in via diretta ed immediata la P.A., ciò non toglie che possano assumere veste di danneggiati quei soggetti che, in via mediata e di riflesso, abbiano subito un pregiudizio dalla violazione della norma penale in questione. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha censurato la decisione del giudice di merito che — improcedibile essendo risultato, per difetto di tempestiva querela, il reato di lesioni colpose — aveva escluso che dalla sola violazione dell'art. 348 c.p. potesse ritenersi derivato un danno di cui la costituita parte civile avesse titolo ad essere risarcita).

Cass. pen. n. 37120/2004

Commette il delitto di esercizio abusivo della professione medica, a mente dell'art. 348 c.p., l'odontotecnico il quale provveda direttamente alla installazione di una protesi dentaria (limando monconi, fissando viti ai perni, rilevando impronte ed infine fissando detta protesi), posto che per tale figura professionale è preclusa qualunque manovra presso il cavo orale di un paziente, ed è solo consentita la realizzazione di protesi modellate su impronte rilevate da un medico o da un odontoiatra abilitato (art. 11 R.D. 31 maggio 1928, n. 1334).

Cass. pen. n. 31432/2004

È punibile ai sensi dell'art. 348 c.p. colui che eserciti la professione di consulente del lavoro senza essere iscritto ad alcuno degli albi professionali elencati nell'art. 1 della legge n. 12 del 1979. (La Corte ha, altresì, osservato che il delitto non si configura allorché il professionista, iscritto negli albi degli avvocati, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali, assuma o svolga adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti, senza avere previamente dato la prescritta comunicazione agli ispettori del lavoro delle province nel cui ambito territoriale intende svolgere tali adempimenti, atteso che l'omissione di tale comunicazione non rileva ai fini della integrazione della fattispecie penale, ma unicamente ai fini amministrativi e disciplinari).

Cass. pen. n. 19658/2004

Commette il reato di esercizio abusivo di una professione (nella specie, quella di procuratore legale) colui il quale, pur avendo superato l'esame di Stato necessario a conseguire la relativa abilitazione, non sia (o non sia più) iscritto al relativo albo professionale. Tale disciplina non contrasta con il comma quinto dell'art. 33 della Costituzione, nella parte in cui prescrive un esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale, in quanto la norma non vieta al legislatore la previsione di condizioni aggiuntive per detto esercizio.

Cass. pen. n. 17702/2004

Costituisce esercizio abusivo di una professione la commissione da parte di soggetto non in possesso dei requisiti professionali dell'attività riservata in via esclusiva a soggetti ai quali la legge ha riconosciuto la possibilità di svolgerla per le particolari competenze professionali possedute. Spesso l'attività professionale tipica è preceduta, accompagnata o seguita da atti necessari od utili, ma non tipici, pertanto spetta al giudice valutare se tali atti siano comunque espressione della competenza e del patrimonio di conoscenze che il legislatore ha inteso tutelare attraverso l'individuazione della professione protetta. Così l'attività di dialogo con i propri clienti, volta a chiarire gli eventuali disturbi di natura psicologica ed anche a fornire consigli, svolta da un mero pranoterapeuta, prima della fase della “seduta” relativa alla pranoterapia, costituisce un'attività di diagnosi e di terapia che, nonostante la genericità delle indicazioni contenute nella legge professionale 18 febbraio 1989, n. 56, è certamente intimamente connessa alla professione di psicologo, costituendo espressione della specifica competenza e del patrimonio di conoscenze della psicologia, e comunque può agevolmente essere ricompresa tra le attività della professione medica, soprattutto quando sia diretta alla guarigione di vere e proprie malattie (nel caso di specie: anoressia).

Cass. pen. n. 49116/2003

In tema di reato di abusivo esercizio di una professione, di cui all'art. 348 c.p., l'iscrizione all'albo dei medici abilita il medico chirurgo allo svolgimento non solo delle attività professionali sanitarie principali, ma anche di quelle ausiliarie per le quali non è richiesto dalla legge il possesso di un apposito diploma o specializzazione (come ad. es. per l'odontoiatria, il radiologo o l'anestesista). Ne consegue che non incorre nel reato di cui all'art. 348 c.p. il medico chirurgo, abilitato all'esercizio della professione, che svolga attività, esclusiva o connessa, di fisioterapista.

Cass. pen. n. 35101/2003

Non è configurabile il reato di abusivo esercizio della professione medica nella condotta dell'optometrista che abbia effettuato una correzione prismatica, in quanto si tratta di un'attività consistente nella semplice misurazione della potenza visiva con prescrizione di lenti correttive, che non implica necessariamente una diagnosi medico-oculistica diretta ad individuare malattie o imperfezioni dell'occhio per fini terapeutici (nel caso di specie, la Corte ha annullato l'ordinanza con cui il tribunale del riesame aveva confermato il sequestro probatorio di documentazione da cui risultava l'effettuazione di correzioni prismatiche da parte dell'indagato).

Cass. pen. n. 33095/2003

La presenza di un'istanza al pubblico ministero volta a sollecitare detto ufficio a richiedere l'archiviazione nell'interesse di un imputato, costituisce esercizio della professione forense e pertanto qualora tale azione venga compiuta da parte di un avvocato sospeso dall'esercizio della professione forense con atto amministrativo adottato dal Consiglio dell'Ordine configura il reato di esercizio abusivo della professione.

Cass. pen. n. 30590/2003

È configurabile il reato di esercizio abusivo della professione previsto dall'art. 348 c.p., nel caso di attività chiropratica che implichi il compimento di operazioni riservate alla professione medica, quali l'individuazione e diagnosi delle malattie, la prescrizione delle cure e la somministrazione dei rimedi, anche se diversi da quelli ordinariamente praticati (nel caso di specie, la Corte ha annullato la sentenza impugnata che aveva ritenuto non sussistente il reato di esercizio abusivo della professione medica contestato a due esercenti la chiropratica, che avevano visitato pazienti, predisposto anamnesi, formulato diagnosi mediche, suggerito esami clinici e radiologici, prescritto cure mediche e trattamenti terapeutici, operato direttamente sui pazienti con manipolazioni, senza la preventiva prescrizione del medico).

Cass. pen. n. 22528/2003

Per l'esercizio dell'agopuntura è richiesta l'abilitazione all'esercizio della professione medica: colui che la pratichi, essendone sprovvisto, commette il reato di cui all'art. 348 c.p. Infatti, l'agopuntura è una pratica terapeutica «non convenzionale» che richiede la specifica conoscenza della scienza medica, in quanto la stessa viene ad esplicarsi mediante atti propri della professione medica, oltre che per l'attività di diagnosi e di scelta terapeutica della malattia da curare, anche per i suoi intrinseci metodi applicativi che possono definirsi clinici (nell'affermare tale principio la Corte ha altresì precisato che la L.R. Piemonte 24 ottobre 2002 n. 25, recante la «Regolamentazione delle pratiche terapeutiche e delle discipline non convenzionali», non ha legittimato gli operatori non medici in possesso di un'apposita abilitazione, diversa da quella prescritta per l'esercizio della professione medica, alla pratica dell'agopuntura, laddove la stessa non si limiti alla mera esecuzione dei rimedi terapeutici, ma comporti diagnosi e scelte terapeutiche).

Cass. pen. n. 21424/2003

Concorre nel reato di abusivo esercizio di una professione, previsto dall'art. 348 c.p., il geometra che si sia limitato a sottoscrivere un progetto edilizio interamente elaborato da soggetto privo di abilitazione, rendendo in questo modo possibile o più agevole la commissione del reato (fattispecie in cui l'imputato aveva sottoscritto una serie di progetti elaborati dal tecnico del comune, a cui tale attività era preclusa a causa del rapporto di dipendenza con l'ente territoriale).

Cass. pen. n. 18358/2003

Non commette il delitto di abusivo esercizio della professione di farmacista, punito dall'art. 348 c.p., l'erborista che si limiti alla coltivazione e raccolta di piante officinali, nonché alla loro preparazione industriale e commercializzazione, senza che nel corso della sua attività attribuisca ai prodotti posti in vendita funzioni di medicamento.

Cass. pen. n. 17921/2003

Non commette il reato di abusivo esercizio della professione di avvocato (art. 348 c.p.) il soggetto che rediga una relazione di consulenza, su carta intestata “Studio legale internazionale”, in ordine ad un procedimento penale, in quanto la consulenza non rientra tra gli atti tipici per i quali occorre una speciale abilitazione, ma è un'attività “relativamente libera”, solo strumentalmente connessa con la professione forense.

Cass. pen. n. 1751/2003

In tema di successione di norme penali nel tempo, qualora trattisi di norme penali «in bianco» (fra le quali rientra l'art. 348 c.p., che punisce l'esercizio abusivo di professioni richiedenti una speciale abilitazione dello Stato), la disciplina dettata dall'art. 2 c.p. può venire in considerazione solo in presenza di una modifica della norma richiamata da quella incriminatrice che incida sulla struttura di quest'ultima o, quanto meno, sul disvalore in essa espresso, come si verifica, in particolare, allorché è la stessa norma di riferimento a individuare la fattispecie penale, di tal che la sua abrogazione si traduce in una vera e propria abolitio criminis. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto che, avuto riguardo alla sopravvenuta disciplina dettata dall'art. 7 della legge n. 479/1999, in base alla quale i praticanti avvocati che abbiano conseguito la necessaria abilitazione possono svolgere attività difensiva davanti al tribunale in composizione monocratica, non potesse più essere qualificata come reato, ex art. 348 c.p., la condotta di un soggetto che, prima dell'entrata in vigore di detta legge, essendo abilitato solo al patrocinio davanti alla pretura, aveva svolto attività defensionale davanti ad un tribunale).

Cass. pen. n. 49/2003

Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 348 c.p. (abusivo esercizio di una professione), sono atti rilevanti non solo quelli riservati, in via esclusiva, a soggetti dotati di speciale abilitazione, c.d. atti tipici della professione, ma anche quelli c.d. caratteristici, strumentalmente connessi ai primi, a condizione che vengano compiuti in modo continuativo e professionale, in quanto, anche in questa seconda ipotesi, si ha esercizio della professione per il quale è richiesta l'iscrizione nel relativo albo. Ne consegue che le attività contenute nella seconda parte della previsione di cui all'art. 1 del D.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068 (che disciplina l'ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciale) che sono tipiche, e cioè riservate solo ai ragionieri e periti commerciali, non sono le sole rilevanti ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 348 c.p., in quanto esse comprendono anche quelle «relativamente libere», previste nella parte prima del succitato art. 1 D.P.R. n. 1068 del 1953, le quali integrano, comunque, l'esercizio della professione se poste in essere in modo continuativo, sistematico, organizzato e presentate all'esterno come provenienti da professionista, qualificato tecnicamente e moralmente, e richiedono pertanto l'iscrizione nell'albo professionale.

Cass. pen. n. 41142/2001

La condotta del delitto di cui all'art. 348 c.p. è integrata dal compimento di atti di esercizio di una professione per la quale sia richiesta una speciale abilitazione da parte dello Stato, insuscettibili di estensione in via analogica e riservati ad essa in via esclusiva, sulla base di un apposito provvedimento normativo che, per la professione esercitata dai dottori commercialisti e ragionieri, è costituito dall'art. 1 del D.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067. (In applicazione di tale principio la Corte di cassazione ha ritenuto estranee al contenuto tipico della professione di commercialista la compilazione delle dichiarazioni di imposta e le attività rimesse agli amministratori di società commerciali, come la redazione dei bilanci).

La condotta esecutiva del delitto di abusivo esercizio di una professione (art. 348 c.p.) è integrata dal compimento di atti, riservati ad una professione, anche da parte di colui che sia stato il destinatario di un provvedimento di cancellazione dall'albo adottato dagli organi competenti dell'organizzazione professionale, atteso che l'attualità dell'iscrizione attesta - nell'interesse generale - il possesso dei requisiti di probità e competenza tecnica necessari per l'esercizio della professione.

Cass. pen. n. 39087/2001

Non integra il reato di esercizio abusivo della professione di biologo la condotta di chi, avendo messo a disposizione del pubblico un apparecchio per autodiagnosi, esegua in luogo dell'interessato quelle operazioni materiali necessarie per il funzionamento dello strumento, in quanto in ogni caso l'acquisizione e la valutazione dei dati e la conseguente formulazione della diagnosi avvengono attraverso procedure informatiche che prescindono da qualsiasi intervento umano. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto che non commette il reato di cui all'art. 348 c.p. l'addetto alla farmacia che, assistendo un cliente, compie gli atti materiali di prelievo di una goccia di sangue, confezionamento del «vetrino» ed inserimento nella macchina per l'esame dell'ematocrito, glicemia, colesterolemia e trigliceridi).

Cass. pen. n. 27853/2001

L'attività di optometrista, non specificamente regolata dalla legge (a differenza di quella dell'ottico) e consistente essenzialmente nella misurazione della vista, anche attraverso strumenti più o meno sofisticati, e nella scelta, caso per caso, delle lenti necessarie per la correzione del singolo difetto riscontrato, può costituire esercizio abusivo della professione medica, penalmente sanzionabile ai sensi dell'art. 348 c.p., solo quando l'optometrista compia valutazioni di carattere diagnostico, rilasci ricette, compia sull'occhio interventi di qualsiasi tipo, intervenga in caso di vere e proprie malattie oculari (e non di semplici disfunzioni della vista), e comunque in situazione e con modalità tali che possano compromettere lo stato di salute del cliente. Deve quindi ritenersi che l'optometrista possa, oltre ad effettuare la misurazione della vista, anche apprestare, confezionare e vendere, senza preventiva ricetta medica, occhiali e lenti correttive non solo per i casi di miopia e presbiopia (come consentito anche all'ottico, in virtù dell'art. 12 del R.D. 31 maggio 1928, n. 1334), ma anche per i casi di astigmatismo, ipermetropia ed afachia.

Cass. pen. n. 13124/2001

Non integra l'elemento oggettivo del reato di esercizio abusivo di una professione (art. 348 c.p.), la compilazione delle denunce dei redditi e dell'Iva, atteso che queste attività non rientrano tra quelle riservate ai dottori commercialisti, e ai ragionieri, ai sensi dell'art. 1, lett. a), legge 28 dicembre 1952, n. 3060 e dell'art. 1 D.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067, dovendo considerarsi vietate solo quelle che, in deroga al principio costituzionale della libera esplicazione del lavoro, sono riservate — da un'apposita norma — alla professione considerata.

Cass. pen. n. 13273/2000

Risponde del reato di cui all'art. 348 c.p. il praticante procuratore che compia atti tipici della professione legale ordinaria (nella specie: sottoscrizione della procura a margine della comparsa di costituzione per una citazione in tribunale), atteso che egli è agente e facultato solo in ambito ristretto e temporaneo all'esercizio della professione forense, laddove per contro lo svolgimento pieno dell'attività di patrocinio legale presuppone un'abilitazione che non è mera estensione operativa della facoltà in parola.

Cass. pen. n. 12890/2000

In tema di esercizio abusivo di una professione difetta l'elemento oggettivo del reato quando l'attività posta in essere dall'agente non abbia assunto rilevanza esterna e non sia caratterizzata dalla tipicità degli atti compiuti, riferibile all'attività professionale per la quale è richiesta una speciale abilitazione. (Fattispecie relativa a svolgimento di mansioni tecnico-burocratiche nell'istruttoria di pratiche di condono edilizio a supporto dell'ufficio comunale).

Non dà luogo alla configurabilità del reato di cui all'art. 348 c.p. (abusivo esercizio di una professione), il fatto di taluno il quale, pur non essendo iscritto all'albo professionale dei geometri, abbia svolto, su incarico di un comune, attività di mera istruttoria delle pratiche di condono edilizio quale, nella specie, è stata ritenuta quella consistente nell'effettuare “l'esame della documentazione allegata a corredo delle singole domande, la verifica della rispondenza anche tecnica delle richieste ai presupposti di legge, il controllo della conformità ai conteggi eseguiti dai richiedenti, la verifica della sanabilità dell'opera con riguardo all'eventuale sussistenza di vincoli di ogni natura, la predisposizione dell'atto di concessione in sanatoria ed il calcolo dei relativi oneri.

Cass. pen. n. 11287/2000

In materia di costruzioni edilizie, i geometri non possono progettare o dirigere costruzioni in cemento armato di tipo civile, neppure di modesta entità, sicché è loro consentito progettare o dirigere costruzioni in cemento armato solo se sono costruzioni accessorie di tipo rurale e che non presentano particolari complessità.

Cass. pen. n. 11078/2000

Nell'ipotesi di procedimento penale per il delitto di esercizio abusivo della professione, gli ordini professionali non sono legittimati a costituirsi parte civile all'unico fine di tutelare gli interessi morali dalla categoria quando all'ordine stesso non sia derivato un danno. (Nella fattispecie, relativa ad eccezione di incompatibilità del difensore di ufficio al contempo anche persona offesa in quanto iscritto all'ordine professionale asseritamente leso dal reato sotto il profilo morale, la Corte, affermando il principio, ha di conseguenza ritenuto la insussistenza della predetta incompatibilità, atteso che il singolo professionista non ha alcuna legittimazione a partecipare al giudizio nella qualità di persona offesa).

Cass. pen. n. 10816/2000

Ai fini della configurabilità del reato di esercizio abusivo di una professione, non rileva — considerata l'indisponibilità dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice — l'assenza di scopo di lucro nell'autore o il movente di carattere meramente privato, e neppure il consenso alla prestazione manifestato dal destinatario, essendo sufficiente la consapevolezza della mancanza del titolo abilitativo. (Nella fattispecie: procuratore legale).

Cass. pen. n. 904/2000

Non dà luogo alla configurabilità del reato di cui all'art. 348 c.p. la condotta di chi, senza essere iscritto all'albo dei dottori commercialisti o a quello dei ragionieri e periti commerciali, provveda alla redazione di bilanci di società commerciali, atteso che le norme civilistiche attribuiscono tale incombenza agli amministratori, senza in alcun modo prevedere che costoro, per esercitare la loro funzione, debbano essere iscritti in taluno dei suddetti albi professionali.

Cass. pen. n. 715/2000

Commette i reati di esercizio abusivo di una professione (art. 348 c.p.) e di usurpazione di titoli o di onori (art. 498 c.p.) il soggetto che si arroghi il titolo di avvocato e apra in Italia uno studio legale, ancorché abilitato in Francia a esercitare la professione di «Avocat», se non abbia ottemperato alle condizioni normative previste dall'art. 2 della L. 9 febbraio 1982, n. 31 (che, peraltro, gli consentirebbero di esercitare la professione in Italia con carattere di temporaneità e con espresso divieto di stabilire nel territorio della Repubblica uno «studio») o se non abbia seguito il procedimento di cui al D.L.vo 27 gennaio 1992, n. 115 per il riconoscimento del titolo in Italia.

Cass. pen. n. 6841/1999

Risponde del reato di cui all'art. 348 c.p. il geometra non abilitato all'esercizio della professione il quale abbia abusivamente redatto degli elaborati tecnici richiedenti la detta abilitazione, pur quando tali elaborati siano stati poi fatti sottoscrivere, prima della presentazione, a professionisti abilitati.

Cass. pen. n. 795/1999

Nel procedimento penale relativo al reato di esercizio abusivo di una professione, di cui all'art. 348 c.p., la costituzione di parte civile dell'associazione professionale (nella specie, l'Associazione nazionale medici dentisti — ANDI —) mira a tutelare l'interesse all'esercizio esclusivo della professione in una determinata area da parte dei soggetti abilitati. Ne deriva che al danno consistente nell'offesa all'interesse circostanziato riferibile alla associazione si aggiunge anche quello patrimoniale, derivante dal reato, a causa della concorrenza sleale subita in un determinato contesto territoriale dai professionisti iscritti.

Cass. pen. n. 4545/1998

L'esercizio della professione è abusivo non solo quando l'agente sia sfornito del titolo, ma anche quando non abbia adempiuto alle prescritte formalità, tra le quali figura la mancata iscrizione all'Albo professionale. (Fattispecie relativa alla mancata iscrizione all'Albo degli odontoiatri, pur in presenza dell'abilitazione professionale).

Cass. pen. n. 5672/1997

In tema di abusivo esercizio di una professione, l'art. 7 della L. 24 luglio 1985, n. 409, istitutiva della professione sanitaria di odontoiatria, prevede, in attuazione del diritto di stabilimento di cui all'art. 52 del Trattato CEE, e in conformità alla direttiva del Consiglio CEE 25 luglio 1978, n. 686, che ai cittadini degli stati membri delle comunità europee che esercitano una attività professionale nel campo della odontoiatria e che sono in possesso dei prescritti diplomi, è riconosciuto il titolo di odontoiatra, o di odontoiatra specialista, ed è consentito l'esercizio della relativa attività. Tuttavia, per potere esercitare legalmente la predetta professione, è necessario, in base all'art. 8 della predetta legge, che l'interessato presenti domanda corredata al Ministero della Sanità, che deve accertare la regolarità della domanda e della documentazione e provvedere alla trasmissione della stessa all'ordine professionale competente per la iscrizione. In mancanza di detto formale riconoscimento, l'attività professionale deve ritenersi essere esercitata abusivamente. (Nella specie, è stata ritenuta corretta l'affermazione della responsabilità penale per il reato di cui all'art. 348 c.p. dell'imputato che, in possesso di diplomi rilasciati da un paese membro della Unione Europea, aveva esercitato l'attività odontoiatrica senza avere previamente avanzato domanda di riconoscimento e di iscrizione al relativo albo professionale italiano).

Cass. pen. n. 1632/1997

L'art. 348 c.p., che punisce il reato di abusivo esercizio di una professione, ha natura di norma penale in bianco, in quanto presuppone l'esistenza di altre disposizioni, integrative del precetto penale, che definiscono l'area oltre la quale non è consentito l'esercizio di determinate professioni. L'errore su tali norme, costituendo errore parificabile a quello ricadente sulla norma penale, non ha valore scriminante in base all'art. 47 c.p. (Fattispecie riguardante la normativa disciplinante l'attività sanitaria, in ordine alla quale si assumeva da parte della difesa che l'imputato, biologo accusato del predetto reato per avere praticato un prelievo di sangue venoso a fini di analisi, fosse incorso in errore).

Cass. pen. n. 2076/1996

L'attività di tatuaggio non è allo stato disciplinata da alcuna norma specifica né la stessa è riconducibile alle attività proprie della professione sanitaria: pertanto con riguardo alla medesima non è configurabile il reato di abusivo esercizio di una professione previsto dall'art. 348 c.p.

Cass. pen. n. 1147/1996

Risponde del reato di esercizio abusivo della professione il geometra che procede alla progettazione e alla direzione dei lavori di un edificio con strutture di cemento armato che non sia di modeste dimensioni anche se il progetto è controfirmato o vistato da un professionista abilitato o se i calcoli del cemento armato sono stati fatti eseguire da un ingegnere. Al fine di valutare l'entità dell'opera il giudice dovrà tenere conto sia delle dimensioni che della complessità oltre che dell'importo economico. Non necessariamente dovrà trattarsi di un'unità abitativa, ma non potrà certo rientrare tra le competenze del geometra la progettazione di cubature utili ad edifici con una pluralità di appartamenti. Il testo fondamentale che fissa i limiti della competenza dei geometri è ancora l'art. 16 del R.D. 11 febbraio 1929, n. 247 poiché anche le norme successive che hanno consentito la progettazione di struttura di cemento armato, fanno riferimento ai limiti posti da tale legge.

Cass. pen. n. 9089/1995

L'art. 348 c.p. (abusivo esercizio di una professione), è norma penale in bianco, che presuppone l'esistenza di norme giuridiche diverse, qualificanti una determinata attività professionale, le quali prescrivono una speciale abilitazione dello Stato ed impongano l'iscrizione in uno specifico albo, in tal modo configurando le cosiddette professioni protette. Di guisa che l'eventuale lacuna normativa non può essere colmata dal giudice con la prescrizione di regole generali o astratte. (Principio affermato in relazione all'attività professionale di optometrista che non poteva essere prevista in occasione della regolamentazione della professione di ottico. La Suprema Corte, annullando con rinvio, ha affermato che dovrà essere accertato se le pratiche professionali corrispondano ad una mera attività di rilevazione e misurazione strumentale, e ad una semplice attività di ginnastica oculare — nel qual caso dovrebbero considerarsi solo ausiliari e funzionali all'espletamento della professione medica e non integranti il reato — oppure se esse necessariamente comportano nella loro essenziale esecuzione, scelte e valutazioni di carattere diagnostico, tipiche dell'atto medico).

Cass. pen. n. 5416/1995

In tema di esercizio abusivo della professione di ingegnere da parte dei periti edili assumono rilevanza anche le disposizioni contenute nella tabella professionale al fine dell'individuazione degli ambiti di attività consentiti ai periti edili. Infatti, la legge 2 marzo 1949, n. 144 e la legge 12 marzo 1957, n. 146, che approvano le tariffe per i geometri e per i periti edili, rappresentano un indubbio ausilio per contribuire a precisare gli ambiti in questione. E l'art. 27 della legge n. 146 del 1957, occupandosi della distribuzione dei compensi prefigura e, dunque, legittima anche l'eventualità che il perito edile rediga un progetto architettonico, mentre il tecnico laureato provvede a quello esecutivo. Così prevedendo che il perito edile predispone lo schema figurativo dell'ingombro territoriale (e sotto questi profili risponde del suo operato), mentre l'ingegnere è responsabile dei calcoli delle strutture.

Cass. pen. n. 3785/1995

In relazione al reato di esercizio abusivo di una professione, l'iscrizione all'albo professionale non può valere a coprire, agli effetti di cui all'art. 348 c.p., la mancanza di requisiti sostanziali prescritti dalla disciplina della relativa professione. (Fattispecie in tema di abusivo esercizio della professione di procuratore legale da parte di soggetto non abilitato che aveva ottenuto l'iscrizione all'albo attraverso la produzione di un falso certificato del superamento del prescritto esame).

Cass. pen. n. 1545/1995

Commette il reato di abusivo esercizio di una professione (art. 348 c.p.) il geometra che procede al restauro conservativo di un edificio sottoposto a vincolo ai sensi delle leggi che tutelano l'antichità e le belle arti; tale intervento, infatti, è riservato dall'art. 52 del R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, a chi esercita la professione di architetto (e, per la parte tecnica, di ingegnere), ed in ogni caso, per la rilevanza dell'opera sul piano qualitativo, non può rientrare nelle attribuzioni del geometra contemplate dall'art. 16, R.D. 11 febbraio 1929, n. 274, che determina oggetto e limiti di esercizio della relativa professione.

Cass. pen. n. 10116/1994

Il semplice trasporto di ammalati a mezzo di autoambulanza non rientra di per sè nel novero delle attività per le quali occorre una speciale abilitazione dello Stato e tantomeno costituisce esercizio di una professione sanitaria; sotto codesto profilo d'altro canto va considerato che la presenza a bordo dei mezzi utilizzati di attrezzatura sanitaria di emergenza non implica né fornisce prova di suo utilizzo da parte dei trasportatori.

Cass. pen. n. 8685/1993

Non integra esercizio abusivo di professione (art. 348 c.p.) di dottore commercialista da parte di un consulente del lavoro la tenuta della materia fiscale e della contabilità, relativa a piccole e medie imprese assistite nell'ambito dell'attività di consulente del lavoro. Esse, infatti, sono attività di mero rilevamento, annotazione, catalogazione, accorpamento e trascrizione di dati, aventi rilevanza contabile e fiscale, e costituisce pratica di scarso rilievo professionale, non implicando necessariamente contributi di consulenza tecnico-contabile, di stime commerciali e finanziarie, di verifica e revisione dei bilanci, di amministrazione e liquidazione di aziende, riservate ai dottori commercialisti. Essa, pertanto, deve essere ritenuta attività di natura «affine» che rientra nella generale competenza del consulente del lavoro (artt. 1 e 2 della L. 11 gennaio 1979, n. 12). Tale attività non cambia natura quando, anziché essere effettuata su scritture e documenti interni all'azienda, sia trasferita su dichiarazioni e denunzie destinate a essere inibite ad uffici pubblici, compresi quelli fiscali, sempreché non sussista la necessità di una consulenza contabile o commerciale generale.

Cass. pen. n. 11929/1992

Commette il reato di abusivo esercizio della professione di dentista l'odontotecnico che svolga attività riservata al medico nei confronti di pazienti che si rivolgono a lui, in quanto, in virtù dell'art. 11, R.D. 31 maggio 1928, n. 1334 — norma extrapenale integratrice del precetto penale contenuto nell'art. 348 c.p. — è escluso ogni rapporto diretto fra paziente e odontotecnico, quest'ultimo, essendo autorizzato «unicamente a costruire apparecchi di protesi dentaria su modelli tratti dalle impronte ... fornite da medici-chirurghi ... con le indicazioni del tipo di protesi da eseguire (art. 11 del regio decreto citato). (Nella specie la Suprema Corte ha osservato che correttamente la corte di merito aveva ritenuto che l'imputato dovesse rispondere del reato ascrittogli in quanto aveva: 1) esaminato il ponte di una paziente prescrivendole delle radiografie e poi esprimendo il suo giudizio al riguardo; 2) visitato un paziente che lamentava dolore ad un dente, facendolo distendere sul lettino, esaminandogli la bocca ed affermando che erano necessari altri lavori; 3) visitato un paziente, prescritto al medesimo delle radiografie, impegnandosi a stendere un preventivo; 4) esaminato la bocca di un paziente prescrivendogli radiografie nonché, all'esito, l'applicazione di un apparecchio).

Cass. pen. n. 11794/1990

La condotta esecutiva del delitto di cui all'art. 348 c.p. consiste nel compimento di atti di esercizio di una professione per la quale sia richiesta una speciale abilitazione da parte dello Stato. La norma tutela esclusivamente gli atti propri, riservati a ciascuna professione, e non anche quelli che, mancando di tale tipicità, possono essere compiuti da chiunque, anche se abbiano connessione con quelli professionali. (Nella specie la corte di cassazione, annullando senza rinvio l'impugnata sentenza, ha deciso che l'uso di un timbro recante la qualifica «procuratore di istituto di credito», in calce ad atti di precetto intimati a creditori inadempienti, da parte di un soggetto non iscritto all'Albo dei procuratori legali, non integra la fattispecie prevista dall'art. 348 c.p., in quanto il precetto — essendo atto preliminare estrinseco al processo esecutivo e non costituendo atto introduttivo di un giudizio — può essere sottoscritto personalmente dalla sola parte intimante, a norma dell'art. 480 c.p.c. A identica negativa conclusione la corte è pervenuta per quanto concerne le pratiche di riabilitazione, in quanto l'art. 44 disp. att. c.p.p. 1930 stabilisce espressamente che la domanda di riabilitazione di cui agli artt. 178 c.p. e 597 c.p.p. 1930 è sottoscritta dall'interessato o da un suo procuratore speciale).

Cass. pen. n. 59/1990

L'art. 348 c.p., che configura il reato di esercizio abusivo della professione, è una norma in bianco, che contiene un rinvio ad altre norme per la determinazione delle professioni per le quali è richiesta la speciale abilitazione dello Stato; ne consegue che l'osservanza delle norme che disciplinano l'esercizio della professione tutelata è richiamata dalla norma incriminatrice al punto che le disposizioni attinenti la professione stessa sono recepite nel precetto penale.

Possono costituirsi parte civile le associazioni professionali, il cui interesse all'esercizio esclusivo della professione da parte degli iscritti in una delimitata area, coincide con l'interesse dello Stato a che la professione di cui si tratti sia esercitata soltanto da coloro che vi siano abilitati. In tale ipotesi, per quel che riguarda l'associazione professionale, al danno consistente nell'offesa all'interesse circostanziato preso a cuore dall'associazione medesima, si aggiunge il danno anche patrimoniale ad essa derivante dal reato di esercizio abusivo della professione a causa della concorrenza sleale subita in quel determinato contesto territoriale dai professionisti iscritti (nella fattispecie è stata riconosciuta l'ammissibilità dell'Associazione medici dentisti italiani, sezione di Forlì, a costituirsi parte civile nei confronti di numerosi odontotecnici della zona imputati del reato di esercizio abusivo della professione).

Cass. pen. n. 1207/1985

Oggetto della tutela predisposta dall'art. 348 c.p. è costituito dall'interesse generale, riferito alla pubblica amministrazione, che determinate professioni, richiedenti particolari requisiti di probità e competenza tecnica, vengano esercitate soltanto da chi, avendo conseguito una speciale abilitazione amministrativa, risulti in possesso delle qualità morali e culturali richieste dalla legge. Ne deriva che la tutela in esame si estende soltanto agli atti «propri» o «tipici» delle suddette professioni in quanto alle stesse riservati in via esclusiva e non anche agli atti che, pur essendo in qualche modo connessi all'esercizio professionale difettano di tipicità nel senso sopra indicato, perché suscettibili di essere posti in essere da qualsiasi interessato. (Nella specie si è escluso la configurabilità del delitto di esercizio abusivo della professione forense nella diffida, rivolta ai debitori con lettera raccomandata dal titolare di un'agenzia di recupero crediti ad adempiere determinati debiti con la minaccia, in caso di rifiuto, di azioni giudiziarie ed a corrispondere, oltre al capitale, anche l'imposta di accredito e competenza).

Cass. pen. n. 1742/1972

In relazione alla professione medica (che si estrinseca nell'individuare e diagnosticare le malattie, nel prescriverne la cura, nel somministrare i rimedi, anche se diversi da quelli ordinariamente praticati), commette il reato di esercizio abusivo della professione medesima chiunque esprima giudizi diagnostici e consigli e appresti le cure al malato. Da tale condotta non è esclusa la psicoterapia, giacché la professione in parola è caratterizzata dal fine di guarire e non già dai mezzi scientifici adoperati: onde qualunque intervento curativo, anche se si concreti nell'impiego di mezzi non tradizionali o non convenzionali, da parte di chi non sia abilitato all'esercizio, integra il reato previsto dall'art. 348 c.p.

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Consulenze legali
relative all'articolo 348 Codice Penale

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Anonimo chiede
mercoledì 07/08/2024
“Un medico neurologo iscritto anche come CTU viene condannato in sede penale per reati di truffa, peculato, ecc maturati in ambito professionale in ospedale pubblico. Tuttavia sfuggendo ai controlli periodici di revisione CTU ha continuato ad esercitare come CTU senza interruzione, con dolo, incurante di aver perso con le condanne i requisiti indefettibili per poter continuare ad operare come CTU. Permanendo la sua iscrizione CTU e sfuggendo ai controlli evidentemente non accurati, non è mai stato cancellato dall'albo e ha continuato ad operare come CTU negli anni, calcando le aule dei tribunali e affiancandosi ai giudici con dolo e spregiudicatezza. In cosiffatto contesto, pur risultando iscritto all'albo CTU e ben sapendo di aver perso i requisiti per continuare ad esercitare e per la permanenza in albo CTU, quale reato ha commesso questo CTU? Quali sono gli articoli di riferimento che riguardano in caso?”
Consulenza legale i 09/08/2024
In primo luogo, secondo quanto emerso dalla richiesta di parere, la condanna del soggetto per i reati di truffa e peculato non comportava la comminazione di alcuna pena accessoria che determinasse l’immediata interdizione dalla professione a carico del CTU ( art. 30 del c.p. ).

Tale circostanza appare alquanto strana (e in effetti potrebbe essere una mera dimenticanza espositiva nella richiesta di parere) atteso che l’ art. 31 del c.p. dispone che la pena accessoria dell’interdizione dalla professione consegua fisiologicamente alla condanna di qualsivoglia reato commesso abusando della professione o violando i doveri alla stessa inerenti.

Laddove il caso di specie risponda a tale ipotesi, allora è possibile che l’interdizione sia stata effettivamente comminata al condannato che, continuando a esercitare la professione, è effettivamente incorso nel reato di esercizio abusivo della professione ( articolo 348 c.p.) che viene integrato anche laddove il professionista, pur abilitato, sia sospeso o interdetto dalla professione.

Se, invece, il soggetto condannato non ha conseguito alcuna pena accessoria e non è stato interdetto o sospeso dalla professione, l’unica condotta allo stesso ascrivibile è di aver continuato a esercitare il proprio ruolo in spregio dei requisiti di onorabilità e integrità che sono prescritti dalla normativa vigente per l’iscrizione nell’albo dei CTU.

In tal caso, tuttavia, alcun reato risulta configurabile e il soggetto potrebbe essere tuttalpiù segnalato al relativo ordine e al Tribunale presso cui è iscritto al fine di ottenere l’emanazione di provvedimenti disciplinari e/o la cancellazione/sospensione dall’ordine e dall’albo dei CTU.

T. V. chiede
domenica 20/11/2022 - Molise
“Premesso che l’art. 123 del Codice della Strada stabilisce al comma:
1. Le scuole per l'educazione stradale, l'istruzione e la formazione dei conducenti sono denominate autoscuole.
2. Le autoscuole sono soggette a vigilanza amministrativa e tecnica da parte delle province, alle quali compete inoltre l'applicazione delle sanzioni di cui al comma 11-bis.
7. L'autoscuola deve svolgere l'attivita' di formazione dei conducenti per il conseguimento di patente di qualsiasi categoria, possedere un'adeguata attrezzatura tecnica e didattica e disporre di insegnanti ed istruttori riconosciuti idonei dal Ministero dei trasporti, che rilascia specifico attestato di qualifica professionale. ……………………………
10. Il Ministro dei trasporti stabilisce, con propri decreti: i requisiti minimi di capacità finanziaria; i requisiti di idoneità, …………………………………………………
11-bis. L'istruzione o la formazione dei conducenti impartita in forma professionale o, comunque, a fine di lucro al di fuori di quanto disciplinato dal presente articolo costituisce esercizio abusivo dell'attivita' di autoscuola. Chiunque esercita o concorre ad esercitare abusivamente l'attivita' di autoscuola e' soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma ((da € 11.108 a € 16.661)). Si applica inoltre il disposto del comma 9-bis del presente articolo;


Visto il Decreto del Ministero dei Trasporti n. 30 del 10/01/2014 che, modificando il Decreto Ministero dei Trasporti - 17/05/1995 - n. 317 - Attività delle autoscuole -, è intervenuto sull’art. 5, c.2, stabilendo che: “Il materiale didattico di cui al comma 1, può essere sostituito da supporti audiovisivi o multimediali, la cui conformità ai programmi è dichiarata dal titolare o, se del caso, dal legale rappresentante dell'autoscuola, anche per eventuali ulteriori sedi della stessa. Non sono ammessi corsi con il sistema e-learning”;


Considerato che, da un pò di tempo, insegnanti di autoscuole erogano sui canali social, accessibili a chiunque, le previste lezioni teoriche finalizzate al conseguimento di tutte le categorie di patenti di guida;

Con la presente sono a chiedere se ciò non comporti la violazione dell’art. 384 (Esercizio abusivo di una professione) del Codice Penale, piuttosto che l’inosservanza degli art. 2595 e 2598 (comma 3) del Codice Civile.”
Consulenza legale i 28/11/2022
Cominciamo a dirimere la questione sul fronte penale.

In primo luogo va ricordato che l’esercizio abusivo della professione, previsto e punito dall’ art. 348 del c.p., viene annoverato tra i reati contro la Pubblica Amministrazione e la ratio della disposizione normativa in parola è quella di tutelare l'interesse generale a che determinate professioni, in ragione della loro peculiarità e della competenza richiesta per il loro esercizio, siano svolte solo da chi sia provvisto di standard professionali accertati da una speciale abilitazione rilasciata dallo stato.

Va detto, tuttavia, che la configurabilità del reato in questione non è così semplice.
Ci spieghiamo meglio.
Se la prensione punitiva della norma in parola fosse interpretata nel senso d'impedire a ciascuno anche la semplice attività di divulgazione effettuata in buona fede e senza che la stessa sia volutamente espressione dello svolgimento di una determinata professione, ci troveremmo in presenza di una interpretazione incostituzionale, in quanto la mera divulgazione, appunto, non sarebbe in grado di offendere l’interesse giuridico sotteso alla fattispecie.

E’ per questa ragione che ormai da tempo si predilige una interpretazione più restrittiva che, in buona sostanza, ritiene sussumibile nell’alveo della fattispecie in parola solo quelle condotte che sono effettivamente palese espressione dello svolgimento di quella determinata professione.
Così, ad esempio, il laureato in giurisprudenza non incorrerà nel reato di esercizio abusivo se rende un parere qualificandosi come studente o dottore. Se, invece, redigerà quel parere sottoscrivendolo quale avvocato, allora la sua condotta sarà passibile si sanzione penale.

Le indicazioni soprastanti ci consentono di tirare le somme rispetto al caso sottoposto al nostro vaglio e possiamo concludere che:
- se l’attività di insegnamento sui social e/o altro è effettuata da chi possiede l’abilitazione quale insegnante di scuola guida, la fattispecie in parola non può sussistere;
- se l’attività di insegnamento sui social e/o altro è effettuata da chi non possiede l’abilitazione senza che, tuttavia, tale attività sia sponsorizzata come funzionale a ottenere la patente di guida, allora vi è più di un dubbio sulla sussistenza del reato in quanto si tratterebbe di una mera divulgazione che, di per sé, non sembra essere idonea a ledere l’interesse giuridico sotteso alla fattispecie;
- se invece l’attività di cui si è detto è svolta da chi non possiede l’abilitazione e viene sponsorizzata, anche previo pagamento, come effettivamente utile all’ottenimento della patente di guida, allora di certo ci troveremmo in presenza della fattispecie di cui all’articolo 348 c.p.

Passiamo alla questione civilistica.

Durante il periodo dell’emergenza sanitaria da Covid-19, è stata introdotta una disciplina emergenziale in relazione alla valutazione delle assenze nei corsi per il conseguimento delle patenti di guida, nei corsi di qualificazione iniziale, di integrazione e di formazione periodica della CQC, introducendo, altresì, la possibilità di formazione a distanza (FAD), come previsto dal DPCM 3 dicembre 2020, art. 1, comma 10, lett. s.
Di conseguenza, la Direzione Generale per la Motorizzazione ha adottato diverse circolari volte a disciplinare le modalità di svolgimento dei corsi di formazione delle Autoscuole, tanto per il conseguimento delle patenti di guida, quanto nei corsi di qualificazione iniziale, di integrazione e di formazione periodica della CQC.

Nello specifico: la circolare prot. n. 28630 del 14 ottobre 2020 recante la disciplina delle assenze causa COVID-19 nei corsi di qualificazione iniziale, anche di integrazione, e di formazione periodica della CQC, oltre alle disposizioni integrative delle circolari prot. n. 24304 del 09.09.2020 e prot.n. 26029 del 23.9.20; la circolare prot. n. 11043 del 30 marzo 2021, contenente la disciplina della formazione a distanza nei corsi di competenza della Direzione Generale della Motorizzazione; infine, la circolare prot. n. 591 del 11 gennaio 2022, la quale chiariva che, perdurante lo stato emergenziale e fino a nuove e/o diverse disposizioni, restavano applicabili le disposizioni di cui alle predette circolari.

Ad oggi, ha adottato un’ulteriore circolare in merito, volta a definire le modalità operative deli corsi di qualificazione iniziale, la prot. n. 32137 del 13/10/2022, nella quale: conferma le disposizioni di cui alla circolare prot. n. 28630 del 14/10/2020 in materia di “Disciplina delle assenze Causa COVID – 19 nei corsi di qualificazione iniziale, anche di integrazione, e di formazione periodica della CQC”, che, qualora un allievo fosse stato assente per “Causa COVID-19”, permettevano di considerare in favore dello stesso le ore di lezione frequentate, anche oltre il termine di chiusura del corso a cui è iscritto, pur se a determinate condizioni; conferma il divieto di ricorrere alla FAD nei corsi di recupero punti sulla patente di guida, sulla CQC e sul CAP di tipo KB; la FAD non è più possibile per i corsi di recupero punti né per i corsi delle patenti e dei certificati di formazione professionale, in quanto era strettamente legata alla suddivisione del territorio in zone rosse o arancioni in base al numero dei contagi; in relazione al ricorso alla FAD nei corsi di qualificazione iniziale e di formazione periodica CQC, anche in considerazione da un lato della previsione di cui al DM 30 luglio 2021 (infra artt. 9, 10, 16 e 17) relativa alla possibilità di erogare alcune ore dei corsi di qualificazione iniziale e di formazione periodica con strumenti TIC (tecnologie dell’informazione e comunicazione) come l’e-learning, e, dall’altro, della circostanza che ancora non è stato adottato il decreto che dovrà definirne caratteristiche tecniche e standard di qualità, definisce alcune modalità nello svolgimento dei suddetti corsi mediante FAD, nello specifico in relazione alle percentuali di lezioni erogabili con strumenti informatici (per la cui quantificazione si rimanda alla citata circolare).
Al contrario, la FAD non è più possibile per i corsi di recupero punti né per i corsi delle patenti e dei certificati di formazione professionale, in quanto era strettamente legata alla suddivisione del territorio in zone rosse o arancioni in base al numero dei contagi.

Venendo alla questione presentata, sarebbe opportuno distinguere quali tipo di corsi vengono erogati on line, nonché se vengono tuttora offerti.
Considerato, infatti, che sino all’applicazione di detta circolare era possibile erogare e conseguire a mezzo FAD la formazione necessaria per ogni patente, pur con specifiche limitazioni legate alle singole tipologie, non si rinviene in relazione a dette circostanze l’inosservanza di alcuna normativa.

Nell’eventualità in cui vengano ancora oggi erogati in FAD alcuni corsi per i quali detta modalità è ad oggi vietata, come disposto dall’art. 5, comma 2, del Decreto del Ministero dei Trasporti n. 30 del 10/01/2014, può rendersi utile analizzare la normativa relativa alla sleale, facendo riferimento agli artt. ss. del c.c.

La norma citata, al n. 3 punisce chiunque si valga direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda.
La concorrenza sleale deve, comunque, consistere in attività dirette ad appropriarsi illegittimamente dello spazio di mercato ovvero della clientela del concorrente, che si concretino, tra le altre circostanze, in atti non conformi alla correttezza professionale. (Cass. civ., n. 6887/1996).
L’orientamento giurisprudenziale prevalente ritiene con riguardo ai principi di correttezza professionale che spetti al giudice, in relazione alle circostanze del caso concreto, formulare il giudizio di correttezza, sulla base di un sentire morale ed etico di una categoria professionale in relazione ad un dato momento storico.
La responsabilità a titolo di concorrenza sleale, ai sensi dell'art. 2598 del c.c., numero 3, presuppone che l'imprenditore si sia avvalso di un mezzo, non soltanto contrario ai principi della correttezza professionale, ma anche idoneo a danneggiare l'altrui azienda
La nozione di concorrenza sleale di cui all'art. 2598 del c.c. va desunta dalla «ratio» della norma, che impone, alle imprese operanti nel mercato, regole di correttezza e di lealtà, in modo che nessuna si possa avvantaggiare, nella diffusione e collocazione dei propri prodotti o servizi, con l'adozione di metodi contrari all'etica delle relazioni commerciali (Cass. civ., n. 4739/2012)

Tanto premesso, se l’attività di offerta online dei propri servizi da parte delle autoscuole è circoscritta nei limiti di cui alla normativa sopra citata, non appare sussistere alcuna fattispecie concorrenza sleale.
In caso contrario, può rilevarsi una un’attività integrante astrattamente la fattispecie di concorrenza sleale di cui all’art. 2598 del c.c., n. 3, sempre a condizione che venga soddisfatto il presupposto dell’effettivo stato concorrenza tra le autoscuole.
In questo modo, e previa valutazione di un danno effettivo, si potrà agire per ottenerne il risarcimento.
In ogni caso, si consiglia una segnalazione alle Autorità competenti per la vigilanza, così da ottenere il medesimo risultato d'inibitoria dell’offerta al pubblico da parte dei concorrenti.

Francesca B. chiede
mercoledì 16/03/2022 - Trentino-Alto Adige
“Secondo l'art. 348 c.p., l'abuso di professione si verifica in assenza dell'abilitazione professionale conseguente al conseguimento dei titoli di studio e dell'esame di Stato.
può essere considerata legge primaria rispetto alla L. 13/03/2018 (G.U. 03/04/2018)?
Se si rigetta l'iscrizione all'albo delle professioni sanitarie (psicologo) si può esercitare se in possesso dei titoli? Se apolidi, si può esercitare la professione se in possesso di titoli (riconosciuti e non sottraibili?)?. Cerco consulenza esperta e corredata di precisi riferimenti normativi.
Grazie”
Consulenza legale i 16/03/2022
La figura delittuosa in commento intende tutelare l'interesse generale a che determinate professioni, in ragione della loro peculiarità e della competenza richiesta per il loro esercizio, siano svolte solo da chi sia provvisto di standard professionali accertati da una speciale abilitazione rilasciata dallo Stato.

La norma in questione viene definita “norma penale in bianco” e questo vuol dire che per la sussistenza del reato è indispensabile che la normativa statale imponga l’iscrizione in albi e ordini appositi.
Ora, che la legge italiana imponga l’iscrizione dello psicoterapeuta in un apposito ordine, a sua volta subordinata al superamento dell’abilitazione, è un dato di fatto ed è espressamente previsto dalla L. 18 febbraio 1989, n. 56 (il richiamo alla legge del 2018 è inconferente visto che regola la costituzione di altri albi e, per giunta, si tratta di una norma di rango primario esattamente come lo è l’articolo 348 del codice penale).

Per giunta, i precedenti giurispruenziali in merito sono copiosi e conformi nell’affermare la sussistenza del reato; si veda, in particolare, Cass. pen. Sez. III Sent., 24/04/2008, n. 22268 secondo cui “integra il reato di esercizio abusivo della professione lo svolgimento, in assenza dei necessari titoli, dell'attività di psicoterapeuta, essendo lo stesso subordinato ad una specifica formazione professionale e all'inserimento negli albi degli psicologi o dei medici”.
Dunque, non ha alcun rilievo l’aver conseguito i “titoli” (se con ciò si intende la laurea e quant’altro) essendo indispensabile l’abilitazione e la relativa iscrizione all’ordine rilevante per la categoria.

A ciò si aggiunga che non ha parimenti importanza che il soggetto sia “apolide”: il diritto penale è nazionale e lo stesso si applicherà a chiunque commetta il fatto sul territorio dello stato a prescindere dalla cittadinanza e da qualsiasi altro stato civico.

Francesco A. chiede
martedì 02/03/2021 - Veneto
“Si vedano gli artt. 2 e 3 del Decreto 23 marzo 2018 "Ordinamento della professione di chimico e fisico" (Legge Lorenzin). Si chiede: un laureato in chimica che non ha fatto l'esame di Stato e quindi non è iscritto all'Albo Professionale, lavora come chimico con rapporto di lavoro subordinato in un laboratorio d'analisi privato. Egli esegue i campionamenti e le analisi ma non firma i certificati (perché li firma il titolare del laboratorio che è un chimico laureato iscritto all'Albo), né esercita alcuna attività libero professionale come consulenze o perizie. Si limita, come si è detto, ad eseguire campionamenti ed analisi.
Ha l'obbligo di superare l'esame di Stato e iscriversi all'Albo? Rischia una denuncia per abuso di professione?
Grazie”
Consulenza legale i 09/03/2021
L'esercizio abusivo della professione è un reato punito dal codice penale all'art. 348 con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da euro 103 a euro 516.

Viene commesso da chiunque eserciti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, e non l’abbia ottenuta. Per poter esercitare determinate professioni, infatti, la legge richiede la necessaria iscrizione in appositi albi o elenchi.

Nella giurisprudenza è stato riscontrato il suddetto reato anche nel comportamento di chi si sia limitato a sottoscrivere un documento interamente elaborato da soggetto privo di abilitazione. Difatti, il reato in esame può essere attribuito anche a chi, pur avendo conseguito l’abilitazione all’esercizio di una determinata professione, agevoli l’esercizio abusivo da parte di qualcun altro.

Venendo al caso di specie, lo svolgimento di analisi chimiche con qualunque metodo e a qualunque scopo destinate, su sostanze o materiali di qualsiasi provenienza rientra tra le attività riservate alla competenza del chimico iscritto al relativo ordine.

Se un chimico si prestasse a sottoscrivere analisi effettuate da soggetti non abilitati, incorrerebbe in una violazione del codice disciplinare. Difatti, il Codice Deontologico dell’Ordine, all’art. 3, comma 6, stabilisce che “il professionista garantisce la qualità e la tracciabilità di ogni atto finalizzato al compimento dell’incarico; ove si avvalga delle prestazioni di terzi ne garantisce comunque il controllo e la responsabilità”.

Di conseguenza, viola il codice deontologico e può essere sottoposto a procedimento disciplinare, il chimico che si limiti a sottoscrivere o a vistare un’analisi effettuata da soggetti privi di competenza, sia se siano questi a chiederglielo, sia se la richiesta provenga direttamente dal datore di lavoro.

Inoltre, a carico del chimico potrebbe essere ascritta la responsabilità penale a titolo di concorso nel reato di esercizio abusivo della professione.

Alla luce della normativa in vigore, pertanto, si può astrattamente configurare il reato di esercizio abusivo della professione in capo sia a chi esercita la professione senza la necessaria abilitazione, ma anche in capo al chimico che "presta" la sua firma, a titolo di concorso.

E' evidente che, nel caso di specie, se il nome del chimico non iscritto all’Ordine non compare mai in alcun documento e chi sottoscrive le analisi se ne assume totalmente la responsabilità di fronte ai terzi, è possibile che nessuno venga mai a sapere che in realtà la stessa è stata effettuata da un soggetto non abilitato.
Il reato in astratto è pur sempre configurabile, ma se non vi è modo di dimostrare i fatti, la condanna all'evidenza difficilmente può essere comminata.

Caso totalmente diverso è quello in cui il chimico non iscritto all’Albo collabori all’effettuazione delle analisi assieme ad un altro chimico abilitato, che lo supervisioni, in un'ottica di coadiuvazione: tale tipo di collaborazione è consentita (art. 2232 c.c. “Il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto. Può tuttavia valersi, sotto la propria direzione e responsabilità, di sostituti e ausiliari, se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con l’oggetto della prestazione”). Se si configura la collaborazione in questi termini, non vi è il rischio di commettere esercizio abusivo della professione.

Naturalmente, in entrambi i casi, il dipendente non iscritto al relativo Albo, non potrà in alcun caso spendere il titolo di Chimico.


Marietta G. chiede
mercoledì 02/09/2020 - Piemonte
“Buongiorno ! Ho in essere un'altra consulenza ma, per sveltire la risposta uso questo mezzo. Il quesito è - sono un perito industriale iscritto da 42 anni all'ordine. Nei paesi anglosassoni chi ha un titolo equivalente al mio viene definito industrial Engineer, mentre nei paesi francofoni ingenierie industrielle. Se in Italia mi presentassi con uno di questi titoli, incorrerei nella commissione di un reato? E' possibile che usi questi titoli?
Grazie, attendo gradite vostre
Cordialmente
Giorgio M.”
Consulenza legale i 03/09/2020
L’articolo 348 del codice penale punisce la condotta di chi “abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato”.

Ora, per dare una soluzione al quesito va innanzi tutto capito se la professione di ingegnere industriale rientra tra quelle “tutelate” dal disposto dell’articolo predetto.

La risposta è positiva atteso che, ai fini dell’esercizio della predetta professione, occorre essere iscritti nell’albo degli ingegneri.

In secondo luogo, va capito cosa debba intendersi per “esercizio abusivo”.

Stante la laconicità del precetto normativo, è indispensabile fare riferimento alle ricostruzioni della giurisprudenza penale.
Senza dilungarsi sul tema – che ha dato adito a numerosi contrasti – possiamo affermare che, oggi, la Cassazione Penale si è appiattita sull’indirizzo secondo cui il reato viene commesso solo da chi esercita – pur non potendo – la professione in concreto, compiendo atti che sono caratteristici della stessa.
Ancora, sempre i giudici di legittimità hanno specificato che, in ogni caso, gli atti compiuti, per assumere rilevanza penale, devono necessariamente avere una rilevanza “esterna”.

Tornando al caso di specie, il reato, di certo, non verrebbe configurato laddove il soggetto dovesse “presentarsi”, in una discussione qualsiasi, quale ingegnere industriale.

Diversamente, laddove questi dovesse compiere atti tipici di detta professione (ad esempio, interloquire con un’azienda e sviluppare un ciclo di lavoro etc), allora commetterebbe il reato sopra emarginato.

In tale ultimo caso, a nulla rivelerebbe il fatto che, negli altri stati, la professione di perito industriale viene “parificata” (anche soltanto dal punto di vista terminologico) a quella di ingegnere atteso che tale circostanza non farebbe venir meno il fatto che il soggetto in questione, in Italia, non è iscritto al relativo ordine.

Silvia B. chiede
sabato 21/12/2019 - Lombardia
“Ho 71 anni. Mi sono laureata in Psicologia Magistrale a 68 anni all'Università e-Campus. Mi hanno regalato in quell'occasione dei biglietti da visita con scritto Psicologa. Io non ho fatto né tirocinio né esame di stato per motivi di età e mancanza di tempo e salute. Studiare psicologia è stata per me una passione soddisfatta in tarda età con risultati eccellenti. Non ho mai avuto nessuna intenzione di lavorare soprattutto vista la mia età, il lungo percorso per arrivare a poterlo fare e la non necessità totale di farlo. Ho usato stupidamente alcuni di quei bigliettini per motivi personali, mai per una finalità di tipo professionale. NON ESISTE UNA PERSONA CHE POSSA DIRE DI AVER AVUTO CON ME UN RAPPORTO PROFESSIONALE!!! Tuttavia l'Ordine Psicologi Lombardia mi ha mandato in questi giorni una richiesta di chiarimenti perché qualcuno evidentemente ha inviato o sottoposto alla loro attenzione uno di questi biglietti da visita, dove sotto il mio nome c'è scritto Psicologa anziché Dottore in Psicologia. Io non ho MAI professato e quindi mi chiedo cosa può succedermi. Io ho risposto spiegando tutto ciò ma sono in ansia perché mi sono sempre comportata in maniera perfettamente etica e la mia buona fede è oltretutto corroborata dal fatto che ho rifiutato parecchie volte richieste di aiuto da parte di persone che mi hanno chiesto collaborazione non conoscendo la normativa e le differenze tra i vari titoli. Per inciso un altro motivo di angoscia mi è dato dal non immaginare chi possa avere deciso di crearmi questo problema !!!!!!! Vorrei capire quali possono essere le conseguenze di questa leggerezza da me tenuta in totale buona fede. Ripeto non ho mai avuto un rapporto professionale come psicologa con nessuno. Per me la laurea di psicologia a quasi 70 anni è stata una soddisfazione che ho voluto prendermi studiando una materia che mi ha sempre appassionato!!
Resto in attesa di un chiarimento che possa magari farmi passare le vacanze di Natale più tranquilla!! Grazie infinite.”
Consulenza legale i 30/12/2019
Nel caso di specie, il reato ipoteticamente rilevante potrebbe essere quello di esercizio abusivo della professione, previsto e punito dall’art. 348 del codice penale.

La figura delittuosa in commento intende tutelare l'interesse generale a che determinate professioni, in ragione della loro peculiarità e della competenza richiesta per il loro esercizio, siano svolte solo da chi sia provvisto di standard professionali accertati da una speciale abilitazione rilasciata dallo stato.

Stante l’ampiezza del dettato normativo (che, in effetti, nulla dice di specifico in ordine alla condotta delittuosa limitandosi alla locuzione “chiunque abusivamente esercita una professione…”), occorre comprendere se, come nel caso di specie, la semplice diffusione di bigliettini da visita dai quali si intenderebbe che il soggetto abbia conseguito una determinata qualifica professionale può integrare il reato.

Sul punto, la giurisprudenza si è molto interrogata. Senza entrare nel merito di una disputa complessa, la Cassazione ha cercato di individuare il limite oltrepassato il quale un atto posto in essere da un soggetto non abilitato possa essere inteso quale esercizio abusivo della professione.
Ebbene, in proposito la Cassazione ha affermato che per atto di esercizio della professione deve intendersi quello tipico ed esclusivo di chi esercita quella determinata attività protetta, non potendo la norma essere applicata in presenza del semplice compimento di atti non tipici realizzabili da chiunque, anche se abbiano connessione con quelli professionali (C., Sez. VI, 11.5.1990).
In buona sostanza, dunque, la giurisprudenza subordina l'esistenza del reato alla circostanza che l'attività posta in essere dall'agente abbia assunto rilevanza esterna (C., Sez. VI, 4.5.2000).

Sulla base di quanto su detto, è possibile concludere che l’esercizio di una professione sia abusivo solo allorquando il “professionista” pone in essere degli atti tipici e concreti relativi all’attività che non potrebbe svolgere, in quanto non abilitato.

Per tale ragione, si ritiene che la semplice diffusione di un bigliettino da visita, seppure recante una descrizione impropria, non sia idoneo a configurare il reato in questione.
Invero, nessun atto relativo alla qualifica di psicologo è stato posto in essere e, per giunta, la diffusione predetta è avvenuta per scopi lontani dall’esecuzione concreta di atti professionali e, dunque, non solo sembra mancare l’elemento oggettivo del reato (l’esercizio abusivo, appunto) ma anche il dolo (diritto penale) tipico della fattispecie che consiste nella coscienza e volontà di esercitare in concreto una professione, sapendo di non esservi abilitato.

Allo stesso modo, non sembra configurabile l’ – ormai – illecito amministrativo previsto dall’art. 498 del codice penale, giacché la condotta dallo stesso stigmatizzata presuppone che il soggetto si vanti in pubblico di una qualifica professionale non posseduta non rilevando le mere condotte private.

Remo V. chiede
lunedì 11/11/2019 - Abruzzo
“OGGETTO: ESERCIZIO ABUSIVO PROFESSIONE CONSULENTE DEL LAVORO
Svolgo attività di consulenza fiscale ai sensi della legge 4/2013 e, in quanto tale, non rientro tra i professionisti abilitati alla consulenza del lavoro ex L. 12/1979; premetto che, inoltre, non sono interessato all’elaborazione dei cedolini paga perché la ritengo un’attività a basso valore aggiunto ma, al contrario, mi preme capire a fondo il vero significato della normativa vigente in modo da poter agire in caso di necessità o dissidi con il consulente del lavoro cui mi appoggio.
Dallo studio dell’art. 1 della L. 12/1979 si evince che tutte le pratiche e gli adempimenti oggetto della professione in esame possono essere svolte dal datore di lavoro stesso o da un suo dipendente senza bisogno di alcuna abilitazione o titolo di studio particolare.
Poiché ritengo che in termini giuridici il termine “dipendente” non significhi “lavoratore subordinato” ma abbia un’accezione ben più ampia (qualcuno che abbia un rapporto formale con l’impresa) volevo chiedervi se, secondo voi, un soggetto munito di procura generale avente ad oggetto gli adempimenti in materia di lavoro (o, nel caso di un unico atto, speciale) che svolga l’attività propria di un consulente del lavoro possa essere tacciato di esercizio abusivo della professione ex art. 348 cp.
All’atto pratico questo soggetto stipulerebbe un “contratto di mandato di rappresentanza” ex art. 1703 cc corredato da una procura ai sensi dell’art. 1387 cc; ai sensi della L. 4/2013 specificherebbe nel contratto di mandato di non essere un professionista abilitato. In questo caso egli agirebbe tramite una veste giuridica diversa da quella del professionista abilitato perché non si impegnerebbe in un’attività professionale (non ha un incarico professionale) ma unicamente nel compimento di atti giuridici in nome del mandante.
Non sono preparato in campo penale ma credo che un soggetto che agisca nella maniera appena descritta non possa essere accusato ai sensi dell’art. 348cp.
Sebbene detto tra le righe, la Circolare INPS N. 51 del 11 marzo 1980 sostiene la mia tesi da 40 anni poiché conferma la possibilità del datore di lavoro di avvalersi di un procuratore.
Inoltre l’art. 14 del DPR 1164/1965 ammette espressamente la possibilità del datore di lavoro di avvalersi di un procuratore nei confronti dell’INAIL.
Per quanto riguarda le comunicazioni obbligatorie non ho trovato alcun riferimento specifico riguardante la figura del procuratore ma, poiché il procuratore è una figura espressamente prevista dal codice civile e non esiste alcuna norma che vieti al datore di lavoro di avvalersi di tale ausiliario, non credo possano esistere dubbi sulla liceità di tale modo di agire.
Credo che anche per quanto concerne l’elaborazione delle buste paga non dovrebbero esserci problemi perché, l’elaborazione dei cedolini da parte del procuratore avverrebbe su delega e sotto la responsabilità del datore di lavoro stesso il quale, si ricorda, è soggetto abilitato ex L. 12/1979; inoltre sarebbe un atto/compito propedeutico all’invio delle dichiarazioni telematiche INPS/INAIL le, quali, lo rammento, costituiscono l’oggetto del contratto di mandato menzionato poc’anzi. L’azienda istituirebbe il suo LUL aziendale e la copia di tale documento sarebbe disponibile presso la sede aziendale.
Se possibile nella risposta, soprattutto con un vostro parere contrario a quanto prospettato, gradirei anche dei riferimenti giurisprudenziali da poter approfondire in seguito.”
Consulenza legale i 13/11/2019
La figura delittuosa di cui all’art. 348 del codice penale intende tutelare l'interesse generale a che determinate professioni, in ragione della loro peculiarità e della competenza richiesta per il loro esercizio, siano svolte solo da chi sia provvisto di standard professionali accertati da una speciale abilitazione rilasciata dallo stato

Come chiaramente evidenziato dalla semplice lettura della disposizione, il delitto di abusivo esercizio di una professione risulta integrato dall'esercizio di una professione in assenza dei requisiti richiesti all'uopo dalla legislazione statale. Trattasi dunque di una norma penale in bianco, che presuppone e rimanda ad altre disposizioni che determinano le condizioni oggettive e soggettive in difetto delle quali non è consentito, ed è quindi abusivo, l'esercizio dell'attività protetta (sul punto, si veda anche Cass. pen. Sez. VI, 10/05/2018, n. 33464)

L'abusività dell'esercizio sussiste allorquando l'agente sia sfornito del titolo, ovvero non abbia adempiuto alle formalità prescritte, oppure si trovi temporaneamente interdetto o inabilitato dall'esercizio della professione.
In ogni caso, secondo la giurisprudenza, l'esame circa la sussistenza delle condizioni sopra menzionate va effettuato in concreto, verificando se, in relazione all'attività effettivamente svolta, il soggetto poteva dirsi legittimato secondo la legislazione statale. È stato così riconosciuto che per la sussistenza del reato de quo è sufficiente l'esercizio in concreto di una attività per cui è richiesta una particolare abilitazione non posseduta, non rilevando l'attribuzione formale della attività ad un altro professionista abilitato ( Cass. Sez. VI 10.3.1989).

La casistica, a dire il vero, è estremamente ampia e oscilla tra pronunce più o meno restrittive. In ogni caso, dalla lettura della giurisprudenza si deduce unicamente che oggetto di censura è, in concreto, l’esecuzione di mansioni che potrebbero svolgere solo determinati soggetti muniti di una specifica abilitazione, prescindendo dall’intermediazione di terzi.

In riferimento alla materia specifica del parere, sembra opportuno citare Cass. pen. Sez. VI, 16/05/2006, n. 26817 stando alla quale “non è legittimato all'esercizio della professione di consulente del lavoro chi sia abilitato per la diversa professione di revisore contabile, giacché tra tali attività professionali esiste una obiettiva diversità di competenze in quanto l'art. 1 della legge 11 gennaio 1979 n. 12, disciplinante la professione di consulente del lavoro, estende esclusivamente alle categorie degli avvocati, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali la competenza ad occuparsi degli adempimenti in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale dei lavoratori dipendenti, peraltro a condizione che i soggetti appartenenti a tali ulteriori figure professionali diano previa comunicazione agli ispettorati del lavoro territoriali della loro intenzione di svolgere gli adempimenti in questione”.

Orbene, è vero che nel caso di specie il soggetto agirebbe in virtù di un mandato di rappresentanza, che sarebbe idoneo a “filtrare” opportunamente l’attività eseguita che, in sostanza, si ridurrebbe ad una mera esecuzione delle disposizioni di chi ha il titolo ed è dunque legittimato a svolgere le attività in questione; ma è pur sempre vero che il rischio della contestazione dell’illecito in questione sussiste. A tal riguardo, vale appena il caso di sottolineare che le disposizioni relative alla possibilità, per il datore di lavoro, di servirsi di un procuratore ben potrebbero essere orientate nel senso di un soggetto munito delle dovute abilitazioni per disporre gli adempimenti specifici.

Sulla base delle informazioni possedute, dunque, sembra verosimile concludere che la condotta esaminata possa integrare il reato di esercizio abusivo della professione.

Irene R. chiede
venerdì 08/11/2019 - Marche
“Sono una igienista dentale iscritta all'albo degli igienisti. Il mio Decreto dice che posso svolgere la mia professione "su indicazione" del medico odontoiatra. La diagnosi iniziale è un atto esclusivo del medico oppure posso anche io formulare una diagnosi, nel caso il paziente si rivolga al mio studio, senza essere ancora andato dell'odontoiatra?
grazie
irene riccitelli”
Consulenza legale i 15/11/2019
Il quesito, così come posto, cade su una questione su cui si è dibattuto, sia in ambito di deontologia medica (e di correlative sanzioni disciplinari), sia in ambito penale, posto che l'art. 348 c.p. punisce l'abusivo esercizio di una professione per la quale è prevista una speciale abilitazione dello Stato.

Appare già opportuno svelare come l'attività diagnostica rientri tra le competenze esclusive del medico. In tal senso recita l'art. 3 del Codice di deontologia medica, ai sensi del quale “La diagnosi a fini preventivi, terapeutici e riabilitativi è una diretta, esclusiva e non delegabile competenza del medico e impegna la sua autonomia e responsabilità”.

Parimenti, il D.M. 137/1999, recante norme per l'individuazione della figura e relativo profilo professionale dell'igienista dentale, stabilisce che l'igienista, tra gli altri, è tenuto a svolgere compiti relativi alla prevenzione delle affezioni orodentali su indicazione degli odontoiatri e dei medici chirurghi legittimati all'esercizio dell'odontoiatria. Non solo, il comma 3 dell'articolo 1 dispone più in generale che l'igienista svolge l'attività professionale su indicazione dell'odontoiatra o del chirurgo abilitato.

Nonostante la chiarezza delle norma citate, le quali inequivocabilmente depongono per un'interpretazione restrittiva del combinato disposto, è già successo che la questione venisse più volte sollevata, anche se più che altro incentrata sull'anestesia e sull'applicazione delle terapie.

Proprio al fine di scansare una volta per tutte ogni equivoco, il Ministero della Salute, con parere del 28/03/2014, ha precisato che “questa amministrazione ha da sempre riconosciuto all'odontoiatria e al medico chirurgo legittimato all'esercizio della odontoiatria, esclusiva competenza e correlata responsabilità in merito alla visita odontoiatrica, all'accertamento diagnostico e alla prescrizione terapeutica”, fugando pertanto qualsiasi dubbio.

Se l'igienista svolga anche una sola diagnosi, egli è pertanto passibile di espulsione a titolo di sanzione disciplinare ai sensi dell'art. 9 del codice deontologico U.N.I.D..

Anche dal punto di vista penale, è stato precisato che la condotta esecutiva del reato consiste nel compimento abusivo di atti di esercizio esclusivo di altra professione per la quale serve speciale abilitazione e che il reato ha natura solo eventualmente abituale, essendo sufficiente la commissione di un solo atto tipico riferibile all'esercizio ella professione. La reiterazione degli atti dà quindi luogo ad un unico reato (Cass. Pen., sent. n. 20099/2016).

In conclusione, secondo il nostro avviso, l'igienista dentale che compia anche una sola diagnosi è passibile di espulsione dall'apposito albo, nonché di condanna penale che va dai sei mesi ai tre anni di reclusione.

V. T. chiede
mercoledì 30/05/2018 - Toscana
“Gentili,

mi sono avvicinato a voi tramite la pagina sull'abuso dell'esercizio della professione, in particolare in materia di alimentazione, dieta, e simili.

PARTE 1.
Scendo ancora più nel dettaglio e riporto questa citazione:

"È abusivo esercizio di una professione, ai sensi dell’art. 348 c.p., chi – non abilitato all’esercizio della professione di dietista o di biologo – prescrive programmi alimentari, elargendo generici consigli alimentari, svolgendo attività di educazione alimentare"

prendendo ad esame:

1. "prescrivere programmi alimentari":
E se non fosse...

A. "prescrivere" ma "esortare a seguire"
B. "programmi" ma "pianificazioni"
C. "alimentari" ma "nutrizionali funzionali"

?

2. "elargendo generici consigli alimentari"
E se non fosse...

A. "elargendo" ma "delineando in maniera mirata"
B. "generici" ma "specifici"
C. "consigli alimentari" ma "indicazioni nutrizionali funzionali"

?

3. "di educazione alimentare"
E se non fosse...

A. "educazione" ma "coaching"
B. "alimentare" ma "nutrizionale funzionale"

?


PARTE 2.
La mia attività è definita in camera di commercio come "Commercio al dettaglio-vendita via internet di e-book" che viene effettuato in due step:

1. Acquisto diretto; l'utente acquisisce informazioni specifiche circa pianificazione nutrizionale che può adattare a se stesso;
2. Supporto post acquisto; l'utente riceve supporto per avere un processo metodologico con cui adattare quelle stesse informazioni a se stesso.

La domanda è: come si configura in ottica "abusivismo" questo tipo di attività?
(posseggo titolo di laurea "Dietista, abilitante alla professione di Dietista")


PARTE 3.
Dove sono i confini di questo "abusivismo"? Quanto descritto in "PARTE 2" è in qualche concretamente perseguibile?


--


Resto in vostra attesa.
Un caro saluto.

Vincenzo”
Consulenza legale i 08/06/2018
Il quesito da Lei proposto presenta alcuni profili di perplessità: per quanto attiene, in particolare, alla prima parte del quesito, a nostro parere la risposta non può che essere negativa.

Il testo che Lei ha citato non è relativo ad una norma di legge ma, invece, ad una sentenza; ciò significa che le parole usate dai giudici, in quel preciso caso, non sono vincolanti per i successivi giudizi.

Ancora più in particolare, da una ricerca giurisprudenziale, risulta che, in altre pronunce, la Corte di Cassazione ha usato una terminologia molto simile a quella che Lei ha proposto.

La sentenza è la n. 20281/2017, secondo cui: Integra il reato di esercizio abusivo di una professione, l'attività di colui che fornisce indicazioni alimentari personalizzate, sulla base della valutazione delle caratteristiche fisiche di ogni cliente, caratterizzate da puntuali prescrizioni e previsioni, senza però appartenere alle categorie professionali che hanno specifiche competenze in tema di bisogni alimentari (medico biologo, farmacista, dietologo), trattandosi di materia che ha ricadute in termini di salute pubblica”.

Ecco che, dunque, a nostro avviso permane la configurabilità del reato di cui all’art. 348 c.p. nel caso di "esortare a seguire pianificazioni nutrizionali funzionali delineando in maniera mirata specifiche indicazioni nutrizionali funzionali, tramite coaching nutrizionale funzionale”.

La seconda domanda, invece, pare più complessa: se per quanto riguarda la prima parte dell’attività, ovvero la vendita di e – book, avendo Lei peraltro laurea ed abilitazione di dietista, non sembrano esserci profili problematici (ben potendo Lei limitarsi a vendere libri informativi), la seconda parte, invece, appare più delicata.

In particolare, come ben saprà, molto diverse sono le attività che può compiere un dietista rispetto a quelle cui è legittimato un dietologo: il confine tra l’integrazione del reato di esercizio abusivo della professione e una condotta penalmente irrilevante sta proprio nel non porre in essere nessuna attività che sia riservata ad un dietologo.

Da quanto ci è parso di capire, ma potremmo sbagliare non avendo indicazioni precise, Lei cerca di adattare quanto previsto a livello generale negli e – book ai singoli pazienti; questo tipo di attività, a nostro avviso, pare sconfinare nelle attività proprie di un dietologo che, in quanto medico specializzato, può operare direttamente sui pazienti prescrivendo diete e farmaci. Certo è che se l’attività che Lei compie, invece, fosse un semplice consiglio su come leggere le informazioni scritte negli e – book senza prescrivere loro alcunché la soluzione potrebbe essere diversa.

Alla luce di tutto quanto detto, il consiglio che Le possiamo dare è capire esattamente se l’attività che Lei compie nello specifico rientri o meno tra le attività esclusive del dietologo. La norma penale è molto generica nel definire le professioni e ciò significa che spetta alla giurisprudenza riempire di significato questo reato e questo comporta, in definitiva, che le definizioni date dalla sentenza che Lei ha citato, ad esempio, sono indicative e potranno essere estese anche ad altre attività.

Per rispondere alla Sua ultima domanda, infine, qualora un Pubblico Ministero, sulla scorta dell'interpretazione giurisprudenziale, ritenesse che l'attività da Lei posta in essere sia propria del dietologo, potrà perseguirLa ai sensi dell'art. 348 c.p.; all'opposto, qualora non lo fosse, la sua condotta sarebbe penalmente irrilevante.

Roberto S. chiede
martedì 27/02/2018 - Liguria
“Buonasera,
la mia domanda è la seguente:una assistente alla poltrona di uno studio dentistico che posiziona un centratore x eseguire una rx endorale senza poi schiacciare il pulsante dell'apparecchio radiografico ( lo fa l'odontoiatra) commette esercizio abusivo della professione?
Distinti saluti

Consulenza legale i 28/02/2018
Per rispondere al quesito è sufficiente comprendere bene l’interesse giuridico tutelato dalla fattispecie di esercizio abusivo di professione.

L’art. 348 del codice penale punisce «Chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato» e anche il «professionista che ha determinato altri a commettere il reato di cui al primo comma ovvero ha diretto l'attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo».

La figura delittuosa in commento intende tutelare l'interesse generale a che determinate professioni, in ragione della loro peculiarità e della competenza richiesta per il loro esercizio, siano svolte solo da chi sia provvisto di standard professionali accertati da una speciale abilitazione rilasciata dallo stato.
Esercitare abusivamente la professione secondo dottrina e giurisprudenza vuol dire porre in essere un atto tipico ed esclusivo di chi esercita quella determinata attività protetta, non potendo la norma essere applicata in presenza del semplice compimento di atti non tipici realizzabili da chiunque, anche se abbiano connessione con quelli professionali (C., Sez. VI, 11.5.1990).

Ciò che importa, dunque, è che l’attività del soggetto abbia una qualche rilevanza esterna tale da ingannare lo Stato e i cittadini tutti: il primo viene infatti leso nell’elusione della normativa riguardante l’accesso determinate professioni e le regole di appartenenza, i secondi invece rispetto all’affidamento riposto in determinate figure professionali.

Questo ci permettere di profilare ora due ipotesi nel caso di specie.
Se l’assistente di poltrona ha solamente posizionato il centratore e per eseguire la rx endorale e si sia a quello limitato, allora il reato non sussiste: in tal caso infatti il soggetto ha posto in essere un’attività meramente materiale senza esplicare alcun intervento tipico del medico odontoiatra e soprattutto perché, così facendo, l’assistente non si è mai “spacciata” per medico.
Nel caso in cui invece l’assistente, oltre al posizionamento dell’apparecchio, abbia anche proceduto alla relativa diagnosi e alla formulazione della cura o alla programmazione di interventi futuri per risolvere il problema, allora la stessa effettivamente potrebbe essersi resa responsabile del reato in questione.
Tra la copiosa giurisprudenza esistente, rileva in particolare il precedente della Cassazione penale Sez. VI, Sent. 03-01-2013, n. 117. La sentenza, infatti, ha condannato un assistente di poltrona per il reato di esercizio abusivo della professione proprio perché non si limitava soltanto a «porgere gli strumenti ed esplicando tutti i compiti tipici dell'assistente» ma «aveva anche assunto iniziative terapeutiche dirette, partecipando attivamente alla redazione del piano di cure e al suo aggiornamento, qualificandosi come medico di fronte alla paziente».

Anonimo chiede
domenica 19/06/2016 - Emilia-Romagna
“Sig. "x" non figura iscritto in nessun albo professionale, pur mantenendo uno studio associato per lo svolgimento di servizi tecnici. In sostanza "X" si avvale di professionisti abilitati che lavorano per lui, i quali redigono documentazione tecnica specifica, disciplinata da normative e leggi statali che solo tali professionisti, possedendo titolo, possono stilare. "X" funge esclusivamente da coordinatore dei lavori e dunque si appoggia a queste figure professionali. ATTUALMENTE E' TITOLARE DI IMPRESA INDIVIDUALE CON PROPRIA P. IVA MA NON RISULTA ISCRITTO ALLA CAMERA DI COMMERCIO, PERO' FIGURA SUL SITO DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE. Tornando alle sue mansioni emerge che gli unici documenti, elaborati da "x", riguardano delle misurazioni su consumi energetici, eseguiti su volere della clientela per fornire un quadro sui livelli di consumo. Tali documenti vengono redatti unitamente ad altro professionista che ha le competenze per farlo. Questi documenti riportano, in calce, l'intestazione dell'impresa del sig. "X" e l'intestazione del professionista abilitato, ma senza alcuna firma autografa dei due. Emerge che tali documenti non sono disciplinati da normative dello Stato, ma semplicemente servono da illustrazione riepilogativa, dal contenuto tecnico, da far visionare ai clienti che lo hanno richiesto. IL DOCUMENTO UFFICIALE, DISCIPLINATO DALLA LEGGE (NORMATIVE E QUANT'ALTRO), VIENE FIRMATO ESCLUSIVAMENTE DA PROFESSIONISTA ABILITATO. Alla luce di quanto descritto, è configurabile il reato di esercizio abusivo di una professione a carico del signor "X" e/o quali altri reati potrebbero configurarsi a tal proposito? GRAZIE
Sembra ovvio che X non dispone di alcun titolo altrimenti non si spiegherebbe la sua necessità di reperire professionisti abilitati per la redazione di certificazioni/elaborati...”
Consulenza legale i 27/06/2016
Ad avviso di chi scrive, il reato di cui all’art. 348 c.p. - esercizio abusivo di una professione per la quale è necessario un titolo abilitativo dello Stato - pare senz’altro integrato nel caso di specie.
Infatti, la fattispecie penale non viene in essere solamente nel caso in cui formalmente un soggetto si dichiari professionista pur non essendolo ma altresì quando – come nel caso in esame - un soggetto fornisca all’esterno un’apparenza di professionalità, tale da ingenerare la convinzione che si tratti, in effetti, di attività tipica per la quale è necessaria una specifica abilitazione.

La norma penale, infatti, punisce non solamente coloro che pongono in essere atti tipici della professione considerata (ovvero quelli che le sono propri e che non si potrebbero effettuare senza abilitazione) ma altresì quelli cosiddetti “caratteristici”, ovvero che sono strumentalmente connessi ai primi se posti in essere in maniera continuativa e professionale.
Inoltre è rilevante, ai fini della norma penale, proprio il già citato elemento della professionalità nello svolgimento dell’attività in questione.

Afferma sul tema la giurisprudenza:
- “Il reato di esercizio abusivo di una professione è integrato dal compimento senza titolo di atti, i quali, anche se non attribuiti singolarmente in via esclusiva ad una professione, sono univocamente individuati come di competenza specifica di essa, se il compimento viene realizzato in modo tale da creare le oggettive apparenze di un'attività professionale svolta da un soggetto regolarmente abilitato (Cassazione penale, sez. II, 18 settembre 2014, n. 42933)”;

- “Concreta il reato di esercizio abusivo di una professione di cui all'art. 348 c.p. non solo il compimento senza titolo, anche se posto in essere occasionalmente e gratuitamente, di atti da attribuire in via esclusiva a una determinata categoria professionale, ma anche il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva, siano unicamente individuati come di competenza specifica di una data professione, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuità, onerosità e organizzazione, da creare le oggettive apparenze di un 'attività professionale svolta da un soggetto regolarmente abilitato.” (Cassazione penale, sez. VI, 15 maggio 2013, n. 23843);

- “Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 348 c.p., sono atti rilevanti non solo quelli riservati, in via esclusiva, a soggetti dotati di speciale abilitazione, cosiddetti atti tipici della professione, ma anche quelli cosiddetti caratteristici, strumentalmente connessi ai primi, a condizione che vengano compiuti in modo continuativo e professionale, in quanto, anche in questa seconda ipotesi, si ha esercizio della professione per il quale è richiesta l'iscrizione nel relativo albo. Ne consegue che le attività contenute nella seconda parte della previsione di cui all'art. l d.P.R. 1068/1953 (che disciplina l'ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciale) che sono tipiche, e cioè riservate solo ai ragionieri e periti commerciali, non sono le sole rilevanti ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 348 c.p., in quanto esse comprendono anche quelle relativamente libere, previste nella prima parte del sopra citato d.P.R. 1068/1953, le quali integrano, comunque, l'esercizio della professione se poste in essere in modo continuativo, sistematico, organizzato e presentate all'esterno come provenienti da professionista, qualificato tecnicamente e moralmente, e richiedono pertanto l'iscrizione nell'albo professionale.” (Corte appello Trieste, sez. I, 05 dicembre 2011, n. 1511).

Stando a quanto elaborato dalla giurisprudenza, dunque, sembra si possa senz’altro affermare che il soggetto X sia colpevole del reato in esame: egli, infatti, svolge un’attività tipica della professione di cui si tratta (e ciò emerge con chiarezza dal quesito, nel quale si parla di atti professionali sottoscritti da professionisti abilitati, che collaborano con X), la svolge in prima persona (anche se poi, formalmente, per legge, concretamente atti e documenti vengono sottoscritti da altri in possesso dell’abilitazione) e – forse ciò che più conta ai fini della individuazione della fattispecie di reato - fa tutto ciò in forma di impresa organizzata.

Non può esserci alcun dubbio che, per la clientela esterna, si tratti di uno Studio professionale, per cui vi è la ragionevole convinzione, in buona fede, che quella struttura sia costituita (per l'intero) da professionisti in regola con i titoli abilitativi.
Sotto quest’ultimo profilo, in particolare, è ugualmente indubbio che i terzi siano convinti che anche X sia un professionista (probabilmente non notano neppure a chi appartengano le sottoscrizioni in calce ai vari elaborati) e ciò in primo luogo perché la struttura professionale fa capo a lui, sia nella sostanza che nella forma: all’esterno, infatti, compare il suo nome ed anzi, quasi sicuramente, è proprio quest’ultimo che funge da richiamo della clientela; quando quest’ultima, poi, si rivolga alla struttura professionale in oggetto, presentandosi X come “coordinatore” di tutto il personale è ragionevole presumere che sia a lui che viene direttamente affidato l’incarico professionale e con il quale se ne discutano modalità, tempi e costi.

Tutto ciò corrisponde perfettamente a quelle che la giurisprudenza descrive come condotte tipiche dell’esercizio abusivo di una professione.
I collaboratori di X, poi, rischiano concretamente l’incriminazione assieme quest’ultimo, a titolo di concorso: “Risponde a titolo di concorso nel delitto di esercizio abusivo di una professione il professionista abilitato che consenta o agevoli lo svolgimento di attività professionale da parte di soggetto non autorizzato” (Cassazione penale, sez. VI, 22 aprile 2016, n. 23014).

ANONIMO chiede
lunedì 04/04/2016 - Marche
“Sono socio di una società di servizi (non società di professionisti) che svolge attività di natura non professionale legate all’OMISSIS cui spesso viene richiesta la possibilità di fornire servizi di natura professionale tipici del OMISSIS. Poiché sono soci dipendenti della società anche OMISSIS iscritti all’albo, in base alle norme vigenti in materia di attività professionali, è consentito alla società fornire e fatturare come attività non prevalente tali servizi professionali, se eseguiti e firmati da dipendenti abilitati? Inoltre, costituisce esercizio abusivo della professione l’esecuzione di servizi estremamente particolari, frutto di sperimentazione universitaria, che sul territorio nazionale sono eseguiti solo dalla nostra società (e quindi non attività ABITUALE di altro professionista) anche se in senso più ampio potrebbero rientrare tra le discipline della OMISSIS?

Consulenza legale i 11/04/2016
1. OMISSIS
Sembra di dovere rispondere negativamente a tale primo quesito poiché il Presidente del Consiglio dell’Ordine Nazionale dei OMISSIS e dei Dottori OMISSIS, con la propria Circolare n. 46/2014, ha stabilito che: “in presenza di esercizio dell’attività professionale riservata ai OMISSIS, compiute da iscritti all’albo sia in qualità di soci che di dipendenti, la vigilanza disciplinare attribuita agli Ordini in base all’art. 13, punti a), b), ed e) della Legge 7 gennaio 1976, n. 3, ([1]) integrata con Legge 10 febbraio 1992, n. 152, debba essere estesa anche alle relative società di appartenenza su cui si ritiene gravino tutti gli obblighi informativi e deontologici, compresa la necessità di iscrizione all’Albo professionale, introdotti dalla Legge n. 183/2011 e dal Decreto del Ministero della Giustizia 8 febbraio 2013, n. 34”.
Pertanto, al fine di garantire un maggiore livello di correttezza di esecuzione delle prestazioni nell’interesse degli utenti, il Consiglio dell’Ordine Nazionale dei OMISSIS, ha invitato tutti gli Ordini territoriali a richiedere l’iscrizione nel proprio Albo di tutte le società in essere che svolgano attività professionale riconducibile all’art. 2 della Legge n. 3/1976.
Pertanto, lo svolgimento della prestazione ufficialmente fornita dalla Società di servizi – di cui l’OMISSIS è socio – sarebbe una evidente elusione dell’intento ora evidenziato e perseguito dall’Ordine degli OMISSIS (volto a contemperare la tutela della concorrenza e la garanzia della professionalità delle prestazioni svolte).
2. OMISSIS,
[1] Per comodità e completezza si riporta il dato testuale della norma richiamata.
Art. 13, della Legge 7 gennaio 1976, n. 3 Ordinamento della professione di OMISSIS e di dottore OMISSIS
“Il consiglio, oltre quelle demandategli da altre norme, esercita le seguenti attribuzioni:
a) cura l'osservanza della legge professionale e di tutte le altre disposizioni concernenti la professione;
b) vigila per la tutela del titolo di OMISSIS e di OMISSIS e svolge le attività dirette alla repressione dell'esercizio abusivo della professione;
c) (…);
d) (…);
e) adotta i provvedimenti disciplinari”.
L’art. 2 della Legge 7 gennaio 1976, n. 3 fornisce un dettagliato elenco delle attività professionali che possono essere svolte unicamente dagli OMISSIS ([1]).
L’art. 3, comma 2, della Legge ora richiamata stabilisce che “per l'esercizio delle attività professionali di cui all'articolo 2 è obbligatoria l'iscrizione all'albo, sia che l'esercizio stesso avvenga in forma autonoma che con rapporto di impiego o collaborazione a qualsiasi titolo”.
Pertanto, al fine di determinare se una particolare attività possa essere svolta dalla Società non iscritta all’Albo, occorre accertarsi che tale attività non sia riconducibile ad una delle ipotesi di cui all’art. 2 della Legge n. 3/1976.
Laddove si decidesse di svolgere comunque un’attività riconducibile ad una attività professionale di competenza degli OMISSIS, si potrebbe incorrere nell’esercizio abusivo della professione.
Il Consiglio dell’Ordine, come già accennato, svolge un’attenta attività di vigilanza al fine di reprimere o perseguire tali violazioni (art. 13, lett. b), della Legge n. 3/1976).
[1] Per comodità e completezza si riporta un estratto dell’art. 2, 7 gennaio 1976, n. 3.
“1. Sono di competenza dei OMISSIS e dei OMISSIS le attività volte a valorizzare e gestire i processi produttivi OMISSIS, OMISSIS, a tutelare l'ambiente e, in generale, le attività riguardanti il mondo rurale. In particolare, sono di competenza dei OMISSIS:
a) la direzione, l'amministrazione, la gestione, la contabilità, la curatela e la consulenza, singola o di gruppo, di OMISSIS e delle industrie per l'utilizzazione, la trasformazione e la commercializzazione dei relativi prodotti;
b) lo studio, la progettazione, la direzione, la sorveglianza, la liquidazione, la misura, la stima, la contabilità e il collaudo delle opere di trasformazione e di miglioramento OMISSIS, nonché delle opere di OMISSIS, di utilizzazione e regimazione delle acque e di difesa e conservazione del suolo agrario, sempreché queste ultime, per la loro natura prevalentemente extraagricola o per le diverse implicazioni professionali non richiedano anche la specifica competenza di professionisti di altra estrazione;
c) (…)

Luca S. chiede
venerdì 16/10/2015 - Campania
“Sono ingegnere meccanico junior iscritto all'albo degli ingegneri nella sezione B settore Industriale, nello studio tecnico dove sono inquadrato come impiegato tecnico, mi è stato proposto di progettare e calcolare strutture in acciaio che supportano impianti, macchine piuttosto che capannoni industriali, torre scale .. Si potranno presentare tre casi che vado ad elencare:
1) Nel caso di struttura destinata all'Italia quindi con deposito a genio civile, la relazione di calcolo da me redatta verrebbe asseverata (quindi timbrata e firmata) da un ing. civile regolarmente iscritto.
2) la relazione di calcolo da me redatta risulterebbe eseguita dall'officina che realizza la stessa (nel cartiglio risulterebbe il nome dell'officina, nel caso in cui non sia richiesta l'asseverazione perché strutture destinate all'estero, o strutture per banco prova)
3) la relazione di calcolo da me redatta riporterà un cartiglio con il nome del mio studio e sarà controllata ed approvata da un'altro studio di ingegneria il quale ci commissionerà tale incarico.
Praticamente io non firmerei nessun documento.
Fatta tale premessa vorrei chiedervi se per la legge posso accettare tale incarico, senza violare ad esempio l'articolo 348 del codice penale perché andrei a svolgere un'attività di competenza di un ingegnere civile/edile/architetto. Nel caso non ci siano problemi di natura legale quindi accettassi l'incarico, andrei incontro a responsabilità di natura penale o civile?
Ringrazio anticipatamente per la Vostra collaborazione”
Consulenza legale i 16/10/2015
L'esercizio abusivo della professione è un reato punito dal codice penale all'art. 348 con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da euro 103 a euro 516. Viene commesso da chiunque eserciti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, e non l’abbia ottenuta. Per poter esercitare determinate professioni, infatti, la legge richiede la necessaria iscrizione in appositi albi o elenchi.
E' stato riscontrato il suddetto reato anche nel comportamento di chi sia sia limitato a sottoscrivere un progetto edilizio interamente elaborato da soggetto privo di abilitazione. Difatti, il reato in esame può essere attribuito anche a chi, pur avendo conseguito l’abilitazione all’esercizio di una determinata professione, agevoli l’esercizio abusivo da parte di qualcun altro.

Veniamo al caso di specie.
L'ingegnere junior, in base al DPR 5 giugno 2001, n.328, art. 46, comma 2, lett. b) può svolgere:
1) le attività basate sull'applicazione delle scienze, volte al concorso e alla collaborazione alle attività di progettazione, direzione lavori, stima e collaudo di macchine e impianti, comprese le opere pubbliche;
2) i rilievi diretti e strumentali di parametri tecnici afferenti macchine e impianti;
3) le attività che implicano l'uso di metodologie standardizzate, quali la progettazione, direzione lavori e collaudo di singoli organi o di singoli componenti di macchine, di impianti e di sistemi, nonché di sistemi e processi di tipologia semplice o ripetitiva.

Se un ingegnere si presta per compiacenza a sottoscrivere progetti redatti da tecnici soltanto diplomati o, nel nostro caso, ingegneri junior (la cui capacità progettuale è limitata), scatta innanzitutto una questione di natura deontologica. Difatti, il Codice Deontologico dell’Ordine stabilisce l’ingegnere è personalmente responsabile della propria opera e nei riguardi della committenza e nei riguardi della collettività e che egli deve sottoscrivere solo le prestazioni professionali che abbia personalmente svolto e/o diretto. Non può nemmeno sottoscrive le prestazioni professionali in forma paritaria, unitamente a persone che per norme vigenti non le possono svolgere.
Di conseguenza, viola il codice deontologico e può essere sottoposto a procedimento disciplinare secondo le norme previste dagli artt. 43 e seguenti del R.D. 23 ottobre 1925 n. 2537, l’ingegnere che si limiti a sottoscrivere o a vistare un progetto eseguito da un soggetti privi di competenza, sia se siano questi a chiederglielo, sia se la richiesta provenga direttamente dalla committenza.

Inoltre, a carico dell’ingegnere potrebbe essere ascritta la responsabilità penale a titolo di concorso nel reato di esercizio abusivo della professione.

La giurisprudenza ha trattato spesso una questione pressoché analoga a quella in esame, quella dei rapporti tra geometra e ingegnere.

Si è escluso, ad esempio, che un geometra possa accettare l’incarico di progettare un edificio con ossatura in conglomerato cementizio, incaricando a sua volta un professionista laureato per l’elaborazione dei calcoli delle strutture in cemento armato, perché spetta esclusivamente al tecnico che ha ricevuto l’incarico dal cliente-committente la responsabilità piena e diretta di tutta l’opera da realizzare, compresa la parte relativa ai calcoli.
In questo senso possiamo leggere la sentenza della Corte di Cassazione, sez. civile, del 26.7.2006 n. 17028: “La progettazione e la direzione di opere da parte di un geometra in materia riservata alla competenza professionale degli ingegneri a degli architetti sono illegittime, cosicché in particolare a rendere legittimo in tale ambito un progetto redatto da un geometra non rileva che esso sia controfirmato o visitato da un ingegnere ovvero che un ingegnere esegua i calcoli del cemento armato e diriga le relative opere, perché è il professionista competente che deve essere altresì titolare della progettazione”.

Alla luce della normativa e della giurisprudenza, si può astrattamente configurare il reato di esercizio abusivo della professione in capo sia a chi esercita la professione senza la necessaria abilitazione, ma anche in capo all'ingegnere che "presta" la sua firma, a titolo di concorso.

E' evidente che, nel caso di specie, se il nome dell'ingegnere junior non compare mai in alcun documento e chi sottoscriverà i la relazione di calcolo se ne assumerà totalmente la responsabilità di fronte ai terzi, è possibile che nessuno venga mai a sapere che in realtà la stessa è stata effettuata da un soggetto non abilitato. Si ragiona in questo caso sul mero piano probatorio: il reato, cioè, in astratto è pur sempre configurabile, ma se non vi è modo di dimostrare i fatti, la condanna all'evidenza difficilmente può essere comminata.

Caso totalmente diverso è quello in cui l'ingegnere junior collabori alla stesura della relazione di calcolo assieme ad un altro ingegnere abilitato, che lo supervisioni, in un'ottica di coadiuvazione: tale tipo di collaborazione è consentita (art. 2232 c.c. “Il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto. Può tuttavia valersi, sotto la propria direzione e responsabilità, di sostituti e ausiliari, se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con l’oggetto della prestazione”). Se si configura la collaborazione in questi termini, non vi è il rischio di commettere esercizio abusivo della professione.

Rinaldo D. N. chiede
giovedì 05/02/2015 - Piemonte
“sono interessato alla formalizzazione della legge 28 aprile 2014, nr. 67 , speciamente per la parte che si riferisce alla depenalizzazione di una serie di delitti, fra cui , quello previsto e punito dall'art. 348 codice penale. Mi chiedo come mai nel vostro sito questo reato sia ancora considerato ancora come fatto penalmente rilevante ? Grazie per la vostra cortese attenzione. Coardiali saluti. Cav.Uff. Rinaldo DI NINO”
Consulenza legale i 05/02/2015
Il primo capo della legge 28.4.2014 n. 67 contiene due deleghe al Governo: in materia di pene detentive non carcerarie; per la riforma della disciplina sanzionatoria di determinati reati (depenalizzazione) e contestuale introduzione di sanzioni amministrative e civili. Questa ultima delega dovrà essere esercitata con d.lgs. entro 18 mesi dall'entrata in vigore della legge.
Pertanto, in assenza di un decreto attuativo, la legge delega non trova immediata applicazione. Si dovranno attendere i provvedimenti del governo.

Davide B. chiede
sabato 12/04/2014 - Lombardia
“Buongiorno, io svolgo abitualmente una attività di supporto alla propfessione di un mediatore immobiliare regolarmente iscritto e titolare di un'agenzia immobiliare. Gli atti come firmare un mandato a vendere o ricevere una proposta di acquisto o stipulare un preliminare di compravendita sono riservati al titolare. Io lo aiuto a trovare i venditori che danno mandato all'agenzia, accompagno i clienti a vedere le case, tengo i contatti con loro fino a che non si decidono a comperare. Alle pratiche che hanno una valenza contrattuale provvede il titolare. Chiedo se alla luce della giurisprudenza sto commettendo il reato previsto dall'Art 348 CP ?”
Consulenza legale i 03/05/2014
Il reato di abusivo esercizio di una professione per la quale sia richiesta una speciale abilitazione dello Stato è punita dall'art. 348 del c.p. è teso a tutelare gli interessi della collettività al regolare svolgimento di tale tipo di professioni: la condotta richiesta consiste nel compimento di uno o più atti riservati in modo esclusivo all'attività professionale.
La giurisprudenza ha chiarito che è irrilevante la circostanza del presunto consenso della clientela, in quanto titolari dell'interesse protetto sono solo la collettività e lo Stato (non a caso tale delitto è inserito nel codice penale tra quelli contro la pubblica amministrazione).

La Corte di cassazione ha affrontato in diverse occasioni aspetti specifici del reato di cui all'art. 348 c.p., chiarendo in alcune pronunce che tale articolo tutela esclusivamente gli atti riservati a ciascuna professione, e non anche gli atti che, mancando di tale tipicità, possono essere compiuti da chiunque, anche se abbiano qualche connessione con quelli professionali. Ai fini dell'integrazione del reato, una parte della giurisprudenza ha ritenuto che il compimento di atti strumentalmente connessi a quelli tipici della professione non assumesse rilievo in assenza dei caratteri della continuità e professionialità (Cass., sez. VI, 5.7.2006-29.7.2006, n. 26829).
Secondo altre pronunce, sarebbe bastato anche il compimento di un solo atto tipico del professionista, v. sent. 42790/07).

Di recente, si assiste ad un inasprimento nei confronti dell'abusivismo nelle professioni, tanto che la Corte di cassazione, con sentenza a sezioni Unite n. 11545/2012, ha stabilito il seguente principio di diritto: “Concreta esercizio abusivo di una professione, punibile a norma dell’art. 348 cod. pen., non solo il compimento senza titolo, anche se posto in essere occasionalmente e gratuitamente, di atti da ritenere attribuiti in via esclusiva a una determinata professione, ma anche il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva, siano univocamente individuati come di competenza specifica di una data professione, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuità, onerosità e (almeno minimale) organizzazione, da creare in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato”.

Per venire al caso di specie, va premesso che l'esercizio dell'attività di mediatore è subordinato all'iscrizione al Ruolo degli Agenti di Affari in Mediazione tenuto presso ciascuna camera di commercio. La disciplina della professione è contenuta nella legge n. 39 del 1989. L'art. 8 comma 1 stabilisce che "Chiunque esercita l’attività di mediazione senza essere iscritto nel ruolo è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma compresa tra euro 7.500 e euro 15.000 ed è tenuto alla restituzione alle parti contraenti delle provvigioni percepite". Lo stesso articolo, al comma 2, prevede che si applichino le pene previste dall'articolo 348 del codice penale, nonché l'articolo 2231 del codice civile a coloro che siano incorsi per tre volte nella sanzione di cui al comma 1, anche se vi sia stato pagamento con effetto liberatorio.

Si segnala che il Parlamento ha espresso un forte interesse per la tematica oggetto del quesito. Il 3 aprile di quest'anno, il Senato ha approvato un Disegno di Legge per modificare gli articoli 348, 589 e 590 del Codice Penale nonché l’articolo 8 della legge 39/1989, sopra citato.
Al Senato è stato proposto che nella fattispecie di cui all'articolo 348 del codice penale venga ricompresa, in modo esplicito, anche l'ipotesi in cui sia esercitata l'attività di mediazione da chi non è iscritto nel relativo ruolo. L'emendamento che poi è stato approvato elimina la necessità che ricorra per tre volte la sanzione amministrativa prima di procedere con l'applicazione della pena di cui all'art. 348 c.p., bastando ora che la sanzione sia comminata una sola volta.
La nuova formulazione dell'art. 348 c.p. approvata dal Senato è la seguente: "Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da 10.000 euro a 50.000 euro. La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle attrezzature e degli strumenti utilizzati". L'inasprimento è evidente, visto che l'attuale formulazione dell'articolo prevede la penale della reclusione fino a sei mesi o la multa da 103 euro a 516 euro.

Interessante nella lettura degli atti parlamentari notare come il Governo, rappresentato dal Sottosegretario di Stato per la giustizia, abbia precisato che, al fine di fornire parere favorevole, sia stato studiato proprio il caso specifico del mediatore immobiliare, sul quale sussistevano dubbi circa l'obbligo di una iscrizione. Il rappresentante del Governo dice: "... abbiamo tratto la conclusione che l'esercizio della professione di mediatore immobiliare richiede una registrazione presso la Camera di commercio: quindi, viene fatta una verifica sui requisiti e sui titoli, proprio perché è previsto un passaggio presso la Camera di commercio". Il tema "Rientra dunque nella regolazione della concorrenza".

E' quindi potenzialmente colpevole del delitto in commento colui che svolga attività che dovrebbe svolgere il mediatore professionista, anche se non concreta mai quegli atti tipici (e più facilmente tracciabili) quali le sottoscrizioni di mandati o preliminari di compravendita. Anzi, vi è il rischio anche per il professionista (regolarmente iscritto) di incorrere in concorso di persona nel reato di esercizio abusivo, laddove egli consenta o agevoli lo svolgimento di attività professionale da parte di persona non abilitata (Cass., sez. VI, 9.4.2009-29.4.2009 n. 17893).

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